Quando è iniziato il 2009, chi avrebbe mai pensato di finire a fare il volontario ad aiutare la gente? È proprio vero che la vita ci riserva sempre delle sorprese, a volte gradevoli, spesso devastanti. Di quest’ultimo tipo è stato il fenomeno che ha colpito la città de L’Aquila, sfregiata da un terremoto di spaventosa intensità. 25 secondi che hanno cambiato la vita di molti, posto fine alla vita di altri. Anche su spinta della Caritas, prendemmo la decisione di aiutare i nostri fratelli aquilani perché noi folignati sappiamo bene cosa significa avere paura della propria casa per colpa di un terremoto. Dall’1 all’8 Agosto, seguiti da un secondo gruppo partito dall’8 al 15, più di venti ragazzi di Azione Cattolica e non, partirono alla volta de L’Aquila con un unico intento: aiutare. L’accoglienza alla tendopoli dei volontari della Caritas non fu delle più calme: venimmo messi subito a pulire le strade o a picconare e a spostare massi che si trovavano al campo e che vennero poi usati per costruire dei muretti. La nostra voglia di dare una mano venne meno, ‘Tutto era nuovo e molto essenziale’ racconta Valentina Giacomucci, una dei ragazzi volontari partiti da Foligno il 1° Agosto, ‘lavorare sotto il sole cocente, spazzare strade quasi deserte e vialetti di persone sconosciute che ti offrivano da bere’. ‘È da qui’ continua Valentina ‘che ho iniziato a capire veramente l’importanza di quello che stavo facendo: anche se svolgevo un lavoro pesante ed apparentemente senza senso, mi rendevo utile e la gente se ne stava rendendo conto’. Insomma, per quanto ogni lavoro di fatica sembrasse vano al fine di aiutare gli aquilani, risultava invece indispensabile per riportare alla vita una città-fantasma. Una volta capito questo sparì la fatica (o quasi’) e ci impegnammo sempre più a fondo nelle attività che ci venivano assegnate ogni mattina. ‘La cosa che però mi ha commosso di più è il calore della gente, la quale non smette un secondo di ringraziare tutte le persone che le stanno aiutando in questo momento difficile’ commenta Luca Mancinelli, ‘Alla fine di questa esperienza credo di aver dato molto, ma mai quanto queste persone hanno dato a me’. Spesso la gente ci veniva a cercare quando ci vedeva pulire il marciapiede di fronte alla propria abitazione e attaccava bottone con noi raccontandoci qualcosa di sé e dei propri familiari. ‘È peggio di una guerra’, ‘le vere macerie siamo noi’, ‘il futuro per noi non c’è più, forse ci sarà per i nostri nipoti o pronipoti’ qualcuno ci racconta rivelano Angela e Francesca Brufani. A ciò aggiungiamo la rabbia che questa gente prova quando il turista di turno si piazza con la macchinetta fotografica a immortalarli nella tendopoli ‘come fossimo animali da zoo’, la rabbia nei confronti della politica (e della stampa che riporta false notizie sul miglioramento delle condizioni dei terremotati n.d.r), la paura incessante di una terra che non smette di tremare, la paura del freddo inverno che bussa alle loro tende già a fine agosto. È assai arduo raccontare la vita della tendopoli, se non la si vive…bambini in cerca continua di attenzioni, anziani che nessuno ascolta che vagano tutto il giorno alla ricerca di un po’ di sollievo dal caldo torrido, adulti ‘senza più lacrime per piangere’ e tante altre innumerevoli storie, sguardi, emozioni, parole’. Tuttavia, nonostante la grande tristezza incontrata, ‘leggevo, negli occhi delle persone anche una grande speranza e una luminosa voglia di vivere al meglio anche in una simile condizione di disagio’ chiarisce Jenny Luchini ‘E questo turbinio di emozioni contrastanti si rifletteva ogni giorno nel vasto cielo dell’Aquila, al mattino così chiaro e caldo, e al pomeriggio così inquieto e carico di nubi, che attraversando le cime del Gran Sasso venivano a smorzare la calura d’agosto (spesso, per improvvisi acquazzoni dovevamo sospendere il lavoro e aspettare sotto la pioggia n.d.r). Ho assaporato la gioia così spontanea e immediata del lavorare per gli altri e del sentirti dire ‘grazie per quello che stai facendo’. E quello basta a colmare ogni fatica. Come se non fosse sufficiente ho percepito la vertigine e il brivido di voler dare una piega diversa al mio futuro, e insieme a questo la valanga di dubbi che tutto ciò comporta’. A L’Aquila abbiamo teso le mani e ogni persona incontrata, ogni lavoro compiuto, ogni contributo che ciascuno di noi ha messo in quella settimana è stato, per quanto piccolo, fondamentale nella riuscita del progetto che molti, se non tutti, abbiamo nel cuore: vedere nuovamente volare L’Aquila nel cielo, libera come prima che venisse ferita, ferita e non abbattuta.
Elia Schoen, volontario a L’Aquila dal 08/08 al 15/08