Città del Vaticano – Ieri la celebrazione della III Giornata Mondiale dei Poveri. Papa Francesco ha voluto trascorrerla, nell’Aula Paolo VI, con 1.500 bisognosi, persone meno abbienti e poveri accompagnati dal personale delle associazioni di volontariato e che in mattinata avevano partecipato alla celebrazione nella basilica di San Pietro. Nell’omelia ha chiesto, come proposta di esame di coscienza : “Io aiuto qualcuno da cui non potrò ricevere? Io, cristiano, ho almeno un povero per amico?”. Per il papa i poveri sono “preziosi agli occhi di Dio perché non parlano la lingua dell’io”, “non si sostengono da soli, con le proprie forze, hanno bisogno di chi li prenda per mano. Ci ricordano che il Vangelo si vive così, come mendicanti protesi verso Dio”. “La presenza dei poveri ci riporta al clima del Vangelo, dove sono beati i poveri in spirito”, ha quindi proseguito: “Allora, anziché provare fastidio quando li sentiamo bussare alle nostre porte, possiamo accogliere il loro grido di aiuto come una chiamata a uscire dal nostro io, ad accoglierli con lo stesso sguardo di amore che Dio ha per loro”. “Che bello se i poveri occupassero nel nostro cuore il posto che hanno nel cuore di Dio!”, ha detto papa Francesco: “Stando con i poveri, servendo i poveri, impariamo i gusti di Gesù, comprendiamo che cosa resta e che cosa passa. “Tra tante cose penultime, che passano, il Signore vuole ricordarci oggi quella ultima, che rimarrà per sempre”: l’amore, perché “Dio è amore e il povero che chiede il mio amore mi porta dritto a lui. I poveri ci facilitano l’accesso al cielo: per questo il senso della fede del Popolo di Dio li ha visti come i portinai del cielo. Già da ora sono il nostro tesoro, il tesoro della Chiesa. Ci dischiudono infatti la ricchezza che non invecchia mai, quella che congiunge terra e cielo e per la quale vale veramente la pena vivere: l’amore”.
Papa Francesco ha qui ndi messo in guardia da coloro che diffindono allarmismi: “non va seguito chi diffonde allarmismi e alimenta la paura dell’altro e del futuro, perché la paura paralizza il cuore e la mente”, ha detto. “Quante volte ci lasciamo sedurre dalla fretta di voler sapere tutto e subito, dal prurito della curiosità, dall’ultima notizia eclatante o scandalosa, dai racconti torbidi, dalle urla di chi grida più forte e più arrabbiato, da chi dice ‘ora o mai più’”, ha sottolineato aggiungendo che “questa fretta, questo tutto e subito non viene da Dio”: “Se ci affanniamo per il subito, dimentichiamo quel che rimane per sempre: inseguiamo le nuvole che passano e perdiamo di vista il cielo”. Gesù, infatti, “ci dice che quasi tutto passerà. Quasi tutto, ma non tutto. A crollare, a passare sono le cose penultime, non quelle ultime: il tempio, non Dio; i regni e le vicende dell’umanità, non l’uomo. Passano le cose penultime, che spesso sembrano definitive, ma non lo sono”.
E all’Angelus ha ricordato la beatificazione di padre Emilio Moscoso, avvenuta a Riobamba, in Ecuador, ucciso nel 1897 durante le persecuzioni contro la Chiesa cattolica: “Il suo esempio di religioso umile, apostolo della preghiera ed educatore della gioventù, sostenga il nostro cammino di fede e di testimonianza cristiana”.