La malattia è ancora oggi la prova ordinaria più oscura, quella che trascina con sé il maggior numero di scoraggianti interrogativi, quella che fa salire al cielo il maggior numero di “perché?”. Vi proponiamo la riflessione di don Giovanni Zampa sacerdote e direttore Ufficio catechistico della Diocesi di Foligno, dottorato in Teologia Biblica presso la Pontificia Università San Tommaso D’Aquino di Roma.
La Bibbia conosce i virus. Ad esempio la lebbra era una malattia contagiosa e mortale. Per questo motivo le è dedicato un intero capitolo nel Libro del Levitico. Il capitolo 13 approfondisce la purezza rituale e sociale e ha come obiettivo impedire il diffondersi del contagio che era e resta una esigenza di vita all’interno del popolo del Signore. In questo capitolo entra in esame tutto ciò che potrebbe essere confuso o scambiato con lebbra, in modo che nulla venga omesso al fine di scoprire fin da subito la malattia e così porre quei rimedi necessari perché il contagio venga impedito. Bloccare il contagio era già a quei tempi il modo principale per preservare la vita del popolo del Signore. Con le dovute proporzioni e contestualizzazioni di un testo redatto più di 2500 anni fa, non possiamo non riconoscere ancora una volta che la Parola di Dio è fonte di vita e di salvezza fisica e spirituale. Le norme igieniche e i processi di diagnosi elaborati rivelano una saggezza e una sapienza di cui bisogna tornare a far tesoro. Il principale insegnamento che riceviamo da quelle pagine, che non hanno pretese scientifiche, ma morali e di fede, è riconoscere che nessuno di noi è principio di discernimento per sé stesso, ma deve far sempre riferimento ad una autorità più grande ed esperta. Uno dei rischi più elevati dell’epidemia del COVID19 è il lento logorio dell’autorevolezza delle istituzioni: il sistematico riscorso al fai da te, al non ascoltare le indicazioni, al prendere decisioni sullo schermo e per sentito dire, pone le condizioni per una progressiva disgregazione del senso di appartenenza ad uno Stato, ad una democrazia, ad una comunità civile e religiosa con tutte le sue strutture di servizio. Questa è la prima epidemia dell’era della globalizzazione, di internet e dei cellulari. Se viene meno il riconoscere il ruolo di discernimento e la fiducia per chi ha compiti di guida, è praticamente impossibile attivare politiche di bene e salvaguardia comune. In una società e in una Chiesa matura è necessario che il singolo sospenda temporaneamente il giudizio e la decisione in attesa delle indicazioni dall’alto perché si riconosce l’incarico che alcuni uomini e donne hanno ricevuto. Il Levitico ricorda che non ci si sana da sé stessi e non ci salva da soli. Il terzo libro della Bibbia insegna che non spetta solo a noi stessi decidere i propri comportamenti quando c’è in gioco il bene comune. Allo stesso tempo chiarisce senza ombre che dal nostro benessere personale può dipendere la salute di tutti. Sarà un grande esercizio quaresimale quello di togliere le mani dal nostro cellulare e restituire il timone del bene comune alle autorità. Sarà una grande prova di maturità quella di imparare a fidarsi, a cedere pian piano spazi del nostro individualismo per il servizio ad una comunità più vasta e più grande. L’obbedienza diviene la virtù che quest’anno maggiormente ci viene richiesta nelle pratiche della penitenza perché sia una generosa quaresima e non egoistica quarantena.