Compendio del primo incontro online con Gigi Avanti a cura dell’Ufficio pastorale per la famiglia della Diocesi di Foligno. Gigi Avanti (Graffignana – Lo, 1943) è membro, con la moglie Maria Petrini, della Consulta Nazionale della CEI per la Pastorale della Famiglia. E’ padre di tre figli, dei quali Chiara oggi in cielo. Laureato in teologia, è docente di religione presso l’Istituto Tecnico Statale Industriale “Giancarlo Vallauri” di Roma dal 1969 al 2000, e presso l’Istituto Parificato “Sant’ Antonio Maria Gianelli” di Roma dal 1977 al 1994, e ha insegnato per due anni anche all’Istituto parificato “Cabrini” di Roma.
Un saluto a tutti e un grazie di cuore a chi sta leggendo. Entriamo subito in argomento con alcune precisazioni.
La scelta dell’argomento interessa tutti perché contemporaneamente siamo tutti educatori ed educanti così come ognuno è contemporaneamente alunno e docente nella scuola della vita.
Chi ascolta o legge queste considerazioni può avere figli o educanti di varia età. Non è un problema, perché in questo incontro e in quelli successivi si farà soprattutto leva sul concetto – realtà di una “relazione” capace di per sé e per sua natura di attivare o potenziare il processo di crescita della persona, processo di crescita che ha come traguardo una maturità da raggiungere.
Un traguardo di maturità da considerare però più come un “modo” di viaggiare che non come un punto da raggiungere.
E’ per questo che tali considerazioni valgono per tutti quale che sia l’età di ciascuno. Nulla di nuovo, pertanto, se non la novità di questo “qui ed ora” che viviamo in maniera unica.
Una parentesi sul significato del verbo “crescere”. Il verbo crescere è’ un verbo bellissimo presente nella Bibbia fin dall’inizio della creazione quando il Creatore invita i neo-coniugi Adamo ed Eva con quel famoso: “Crescete e… moltiplicatevi” .
. Ed è bello ricordare che il verbo “crescere”, etimologicamente parlando, è imparentato con il verbo “creare”.
E’ come se il Creatore avesse detto ai primi due sposi della storia: “Portate avanti quello che Io ho creato”.
Crescere, pertanto, non nasce come problema ma come unica opportunità di gratitudine verso un Creatore fiducioso nella sua creatura.
L’altro episodio dove ci si imbatte nel verbo crescere riguarda la descrizione sintetica della crescita di Gesù: “Gesù cresceva in età, sapienza e grazia presso Dio e presso gli uomini”.
Come dire che crescere, maturare non sono configurabili come problemi, ma come realtà naturali, fisiologiche.
Espressioni della serie: “Mio figlio è un problema” risultano pertanto non consone ad una relazione educativa sana, anzi rappresentano proprio quella zavorra da scrollarsi di dosso. Un figlio (o chi per lui) potrà “avere” dei problemi di crescita, ma non è tutto quanto un problema.
La terza espressione dove figura il verbo “crescere” è quella di san Paolo, che, inaspettatamente se ne esce con: “Il seme cresce senza che il seminatore sappia come” .
Qualcuno potrebbe leggere questa considerazione come incoraggiatrice di atteggiamenti menefreghisti. Niente di più errato.
E’ una espressione paradossale che induce genitori ed educatori alla fiducia, a “lasciar crescere” i figli piuttosto che pedinarli, tallonarli, tampinarli, fargli sentire il fiatone sul collo.
Questa è quindi la prima “zavorra” dalla quale è possibile liberarsi (quella di vedere tutto in chiave di “problema” anziché in chiave di realtà.
Dio non crea e non si diverte a creare problemi. Siamo talvolta noi umani a darci la patente di “creativi”, creandoci dei problem.
La ragnatela che un ragno si autocostruisce è una realtà, ma se vi si impiglia da se stesso di chi è il problema. Non è la ragnatela a impigliare il ragno, ma è il ragno che si impiglia… così come ammonisce un proverbio: “Non è il vino che ubriaca, ma è l’uomo che si ubriaca”.
Passiamo ora all’altro tema, quello dei sentimenti nocivi o meglio dei sentimenti gestiti in maniera perniciosa.
Il sentimento più circolante oggi è quello della “paura”. Come ogni sentimento, anche la paura nasce piccola e “sana”, ma potrebbe ammalarsi cammin facendo.
La medesima cosa avviene con il calore del corpo che, sotto i 37 gradi è buono, ma oltrepassata tale soglia comincia ad essere un problema (febbre). Scrive sant’Agostino: “ O il male è ciò di cui si ha paura o il male è avere paura”.
Qualcosa non deve aver funzionato, nella testa e nel cuore se si è arrivati a questo punto. Ci chiediamo come mai, ma soprattutto ci chiediamo come mettere mano per sostenerci tutti, genitori ed educatori, figli ed educandi, in questa impresa di crescita permanente, di reciproca maturazione permanente.
Sostenere, ho detto, perché preoccupazioni, ansie, delusioni, senso di impotenza compongono una miscela pericolosissima in grado di indurre i più deboli o i meno fortunati a tirare i remi in barca anziché a rimboccarsi le maniche.
Come contenere la paura che rischia di mettere a dura prova la virtù della speranza, unica virtù capace di far riprendere quota e vigore allo spirito educativo?
Paradossalmente parlando, le medesime due espressione che hanno caratterizzato il primo periodo di questo tempo pandemico e che sono nate per incoraggiare e nutrire la speranza possono rivelarsi pericolose ed è facile spiegare il perché. Perché in entrambe le espressioni i due verbi vengono coniugati al futuro. Dalla psicologia si apprende, infatti, che il pensiero del futuro può sempre contenere una certa dose di ansia (magari in grado di “infettare” il presente alla pari del virus).
Le due frasi “Andrà tutto bene” e “Niente sarà più come prima”, oltre a contenere quella coniugazione dei verbi al futuro, sono monche, sono incomplete…
“Andrà tutto bene… a patto di…” e “Niente sarà come prima… a condizione che…” si potrebbe, ad esempio, concludere.
Oppure, unendo tra loro le due frasi, ecco una conclusione possibile: “Andrà tutto bene… se Niente sarà come prima”… che è già qualcosa, se non ci si lascia impressionare dall’uso euforico e un tantino esagerato della parola “tutto” e della parola “niente”…
Ma c’è qualcosa da aggiungere. “Andrà tutto bene” se si prende coscienza che già ora va tutto bene…per il fatto di essere vivi, sofferenti, frustrati e depressi, ma vivi.
Ma non è esperienza della quotidianità questa? Non è forse vero che “Ogni giorno ha la sua pena”? E “va tutto bene”, in ragione del fatto che si sta vivendo il presente e che “niente è come prima” se ci si rende conto veramente che non c’è alternativa al vivere il “qui ed ora”, senza ripetizione del prima e senza la troppa preoccupazione per il dopo.
“Va tutto bene” anche se “Niente è come prima” se si è convinti nel profondo di vivere l’oggi (anche con un po’ di fatica fantasiosa) non come fosse il primo giorno e nemmeno come fosse l’ultimo, ma semplicemente accettando umilmente che sia, misteriosamente, l’unico.
In concreto, la ricetta o il suggerimento per non far ammalare la paura è per toglierci di dosso la zavorra di vivere tutto come problema è il vivere il “qui ed ora”.
Anche e soprattutto perché convinti nel profondo dell’anima che “Il presente è l’unico punto di contatto tra l’eternità e il tempo” (S.C. Lewis in LE LETTERE DI BERLICCHE) ed è lì che è appostato, dall’eternità, Dio. La qual considerazione richiama alla mente una riflessione dello psicologo Carl Gustav Jung: “Molte nevrosi dell’uomo moderno sono riconducibili ad un non risolto problema religioso”.
Ecco allora la metafora paradossale: “Dimmi come vivi la pandemia (o come affronti i problemi) e io ti dirò come vivi la vita”.
Vivere la vita come “eterno” problema da risolvere porta con sé una acutizzazione del medesimo quando si attraversano periodi marcatamente più travagliati, come appunto quello che si sta vivendo. Così come pensare di poter o voler risolvere un problema una volta per tutte…. è un problema!
Vivere, invece , la vita come realtà (dura fin che si vuole, talvolta o spesso o comunque) lenisce il bruciore della sofferenza esistenziale o dell’angoscia di morte. Senza dimenticare quanto affermava Alberto Einstein: “Non si può risolvere un problema con lo stesso modo di pensare che ha causato il problema”.
IO SONO
Mi rammaricavo
del mio passato
e temevo il mio futuro
quando, improvvisamente
il mio Signore parlò:
Il mio nome è IO SONO.
Fece una pausa. Io attesi.
Poi continuò:
Se tu vivi del passato
con i suoi errori
e i suoi dispiaceri
vivi nel dolore.
Io non sono nel passato.
Il mio nome non è IO ERO
Se tu vivi del futuro,
con i suoi problemi
e le sue paure,
vivi nel dolore.
Il non sono nel futuro.
Il mio nome non è IO SARO’.
Se tu vivi questo momento,
vivi nella pace.
Io sono nel presente.
Il mio nome è IO SONO
(Helen Mallicoat)
LE TRE RANE
(pensare troppo o pensare male… porta male)
TRE RANE CADDERO IN UN SECCHIO DI LATTE.
LA PRIMA RANA, PESSIMISTA, PENSO’ CHE NON C’ERA PIU’
PIU’NIENTE DA FARE E SI LASCIO’ TRAGICAMENTE AFFOGARE.
LA SECONDA RANA, LUCIDA RAGIONATRICE,
PENSO’ CHE CON UN BALZO AVREBBE POTUTO SALVARSI.
CALCOLO’ LA TRAIETTORIA, LA PARABOLA, LA POTENZA
MA NON SI ERA ACCORTA CHE IL SECCHIO AVEVA UN MANICO
ALZATO E PROPRIO CONTRO QUELLO ANDO’ A SFRACELLARSI.
LA TERZA RANA AVEVA SOLTANTO UNA GRAN VOGLIA
DI VIVERE E COMINCIO’ A SCUOTERSI, AD AGITARSI,
A MUOVERSI VERTIGINOSAMENTE DI QUA E DI LA’…
FINCHE’ IL LATTE DIVENNE BURRO ED ESSA SI SALVO’.
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