Di seguito l’omelia per i secondi vespri del Pontificale del Patrono S. Feliciano, 24 gennaio 2021, di Mons. Gualtiero Sigismondi Amministratore Apostolico della Diocesi di Foligno che è un messaggio di speranza per la città.
“Gesù annuncia il Vangelo nel cuore della società: non in orari e tempi stabiliti, ma nei luoghi e nei momenti più ordinari”. Questa sottolineatura – compiuta da Papa Francesco, oggi stesso, Domenica della Parola di Dio – aiuta noi Folignati a ravvivare quanto testimonia San Feliciano e cioè che nel cristianesimo non c’è contrapposizione tra la piazza, lo spazio dei cittadini, e la chiesa, il luogo ove i figli di Dio si incontrano e si riconoscono fratelli. La processione con la statua argentea del Patrono testimonia che la Chiesa folignate è presente nella polis ed è disponibile a contribuire, per quello che le è possibile e le compete, a un convivere sereno, solidale, fiducioso.
La forzata ma necessaria “astinenza” dalla processione, imposta dall’emergenza sanitaria, ci offre l’occasione di riflettere sul senso di un appuntamento popolare a cui anche i Folignati più distratti guardano con profondo rispetto. La processione si snoda lungo le strade della vita ordinaria, entra in contesti che solitamente la comunità cristiana non visita o che non sono normalmente offerti al suo sguardo. Imitando Gesù, che non ha esitato a praticare i luoghi dell’urbano, occorre frequentare i crocevia dell’umano per farne spazi di comunione. La prossimità evangelica è sia il principio sia la forma del cristianesimo, che non trascura di raggiungere i “crocicchi delle strade”, per incontrare chi non attraversa il sagrato.
“La città – osserva Armando Matteo – non è più dove ci si aspettava che fosse e cioè accanto alla chiesa, quale sua compagna di tenda; di più, la città non parla più la lingua di sempre: è abitata e progettata da una cultura che non solo non ha più nel discorso cristiano il suo riferimento generativo, ma che anzi spesso appare in contrasto diretto con il Vangelo. Vivere oggi la missione della Chiesa, che è sempre quella dell’annuncio della gioia del Vangelo, significa confrontarsi con le sfide della città, più precisamente quelle della lontananza rispetto alle nostre vecchie carte geografiche”. E, tuttavia, il Signore ripete a noi, oggi, quanto ha confidato a Paolo, in una visione notturna, a Corinto: “In questa città io ho un popolo numeroso” (At 18,10).
Fratelli carissimi, il “seme” della Parola non porta frutto se non muore, se non cade nel campo del mondo: terreno e seme hanno bisogno l’uno dell’altro (cf. Gv 12,24). I “semi del Verbo” sono sparsi ovunque. È per questo che la Chiesa non può chiudersi in una sorta di “arca di Noè”, ma deve aprire strade nuove al Vangelo, accettando la sfida delle inquietudini straripanti del tempo presente. L’obiettivo non è quello tattico del mantenimento delle posizioni, ma quello strategico dell’accompagnamento dei processi. Il problema non è essere poco numerosi, ma piuttosto diventare insignificanti, accontentandosi di proiettare la sacrestia nella strada.
“Se anche il sale perde il sapore, con che cosa verrà salato?” (Lc 14,34). Questa domanda, che Gesù pone ai discepoli, affretti il nostro passo lungo i sentieri della Chiesa “in uscita”. Il Signore ci precede sempre, non attende che siamo noi a seminare: Egli ha già sparso i “semi del Verbo”, ha già redento il mondo prima ancora della nostra azione. A noi affida la missione di andare incontro ad ogni uomo per disporlo a fare posto alla Parola. Non è più possibile pensare di praticare l’evangelizzazione solo per convocazione, ma per immersione, per irradiazione, per attrazione. Occorre, dunque, saper guardare oltre le aule del catechismo, oltre il recinto dell’oratorio e anche più in là del sagrato. Nelle circostanze attuali c’è bisogno di affermare con chiarezza l’intima connessione tra evangelizzazione e promozione umana. L’intercessione del nostro santo Patrono, “fundator et defensor civitatis”, ci aiuti a non dimenticare, strada facendo, che “il genio inventivo e operativo della promozione umana scaturisce dal Vangelo”.
Fratelli e sorelle carissimi, San Feliciano, nell’ultimo “miglio” della sua vita, non potendo rendere salde le ginocchia vacillanti, ha irrobustito le mani fiacche (cf. Is 35,3), sebbene “ligate”, per benedire Forum Flaminii. La Passio Sancti Feliciani ci suggerisce l’espressione “mani ligate” che, sin dall’inizio del mio ministero episcopale, ha catturato la mia attenzione. Anch’io, grato al Signore che mi ha concesso di proseguire di un “miglio” il mio servizio pastorale in mezzo a voi, volgo lo sguardo benedicente alla città di Foligno e all’intera diocesi, ripetendo, sine glossa, la formula di preghiera che, all’altare, ho sempre pronunciato con serena fiducia: “Non guardare ai nostri peccati, ma alla fede della tua Chiesa e donale unità e pace secondo la tua volontà”.