Celebrazione in preparazione della Pentecoste

Chiesa del Santissimo Nome di Gesù
21-05-2021

Sulla soglia del giorno di Pentecoste, la liturgia ci fa ascoltare il dialogo del Risorto con Pietro, avvenuto presso il Lago di Tiberiade, là dove è iniziata l’avventura della sequela (cf. Gv 21,15-19). Si tratta di un dialogo in cui il Signore rivela a Simone di essere vivo persino nei suoi sentimenti. Per ben tre volte gli chiede se lo ami, anzi, se gli voglia bene; è una richiesta fatta con insistenza, non tanto perché Egli mette in dubbio la sincerità di Simone, quanto perché intende ricordargli che pascere è un “servizio d’amore”. Forse, la promessa della consegna delle chiavi del Regno dei cieli, compiuta da Gesù a Cesarea di Filippo (cf. Mt 16,19), si è realizzata sulla riva del Mare di Galilea, al termine del dialogo di Simone con il Risorto. Chissà? Pietro sente ancora bruciare dentro di sé la ferita del rinnegamento, aperta nella notte del tradimento, e tuttavia rinnova la sua solenne professione di fede: “Signore tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene” (Gv 21,17). “Come poteva non credergli – scrive sant’Agostino – Colui che gli leggeva il cuore?” (Sermo 295,4).
“Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?” (Gv 21,17). Questa domanda il Signore la rivolge, oggi, a ciascuno di noi. Si tratta di un interrogativo che può aiutarci a fare un vero e proprio scrutinio, al compiersi di una stagione, segnata da dure prove, in cui il lockdown ha provocato anche un blackout pastorale, oltre che sociale ed economico. Sulla brace dell’evangelizzazione, tenuta accesa dallo Spirito santo, il coprifuoco ha gettato molta cenere. C’è, infatti, chi ha rinunciato a priori a fare dell’imprevisto una risorsa, aspettando passivamente il ritorno alla normalità. C’è pure chi, chiuso in una sorta di “arca di Noè”, si è limitato ad attraversare il sagrato con la mascherina ben calzata, senza immaginazione creativa. C’è anche chi è entrato nella “rete” dei blog e dei social network privo dei dispositivi di protezione, ignaro della “carica virale” insita nelle loro potenzialità. C’è persino chi, improvvisandosi “virologo”, ritiene che il “vaccino” più efficace per il Corpo ecclesiale non abbia bisogno del “richiamo” sinodale. Al contrario, c’è chi si lascia ammaestrare dalla “scuola della Parola” e dalla lezione dei “segni dei tempi”, riscoprendo nella domus Ecclesiae l’ambiente vitale della trasmissione della fede. Stimolante, al riguardo, è l’immagine evocata dall’Arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini, in occasione della festa di Sant’Ambrogio dello scorso anno. “Il profeta Geremia, mentre si profila la caduta di Gerusalemme e la deportazione del popolo, firma un contratto per acquistare un campo, fa un investimento sul futuro (cf. Ger 32,1-15). Ognuno, per quello che può e secondo le proprie responsabilità, deve comprare un campo, cioè deve avere la responsabilità di una visione, i cui tratti fondamentali sono la famiglia, cellula che genera la società e il suo futuro, e il compito irrinunciabile dell’educazione di grande qualità”.
Nelle circostanze attuali, tanto difficili quanto gravide di attese, occorre fare un investimento sul futuro, aprendo strade nuove alla pastorale familiare, che il tempo di prova e di verità della crisi pandemica ha fatto venire meglio alla luce. La trasmissione della fede, infatti, ha la sua “natività” in famiglia, scuola primaria di evangelizzazione, come documenta l’esperienza compiuta da Paolo a Corinto nella casa di Aquila e Priscilla (cf. At 18,1-11). È necessario, pertanto, prendersi cura delle famiglie, in particolare quelle “in allestimento” e “in difficoltà”, “assalite da preoccupazioni che rischiano di paralizzarne i progetti di vita” e di compromettere la “sostenibilità generazionale”. L’Anno “Famiglia Amoris laetitia” si offre, dunque, come momento favorevole per avviare, “senza restare nell’ambito dell’emergenza e del provvisorio”, questo decisivo investimento pastorale, che l’inverno demografico, “freddo e buio”, non consente di rinviare.
Come tutte le crisi, anche quella provocata dalla pandemia costituisce un’opportunità per ripensare la presenza e la missione della Chiesa. “Essa – osservava il card. Joseph Ratzinger – necessita, da una parte, di flessibilità per poter accettare i cambiamenti di ordine sociale e culturale oggi in atto e per potersi liberare dei condizionamenti in cui si trova. Dall’altra, le è ancora necessaria la fedeltà (…) per conservare l’uomo aperto verso l’alto, verso Dio”. Flessibilità e fedeltà sono doni dello Spirito paragonabili, rispettivamente, al vento e al fuoco: l’uno ricorda il “soffio primordiale” (cf. Gen 2,7), l’altro richiama il Sinai “tutto fumante” (cf. Es 19,18). La brezza dello Spirito ravvivi la fiamma della comunione e faccia un rogo solo di tutte le “restrizioni” che impediscono di ascoltare, in questo kairos, un forte invito al rinnovamento, terra fertile e incolta della speranza.

+ Gualtiero Sigismondi