Per chi va in Terra Santa quel pozzo di Sicar – cari fratelli e sorelle – si vede ancora, almeno con gli occhi della tradizione che lo ha integrato in una chiesa. Ma più ancora lo si vede, perché, simbolicamente, è il pozzo della nostra vita, a cui ciascuno di noi ogni giorno va ad attingere acqua. Quella donna di casa, armata di una brocca, è l’umanità assetata. Siamo noi quando chiediamo “il nostro pane quotidiano”, o quando imploriamo, come in questi giorni, liberaci dalla guerra, facci uscire da questa pandemia, dà un po’ di ristoro alle nostre fatiche.
Questo aspetto esistenziale, anche materiale, non sta fuori dall’orizzonte di Dio. È lui che ci ha fatti di anima e di corpo. E venendo in mezzo a noi, ha preso proprio il nostro corpo. Per questo la nostra meditazione non può esimersi, in questo momento, dal mettersi in profonda sintonia con il dolore del popolo ucraino, con i corpi dilaniati di quanti hanno perso la vita, con gli occhi smarriti dei bimbi sotto le bombe, con gli sguardi disperati di tanti che fuggono, e che a noi chiedono una solidarietà e una accoglienza che ci disponiamo prontamente a dare. In essi accogliamo Gesù. Quello stesso Gesù che si ritrovò su una strada di Samaria al pozzo di Sicar duemila anni fa, ed ora torna a quel pozzo anche per noi.
Come è toccante che arrivi “stanco dal viaggio”. Nel racconto evangelico è mezzogiorno. C’è tanto calore. Gesù è stanco e assetato. Quanta prossimità, quanta unità con la nostra condizione umana! Metterci nel cammino di quaresima è metterci oggi, nel colloquio con Gesù, a fare i conti con la nostra vita.
E non è sorprendente, tenero, bellissimo, che Gesù venga a noi quasi a mendicare? «Dammi da bere». Proprio così. Il suo modo di evangelizzare, quello che dobbiamo recuperare anche come stile pastorale, in questo tempo di crisi della fede, passa attraverso una mano tesa. Dobbiamo essere, come Gesù, una Chiesa che non ama i piedistalli, piuttosto accorcia le distanze, scende a livello delle persone. Una Chiesa che, senza ripudiare i suoi luoghi ridondanti di storia, di arte e di cultura – pur sempre da custodire per amore di Dio e degli uomini – non vi si rintana, ma li apre e si apre, assumendo, come suo stile, il cammino, la strada, il campanello delle case e soprattutto quello dei cuori. Ogni persona che incontro è un’opportunità di evangelizzazione: una opportunità da declinare innanzitutto come prossimità e attenzione all’altro – così dovette apparire alla Samaritana il primo sguardo di Gesù! – per farsi poi umile e discreta richiesta di attenzione – sapendo che abbiamo non solo da dare, ma anche da ricevere–, e si sviluppa infine come gioiosa notizia da portare, nella consapevolezza che non sempre sarà accettata, che magari occorrerà – come nel dialogo di Gesù con la Samaritana – esporla alla sfida del dibattito, dell’incomprensione, della critica. Ma è comunque una notizia di salvezza, che non possiamo tenere per noi.
Intanto la riceviamo noi stessi, sempre di nuovo. Non possiamo darci la posa di evangelizzatori, se non ci sentiamo prima noi sempre bisognosi di evangelizzazione. La bella notizia infatti, quella a cui dobbiamo continuamente ritornare, per poterla efficacemente donare, è ben più di una notizia: è notizia fatta carne, è volto, è cuore, è insomma Gesù. Quello che avviene al pozzo di Giacobbe, per la Samaritana, e per ciascuno di noi, è una introduzione, parola dopo parola, domanda dopo domanda, al mistero di Gesù. Quella donna parla e quasi senza accorgersene s’innamora. Gesù le parla con la tenerezza e la premura di un innamorato. C’è un incontro di due vite: a Gesù sta a cuore quella donna, ed entra dolcemente nei suoi segreti. A quella donna sta a cuore la vita, l’ «acqua viva», e per questo si lascia gradualmente conquistare da Gesù. Ogni sua domanda, quasi banale, partendo dalla prospettiva della quotidianità, suscita una risposta di Gesù che è un’onda di vita nuova.
Tutto si incardina sulla prima richiesta: «dammi da bere». Gesù chiede e dà. La donna che gli sta di fronte sa che egli è un giudeo, dal quale mai si aspetterebbe la parola. Era proibito ad un giudeo di rivolgere la parola a un samaritano. I samaritani si erano allontanati dall’ortodossia. Avevano, con i giudei, una storia fino a un certo punto comune, ma ormai li divideva una frontiera invalicabile. Persino il tempio non era più lo stesso: i Samaritani guardavano al monte Garizim, i giudei a Gerusalemme. Una controversia religiosa che aveva eretto un muro tra fratelli.
Gesù dà a questo muro il primo colpo di piccone: «se tu conoscessi il dono di Dio, e chi è colui che ti parla, saresti tu a chiedermi acqua, e io ti darei acqua viva». Più che colpo di piccone, è colpo d’ala. Il discorso si innalza dalla terra al cielo, dal tempo all’eterno. La prima breccia è aperta.
E noi che stiamo ascoltando questo dialogo, abbiamo forse qualche muro nascosto, che stiamo ponendo come barriera alla parola di Gesù? Siamo qui, all’inizio della nostra quaresima, perché egli possa farvi breccia. La quaresima è tempo di revisione di vita. La Pasqua brillerà sulle nostre macerie, nella misura in cui le avremo riconosciute e consegnate alla misericordia.
Come ad ondate, Gesù incalza quella donna. In questo momento incalza me. Incalza noi sua Chiesa, sua famiglia, suo popolo. Ci incalza con la seduzione di una promessa: quella di un’acqua viva, che zampilla dentro di noi, ed è sorgente di vita eterna. In un altro brano del Vangelo di Giovanni, al cap. 7, si svelerà il carattere personale di questo zampillo di vita: si tratta dello Spirito Santo. Siamo nel cuore stesso della vita trinitaria che batte dentro di noi. Ma occorre sentire questo battito. Occorre, per sentirlo, fare deserto, come al pozzo di Sicar, perché le mille voci del tempo non ci distraggano da questa percezione permettendo allo Spirito di zampillare.
Come si fa a far deserto? La domanda di Gesù, quella che finalmente costringe la Samaritana ad arrendersi, è la domanda sulla sua vita. «Va a chiamare tuo marito». Alla risposta ambigua della donna – «non ho marito» – si apre lo scenario di una vita che ha bisogno di essere rimessa in ordine, dove il peccato ha fatto disastri, e su cui Gesù fa luce, mettendo insieme verità e tenerezza. «Hai detto bene, perché ne hai avuti cinque, e quello che hai non è tuo». La vita è messa a nudo. Il deserto quaresimale serve a farci fare verità con noi stessi, perché la breccia si possa aprire, la pietra si possa frantumare, e l’acqua viva possa finalmente zampillare.
Gesù non rimprovera con sguardo severo. È luce che comincia ad invadere il cuore. Quel riconoscimento del peccato ha aperto le porte. Ora si può ragionare di fede. E sgorga la domanda fondamentale, quella su Dio, posta però da una prospettiva marginale. “Dov’è che egli vuole essere adorato?” A Gerusalemme, o sul monte Garizim?
Quante domande della nostra fede ruotano intorno alle pratiche, alle consuetudini religiose, all’ordinamento liturgico. Quante polemiche nel corso della vita della Chiesa, antica e contemporanea, hanno portato persino alla divisione. Gesù non spazza via come insignificante anche questo nostro piccolo mondo di cose concrete. Ribadisce che anche i gesti, le pratiche, le tradizioni, hanno un loro peso, perché la salvezza si è fatta carne. Il Dio di Abramo si è fatto vicino facendo suo un preciso segmento di storia che porta proprio a lui, a Gesù. E dunque riamane vero quello che egli afferma: la salvezza viene dai giudei.
E tuttavia il percorso carnale della salvezza ha bisogno di salire a una nuova altezza, che porta dritto al cuore di Dio: «Viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità». Due parole che non vogliono diluire nell’astrattezza il culto autentico, ma lo vogliono riportare alla sua sorgente trinitaria. Nel linguaggio dell’evangelista lo spirito è, in ultima analisi, lo Spirito di Dio, e la verità è, in definitiva, Gesù stesso.
Ecco delineato il nostro cammino quaresimale: si tratta di portare la nostra vita, in tutte le sue espressioni, al livello di un’esistenza inabissata nella Trinità. Non saliremo probabilmente alle altezze mistiche di sant’Angela. Ma tutti possiamo dire, con vero riconoscimento del cuore, e lo faremo tra poco nel silenzio dell’adorazione eucaristica: grazie, mio Dio, Padre, Figlio, Spirito Santo, perché hai messo in me la tua casa. Io vivo in te e tu vivi in me.
Ogni nostra comunione eucaristica dà corpo a questa nostra verità di figli, germinata nel battesimo, continuamente da riscoprire. Per questo ci siamo dati, come chiesa diocesana, una preghiera comune che è il rinnovamento continuo della nostra consacrazione battesimale. Preghiera rivolta a Gesù, affiancata dall’affidamento a Maria e dall’invocazione di Giuseppe. Una preghiera che serve a far risuonare nella nostra vita personale e comunitaria e soprattutto nelle nostre case – se riusciremo a farla emergere nello strepito delle mille voci dei televisori e dei social – il nome santo di Gesù che ci porta nelle profondità della vita divina, dove Satana non ha accesso e la nostra vita fiorisce per sempre.
Ormai la domanda decisiva della Samaritana è pronta: quella sull’inviato di Dio, il Cristo atteso, che tutte queste cose farà diventare realtà. Ne scaturisce l’auto-testimonianza di Gesù, fatta per ancorare la nostra vita al cielo, se noi l’accogliamo come l’accolse la Samaritana: «Sono io che parlo con te».
Come sarà bello se, nei prossimi momenti dedicati alla preghiera silenziosa, sentiremo come un parola dolce che viene a noi dall’ostia santa: «Sono io che parlo con te». Il nostro Dio ci attende a questo appuntamento. La quaresima è fatta per renderlo, quest’appuntamento, bello, gioioso, pasquale, pieno di vita nuova. Possa succedere anche a noi quello che accadde ai samaritani venuti da Gesù sulle orme della loro concittadina: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».
Sì, Gesù, noi crediamo che tu sei il salvatore del mondo. Rendi piena, con l’abbondanza del tuo Spirito, sorgente zampillante per la vita eterna, questa nostra fede in te, perché ridiventi la fede del nostro popolo, e il nostro ritorno al Vangelo prenda di nuovo le nostre case e le nostre famiglie, ci renda tutti sempre più una famiglia, e dia anche alle nuove generazioni il brivido della prima ora cristiana, quando la “bella notizia” si impose, sulle resistenze di un’antica stagione prossima alla decadenza, come aurora di giovinezza. Vieni, Signore Gesù!