Catechesi del Vescovo per l’Avvento 2014

28-11-2014
Meditazione dettata agli operatori pastorali, riuniti in Cattedrale, all’inizio dell’Avvento 2014
 
 
Il tempo d’Avvento è un pellegrinaggio alle “sorgenti” del Verbo di Dio che, come affermava Sant’Ignazio d’Antiochia, “è uscito dal silenzio”. “Nel quieto silenzio che avvolgeva ogni cosa, mentre la notte giungeva a metà del suo corso, il tuo Verbo onnipotente, o Signore, è sceso dal cielo, dal trono regale”. La liturgia affida a questa antifona, desunta dal Libro della Sapienza (cf. 18,14-15), il compito di annunciare la venuta del Signore. Il termine “avvento” anticamente indicava l’arrivo del re o dell’imperatore in una determinata provincia. Per noi cristiani la parola “avvento” indica che Dio si è chinato sull’uomo: ha stretto alleanza con lui entrando nella storia di un popolo. “Egli è il Re che è sceso in questa povera provincia che è la terra e ha fatto dono a noi della sua visita assumendo la nostra carne, diventando uomo come noi”. L’Avvento ci invita a ripercorrere il cammino di questa presenza e ci fa riscoprire la bellezza di essere tutti in cammino, con fiduciosa speranza, attraverso i sentieri del tempo. “La vera speranza cristiana, che cerca il Regno escatologico – scrive Papa Francesco nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium –, genera sempre storia”.
Il tempo d’Avvento ci restituisce l’orizzonte della speranza, “una speranza che non delude”. Il modello di questo atteggiamento spirituale è la Vergine Maria, che porta nel cuore tutta la speranza di Dio. Nel suo grembo verginale la speranza di Dio ha preso carne! L’evento dell’Annunciazione è avvolto da un grande silenzio: è un mistero che accade nel silenzio (cf. Lc 1,26-38). Maria è tutta raccolta e al tempo stesso aperta all’ascolto di Dio. In lei, “una meraviglia credente”, non c’è ostacolo, non c’è schermo, non c’è nulla che la separi da Dio. Questo è il significato del suo essere senza peccato originale: la sua relazione con Dio è libera da qualsiasi pur minima incrinatura; il suo cuore è perfettamente “centrato” in Dio. Ella, “scrigno silente della Parola”, si è fatta interprete dell’arcano tacere del cielo, custodendo nel segreto del suo Cuore immacolato le meraviglie operate dal Signore (cf. Lc 2,19.51). “Il Verbo di Dio – scriveva don Tonino Bello – nel grembo dell’eternità era fasciato dal silenzio. Entrando nel mondo della storia, non poteva avere altre bende. E Maria gliele ha offerte”. Il silenzio di Maria è colmo del suo Fiat.
La Madre di Dio, mirabile “icona” del silenzio posta dalla Chiesa sul “portale” dell’Avvento, insegna ad ascoltare la “voce” del silenzio. L’esistenza dell’uomo si svolge fra il silenzio e la parola. Il silenzio è parte integrante della comunicazione e senza di esso non esistono parole dense di contenuto. Nel silenzio ascoltiamo e conosciamo meglio noi stessi, nasce e si approfondisce il pensiero, scegliamo come esprimerci, comprendiamo con maggiore chiarezza ciò che desideriamo dire o ciò che ci viene detto. Tacendo si permette agli altri di parlare, di esprimersi, e a noi di non rimanere legati, senza un opportuno confronto, soltanto alle nostre idee. “Nel silenzio – affermava Dietrich Bonhoeffer – è insito un meraviglioso potere di osservazione, di chiarificazione, di concentrazione sulle cose essenziali”. Nel silenzio parlano la gioia, le preoccupazioni, la sofferenza; nel silenzio si colgono i momenti più autentici della comunicazione tra coloro che si amano: l’espressione del volto, il linguaggio del corpo. L’amore, infatti, si nutre di silenzi e di sguardi.
Il silenzio è il “grembo” della parola, la forma più radicale della parola. Il linguaggio è nesso dialettico di silenzio e di parola, che esce dal silenzio e brama ritornarvi. Parola e silenzio sono due momenti della comunicazione che devono equilibrarsi e integrarsi. Quando parola e silenzio si escludono a vicenda, la comunicazione si deteriora, o perché provoca un certo stordimento, o perché, al contrario, crea un clima di freddezza; quando, invece, si integrano reciprocamente, la comunicazione acquista valore e significato. A giudizio di Romano Guardini “è capace di silenzio soltanto chi sa parlare”. Quanto il silenzio e la parola siano intimamente correlati lo si vede nelle loro forme distorte: la chiacchiera e il mutismo. “Non appena il parlare perde quel suo momento costitutivo che è il silenzio, nasce la chiacchiera. Non appena il silenzio non conserva in sé la forza della parola, si trasforma in mutismo”. La parola sarebbe, dunque, condannata a una violenza senza tregua se non conoscesse la catarsi del silenzio. E tuttavia il vero silenzio cerca sempre e comunque l’esodo in direzione della parola. Il silenzio è custode dell’interiorità, genera attenzione, accoglienza, empatia, dispone all’ascolto, al parlare misurato, al discernimento di se stessi e degli altri.
Il silenzio è, in un certo senso, il respiro dell’anima, l’ossigeno dello spirito. Il confronto con il silenzio media l’incontro persino con se stessi. “Insegna ad essere fermi nei buoni pensieri – diceva Paolo VI –, intenti alla vita interiore, pronti a ben sentire le segrete ispirazioni di Dio e le esortazioni dei veri maestri”. Non occorre andare nel deserto o sulla cima di una montagna per cercare il silenzio e nemmeno è necessario recarsi nelle grandi città per trovare il chiasso: abitano entrambi dentro di noi. Secondo Anna Maria Cànopi “il silenzio, evento di profondità e di unificazione, non lo si acquista e neppure lo si conquista, ma lo si riceve in dono; non è una virtù ma l’alveo di tutte le virtù”. Il primo passo per apprendere l’arte del silenzio è rimanere nell’interiorità, in quell’habitare secum così prezioso per la tradizione monastica e filosofica. Il silenzio vero si stabilisce solo in un cuore puro: un cuore in cui tace la veemenza delle passioni e la sete di prestigio. Per fare silenzio non serve sorvegliare la porta delle labbra, ma occorre rendere attento l’orecchio del cuore. Si comincia a fare silenzio quando si ode la necessità di donare se stessi, quando si avverte l’esigenza di dimenticare se stessi. Si inizia ad apprendere l’arte di fare silenzio quando gli occhi, colmi di stupore, aprono la mente alla meraviglia e il cuore alla gratitudine.
Per la fede ebraica e cristiana il silenzio è una dimensione teologica: sul monte Oreb il profeta Elia ha percepito di essere alla presenza di Dio non nel fragore di venti, tuoni e terremoto ma solo quando ha inteso il sussurro di una brezza leggera, “la voce di un silenzio sottile” (1Re 19,12). Il Dio della rivelazione biblica parla anche senza parole. “Come mostra la Croce di Cristo, Dio parla anche per mezzo del suo silenzio. Il silenzio di Dio – scriveva Benedetto XVI nell’esortazione apostolica Verbum Domini –, l’esperienza della lontananza dell’Onnipotente e Padre è tappa decisiva nel cammino terreno del Figlio di Dio, Parola incarnata”. La grande tradizione patristica insegna che i misteri di Cristo sono legati dal silenzio e solo in esso la Parola può trovare dimora in noi, come è accaduto in Maria, “inseparabilmente donna della Parola e del silenzio”. San Girolamo era ben cosciente che la Sacra Scrittura è lo strumento “con cui ogni giorno Dio parla ai credenti”; così scriveva al sacerdote Nepoziano: “Leggi con molta frequenza le divine Scritture; anzi, che il Libro santo non sia mai deposto dalle tue mani. Impara qui quello che tu devi insegnare”.
“La preghiera ha per padre il silenzio e per madre la parola di Dio”, che deve essere accolta nella quiete profonda del cuore. Per fare questo, raccomandava Dietrich Bonhoeffer, “e necessario stare in silenzio di primo mattino, perché è Dio che deve avere la prima parola; è opportuno stare in silenzio prima di addormentarci, perché anche l’ultima parola spetta a Dio. È bene stare in silenzio prima dell’ascolto della Parola, perché i nostri pensieri siano già rivolti al Signore; è cosa buona stare in silenzio anche dopo aver udito la Parola, perché essa ci parli ancora e prenda dimora in noi”. Il silenzio è, dunque, la colonna sonora della preghiera, che è essenzialmente un atto di ascolto, di confronto, di discernimento. Nella preghiera entrano in contatto due silenzi, quello umano e quello divino. La preghiera ha bisogno di una particolare finezza uditiva e di una singolare forza espressiva, quella del gemito, che custodisce l’eco della parola di Dio e depone ogni superba onnipotenza delle parole umane. L’orazione è, dunque, dialogo tra silenzio e Parola!
Il silenzio dell’ascolto delle Scritture, custodito attraverso la prassi della lectio divina e amplificato mediante la pratica dell’adorazione eucaristica, è la via che il tempo d’Avvento ci sollecita a preparare al Signore, senza rifugiarsi in qualche falsa spiritualità che non sa coniugare il silenzio dell’adorazione e il gemito dell’intercessione, poiché “la contemplazione che lascia fuori gli altri – avverte Papa Francesco – è un inganno”. “Stare in silenzio davanti al Signore” (cf. Sal 37,7), realmente presente nel Sacramento dell’Altare, è una singolare forma di raccoglimento che apre la strada all’annuncio del Vangelo. “Se non proviamo l’intenso desiderio di far conoscere il Signore – scrive il Papa nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium – abbiamo bisogno di soffermarci in preghiera per chiedere a Lui che torni ad affascinarci”.
La Vergine Maria, Virgo silentissima, ci insegna ad “affrettare nella speranza” il nostro cammino verso il Signore che viene a visitarci, viene a liberarci, viene a illuminarci, viene a salvarci. Il suo Grembo verginale conosce a fondo l’attesa, quella trepidante e gioiosa di ogni madre, il silenzio del “lievitare” di una vita nuova; il suo Cuore immacolato è come una cattedrale, che secondo Max Picard “è un’immensa cisterna di silenzio cesellata di pietre”: di pietre vive!
 
+ Gualtiero Sigismondi, Vescovo di Foligno