22-10-2018
Esequie di don Giuliano Pastori – Santuario della Madonna del Pianto, 22 ottobre 2018
Il Signore, che “dispone i tempi del nascere e del morire”, oggi ci ha convocati attorno a questo altare, di fronte al quale è deposta a terra la bara che custodisce le spoglie mortali di don Giuliano. Le letture proclamate sono quelle proposte dalla liturgia odierna e ci invitano, da una parte, a credere che “per grazia siamo stati salvati” (cf. Ef 2,1-10) e, dall’altra, a riconoscere che la vita “non dipende da ciò che si possiede” (cf. Lc 12,31-21).
Scrivendo agli Efesini, Paolo afferma, senza mezzi termini: “Eravate morti per le vostre colpe e i vostri peccati” (Ef 2,1). Dopo questo esordio, che lascia senza fiato, Paolo cambia soggetto, passa bruscamente dalla seconda alla prima persona plurale e confessa: “Anche tutti noi, vissuti nelle nostre passioni carnali, eravamo per natura meritevoli d’ira, come gli altri” (Ef 2,3). Poi l’apostolo tira un sospiro di sollievo ed esclama: “Ma Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo”. (Ef 2,4-5). “Ma Dio”: questa espressione risuona anche negli Atti, sulle labbra di Pietro, per sottolineare che il Padre ha liberato il Figlio suo dalle tenebre e dall’ombra di morte (cf. At 3,15). “Ma Dio, ricco di misericordia”: la storia poggia su questo architrave, che nulla toglie alla giustizia. La misericordia divina si manifesta come silenzio che accoglie, ascolta, perdona; nell’evento della Croce, Dio ci rivela che “siamo opera sua” e ci offre la “misura alta” del suo amore che sopravanza il peccato: “Dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia” (Rm 5,20).
Nel Vangelo Gesù ci avverte che la misericordia non regge se cede l’adesione alla verità tutta intera di questa sua parola: “Fate attenzione e tenetevi lontano da ogni cupidigia” (Lc 12,15). La parabola che egli racconta mette in guardia dalla tentazione a cui non ha saputo resistere quell’uomo ricco a cui la campagna aveva dato un raccolto abbondante: “Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi, divertiti” (Lc 12,19). Egli progetta di demolire i magazzini per costruirne altri più grandi, dimenticando non solo che “la vita è come il fiore del campo che spunta al mattino e avvizzisce la sera”, ma anche che “chi accumula tesori per sé non si arricchisce presso Dio” (cf. Lc 12,21). Il più sicuro investimento è la condivisione dei beni; ciò che salva non è la ricchezza di questo mondo, “ma Dio, ricco di misericordia”. “Alla sera della vita – assicura San Giovanni della Croce –, saremo giudicati nell’amore”.
Fratelli carissimi, l’uomo è un essere in cammino; per tutta la vita è chiamato a mettersi in cammino, in continua uscita da dove si trova: da quando esce dal grembo materno della madre, da quando passa da un’età della vita a un’altra, fino a quando esce da questa esistenza terrena. Il cammino è metafora che rivela il senso della vita umana, che non basta a se stessa, ma è sempre in cerca di qualcosa di ulteriore. L’inquietudine della ricerca di qualcosa di ulteriore don Giuliano l’ha manifestata, in modo particolarissimo, nella sua passione per l’arte, che neppure le macerie del terremoto sono riuscite a seppellire. I suoi numerosi viaggi all’estero, compiuti assieme a qualche confratello, hanno dato voce, anch’essi, alla sua sete di infinito, che la bellezza della valle del Menotre ha ispirato e custodito.
Fratelli carissimi, “dono e mistero” è ogni vita sacerdotale: così scrisse, in occasione del suo 50° di sacerdozio, San Giovanni Paolo II, di cui proprio oggi celebriamo la memoria. Dono e mistero è stato anche il sacerdozio di don Giuliano che, come ogni ministro ordinato, quotidianamente prova lo stupore di salire all’altare, osando dire: “Non guardare i nostri peccati, ma la fede della tua Chiesa”. Consapevoli che nessuno è incensurato davanti a Dio, è consolante sapere che oltre la morte vedremo finalmente la nostra storia, tutta intera, dal suo principio, dall’istante in cui il Creatore ci ha concepito nei suoi pensieri, fino al momento in cui i nostri occhi si poseranno sull’orizzonte infinito per cui sono stati fatti.
Fratelli carissimi, nel presentare la nostra preghiera di suffragio per don Giuliano e di conforto per i suoi familiari, ci viene in soccorso la liturgia esequiale che, nel rito dell’ultima raccomandazione e del commiato, suggerisce di recitare questa invocazione: “Venite, Santi di Dio, accorrete, Angeli del Signore; accogliete la sua anima e presentatela al trono dell’altissimo”. È il “trono della grazia” (cf. Eb 4,16).
Il Signore, che “dispone i tempi del nascere e del morire”, oggi ci ha convocati attorno a questo altare, di fronte al quale è deposta a terra la bara che custodisce le spoglie mortali di don Giuliano. Le letture proclamate sono quelle proposte dalla liturgia odierna e ci invitano, da una parte, a credere che “per grazia siamo stati salvati” (cf. Ef 2,1-10) e, dall’altra, a riconoscere che la vita “non dipende da ciò che si possiede” (cf. Lc 12,31-21).
Scrivendo agli Efesini, Paolo afferma, senza mezzi termini: “Eravate morti per le vostre colpe e i vostri peccati” (Ef 2,1). Dopo questo esordio, che lascia senza fiato, Paolo cambia soggetto, passa bruscamente dalla seconda alla prima persona plurale e confessa: “Anche tutti noi, vissuti nelle nostre passioni carnali, eravamo per natura meritevoli d’ira, come gli altri” (Ef 2,3). Poi l’apostolo tira un sospiro di sollievo ed esclama: “Ma Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo”. (Ef 2,4-5). “Ma Dio”: questa espressione risuona anche negli Atti, sulle labbra di Pietro, per sottolineare che il Padre ha liberato il Figlio suo dalle tenebre e dall’ombra di morte (cf. At 3,15). “Ma Dio, ricco di misericordia”: la storia poggia su questo architrave, che nulla toglie alla giustizia. La misericordia divina si manifesta come silenzio che accoglie, ascolta, perdona; nell’evento della Croce, Dio ci rivela che “siamo opera sua” e ci offre la “misura alta” del suo amore che sopravanza il peccato: “Dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia” (Rm 5,20).
Nel Vangelo Gesù ci avverte che la misericordia non regge se cede l’adesione alla verità tutta intera di questa sua parola: “Fate attenzione e tenetevi lontano da ogni cupidigia” (Lc 12,15). La parabola che egli racconta mette in guardia dalla tentazione a cui non ha saputo resistere quell’uomo ricco a cui la campagna aveva dato un raccolto abbondante: “Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi, divertiti” (Lc 12,19). Egli progetta di demolire i magazzini per costruirne altri più grandi, dimenticando non solo che “la vita è come il fiore del campo che spunta al mattino e avvizzisce la sera”, ma anche che “chi accumula tesori per sé non si arricchisce presso Dio” (cf. Lc 12,21). Il più sicuro investimento è la condivisione dei beni; ciò che salva non è la ricchezza di questo mondo, “ma Dio, ricco di misericordia”. “Alla sera della vita – assicura San Giovanni della Croce –, saremo giudicati nell’amore”.
Fratelli carissimi, l’uomo è un essere in cammino; per tutta la vita è chiamato a mettersi in cammino, in continua uscita da dove si trova: da quando esce dal grembo materno della madre, da quando passa da un’età della vita a un’altra, fino a quando esce da questa esistenza terrena. Il cammino è metafora che rivela il senso della vita umana, che non basta a se stessa, ma è sempre in cerca di qualcosa di ulteriore. L’inquietudine della ricerca di qualcosa di ulteriore don Giuliano l’ha manifestata, in modo particolarissimo, nella sua passione per l’arte, che neppure le macerie del terremoto sono riuscite a seppellire. I suoi numerosi viaggi all’estero, compiuti assieme a qualche confratello, hanno dato voce, anch’essi, alla sua sete di infinito, che la bellezza della valle del Menotre ha ispirato e custodito.
Fratelli carissimi, “dono e mistero” è ogni vita sacerdotale: così scrisse, in occasione del suo 50° di sacerdozio, San Giovanni Paolo II, di cui proprio oggi celebriamo la memoria. Dono e mistero è stato anche il sacerdozio di don Giuliano che, come ogni ministro ordinato, quotidianamente prova lo stupore di salire all’altare, osando dire: “Non guardare i nostri peccati, ma la fede della tua Chiesa”. Consapevoli che nessuno è incensurato davanti a Dio, è consolante sapere che oltre la morte vedremo finalmente la nostra storia, tutta intera, dal suo principio, dall’istante in cui il Creatore ci ha concepito nei suoi pensieri, fino al momento in cui i nostri occhi si poseranno sull’orizzonte infinito per cui sono stati fatti.
Fratelli carissimi, nel presentare la nostra preghiera di suffragio per don Giuliano e di conforto per i suoi familiari, ci viene in soccorso la liturgia esequiale che, nel rito dell’ultima raccomandazione e del commiato, suggerisce di recitare questa invocazione: “Venite, Santi di Dio, accorrete, Angeli del Signore; accogliete la sua anima e presentatela al trono dell’altissimo”. È il “trono della grazia” (cf. Eb 4,16).
+ Gualtiero Sigismondi