28-03-2018
Messa crismale, 28 marzo 2018
“Gli occhi di tutti erano fissi su di lui” (Lc 4,20). La liturgia della Parola della Messa crismale ci introduce nella sinagoga di Nazaret, prima stazione della Via crucis di Gesù. Questo “assedio” di sguardi annuncia l’ora in cui la lancia colpirà il fianco di Cristo crocifisso – “Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto” (Gv 19,37) –, da cui usciranno “sangue ed acqua”, simboli dei sacramenti della Chiesa, chiamata a “tenere fisso lo sguardo su Gesù, Colui che dà origine alla fede e la porta a compimento” (Eb 12,2).
Fratelli carissimi, questa celebrazione, “una delle principali manifestazioni della pienezza del sacerdozio del vescovo”, è un incrocio di sguardi. C’è anzitutto lo sguardo paterno del vescovo verso i presbiteri e i diaconi i quali, nella misura in cui gli assicurano filiale rispetto e obbedienza, sperimentano il “peso di grazia” della fraternità sacramentale. C’è poi lo sguardo dei ministri ordinati verso il popolo sacerdotale che, a sua volta, volge gli occhi su di loro, che rinnovano gli impegni assunti il giorno dell’ordinazione. Il rito della rinnovazione delle promesse sacerdotali nella Messa crismale, preludio di quello delle promesse battesimali nella Veglia pasquale, ricorda ai ministri ordinati che “il Signore e la gente sono due direzioni verso cui deve orientarsi la loro vita”.
“La gente, con il travaglio delle sue situazioni, con le sue domande e i suoi bisogni, è un grande tornio che plasma l’argilla del nostro sacerdozio. Quando usciamo verso il popolo di Dio – osserva Papa Francesco –, ci accorgiamo che il Signore trasforma la nostra vita. Se al pastore è affidata una porzione di popolo, è anche vero che al popolo è affidato il sacerdote (…). Il prete, infatti, deve stare tra Gesù e la gente: con il Signore, sul monte, egli rinnova ogni giorno la memoria della chiamata; con le persone, a valle, senza mai spaventarsi dei rischi e senza irrigidirsi nei giudizi (…), egli offre loro l’unzione del Vangelo”. I pastori quanto più si immergono nel mistero di Cristo, scrutando la parola di Dio in silenzio davanti all’Eucaristia, tanto più realizzano la loro vocazione di “servi premurosi del popolo di Dio”.
Carissimi fratelli nel sacerdozio ministeriale, a noi è concessa la grazia di agire “in persona Christi”: “Egli è, allo stesso tempo, il Salvatore e la Salvezza”; “Egli non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mt 20,28). La misura alta dell’amore, adottata da Gesù, è quella di una dedizione senza riserve, “senza limiti di disponibilità”, cioè senza pretendere nulla per se stessi, se non la ricerca costante della santità, che è la migliore garanzia della fecondità pastorale. C’è, infatti, un legame strettissimo tra la santità e il ministero. Occorre, dunque, rinsaldare le fondamenta di una indispensabile disciplina spirituale con “una preghiera liturgica e personale che porti la vita davanti al Signore e il Signore dentro la vita”, una preghiera abitata dai volti e raccontata dai nomi dei fedeli a noi affidati.
Nella Messa crismale la liturgia della benedizione degli oli sottolinea che il sacerdozio ministeriale – “collegato intimamente, anzi, strutturalmente, all’Eucaristia” – si configura come servizio al sacerdozio battesimale. Gli oli santi, infatti, fanno gustare ai fedeli “il buon odore di Cristo”, il quale ha affidato agli apostoli la missione di guarire ogni malattia, scacciare i demoni, predicare che il Regno dei cieli è vicino (cf. Mt 10,1.7-8). L’olio degli infermi dà sollievo e conforto nel corpo, nell’anima e nello spirito a quanti sono oppressi da ogni malattia, angoscia o dolore; l’olio dei catecumeni, segno della forza divina, dà energia e vigore a coloro che assumono gli impegni della vita cristiana; il crisma, impregnato della forza dello Spirito, offre agli uomini i tesori della grazia divina e li rende partecipi della missione profetica, sacerdotale e regale di Cristo.
Spandere il profumo di una vita santa è il compito che accomuna pastori e fedeli. Questa unità di missione ha uno spazio privilegiato in cui esprimersi e consolidarsi: quello dell’amicizia fraterna, di cui ha parlato Papa Francesco alla 75ª Convention del Serra International, il 23 giugno 2017. “Essere laici amici dei preti, sostenendo la loro vocazione e il loro ministero. Amici che sanno accompagnarli e sostenerli con senso di fede, con l’assiduità della preghiera e con l’impegno apostolico; amici che condividono lo stupore della chiamata, il coraggio della scelta definitiva, le gioie e le stanchezze del ministero; amici che stanno vicini ai preti, che guardano con comprensione e tenerezza gli slanci generosi e le debolezze umane; amici pronti a ricordare loro che il servizio sacerdotale non può non essere degno del sacrificio che celebrano all’altare”.
Quanto una “devota e cordiale amicizia”, qualificata da un “delicato riserbo”, sia di aiuto ai ministri ordinati lo sottolinea Paolo VI nell’enciclica Sacerdotalis caelibatus, in cui esorta i fedeli laici a non far mancare ai sacerdoti “il conforto di una lieta corrispondenza alle loro cure pastorali”. Il Signore promette la sua ricompensa a chiunque accoglie i suoi discepoli, offrendo loro “anche un solo bicchiere d’acqua fresca” (cf. Mt 10,40-42). La preghiera è l’integratore più efficace che si possa garantire a chi ha la grande responsabilità di “ravvivare il dono ricevuto con l’imposizione delle mani” (2Tm 1,6). La chiamata di Dio a pascere, santificare e governare il suo popolo, pur essendo irrevocabile (cf. Rm 11,29), è custodita in vasi di creta (cf. 2Cor 4,7), e tuttavia la loro fragilità non ne riduce la capacità. Non è la fragilità a essere motivo di scandalo (cf. 2Cor 6,3), ma la mediocrità di una vita ossidata, cioè non lubrificata dal crisma dello Spirito, “olio di letizia”.
“Spirito del Signore gonfia di passione la vita dei tuoi presbiteri – così pregava don Tonino Bello, scomparso il 20 aprile di 25 anni fa –. Riempi di amicizie discrete la loro solitudine. Confortali con la gratitudine della gente e con l’olio della comunione fraterna. Ristora la loro stanchezza, perché non trovino appoggio più dolce per il loro riposo se non sulla spalla del Maestro. Dai loro occhi partano inviti a sovrumane trasparenze. Dal loro cuore si sprigioni audacia mista a tenerezza. Dalle loro mani grondi il crisma su tutto ciò che accarezzano”.
“Gli occhi di tutti erano fissi su di lui” (Lc 4,20). La liturgia della Parola della Messa crismale ci introduce nella sinagoga di Nazaret, prima stazione della Via crucis di Gesù. Questo “assedio” di sguardi annuncia l’ora in cui la lancia colpirà il fianco di Cristo crocifisso – “Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto” (Gv 19,37) –, da cui usciranno “sangue ed acqua”, simboli dei sacramenti della Chiesa, chiamata a “tenere fisso lo sguardo su Gesù, Colui che dà origine alla fede e la porta a compimento” (Eb 12,2).
Fratelli carissimi, questa celebrazione, “una delle principali manifestazioni della pienezza del sacerdozio del vescovo”, è un incrocio di sguardi. C’è anzitutto lo sguardo paterno del vescovo verso i presbiteri e i diaconi i quali, nella misura in cui gli assicurano filiale rispetto e obbedienza, sperimentano il “peso di grazia” della fraternità sacramentale. C’è poi lo sguardo dei ministri ordinati verso il popolo sacerdotale che, a sua volta, volge gli occhi su di loro, che rinnovano gli impegni assunti il giorno dell’ordinazione. Il rito della rinnovazione delle promesse sacerdotali nella Messa crismale, preludio di quello delle promesse battesimali nella Veglia pasquale, ricorda ai ministri ordinati che “il Signore e la gente sono due direzioni verso cui deve orientarsi la loro vita”.
“La gente, con il travaglio delle sue situazioni, con le sue domande e i suoi bisogni, è un grande tornio che plasma l’argilla del nostro sacerdozio. Quando usciamo verso il popolo di Dio – osserva Papa Francesco –, ci accorgiamo che il Signore trasforma la nostra vita. Se al pastore è affidata una porzione di popolo, è anche vero che al popolo è affidato il sacerdote (…). Il prete, infatti, deve stare tra Gesù e la gente: con il Signore, sul monte, egli rinnova ogni giorno la memoria della chiamata; con le persone, a valle, senza mai spaventarsi dei rischi e senza irrigidirsi nei giudizi (…), egli offre loro l’unzione del Vangelo”. I pastori quanto più si immergono nel mistero di Cristo, scrutando la parola di Dio in silenzio davanti all’Eucaristia, tanto più realizzano la loro vocazione di “servi premurosi del popolo di Dio”.
Carissimi fratelli nel sacerdozio ministeriale, a noi è concessa la grazia di agire “in persona Christi”: “Egli è, allo stesso tempo, il Salvatore e la Salvezza”; “Egli non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mt 20,28). La misura alta dell’amore, adottata da Gesù, è quella di una dedizione senza riserve, “senza limiti di disponibilità”, cioè senza pretendere nulla per se stessi, se non la ricerca costante della santità, che è la migliore garanzia della fecondità pastorale. C’è, infatti, un legame strettissimo tra la santità e il ministero. Occorre, dunque, rinsaldare le fondamenta di una indispensabile disciplina spirituale con “una preghiera liturgica e personale che porti la vita davanti al Signore e il Signore dentro la vita”, una preghiera abitata dai volti e raccontata dai nomi dei fedeli a noi affidati.
Nella Messa crismale la liturgia della benedizione degli oli sottolinea che il sacerdozio ministeriale – “collegato intimamente, anzi, strutturalmente, all’Eucaristia” – si configura come servizio al sacerdozio battesimale. Gli oli santi, infatti, fanno gustare ai fedeli “il buon odore di Cristo”, il quale ha affidato agli apostoli la missione di guarire ogni malattia, scacciare i demoni, predicare che il Regno dei cieli è vicino (cf. Mt 10,1.7-8). L’olio degli infermi dà sollievo e conforto nel corpo, nell’anima e nello spirito a quanti sono oppressi da ogni malattia, angoscia o dolore; l’olio dei catecumeni, segno della forza divina, dà energia e vigore a coloro che assumono gli impegni della vita cristiana; il crisma, impregnato della forza dello Spirito, offre agli uomini i tesori della grazia divina e li rende partecipi della missione profetica, sacerdotale e regale di Cristo.
Spandere il profumo di una vita santa è il compito che accomuna pastori e fedeli. Questa unità di missione ha uno spazio privilegiato in cui esprimersi e consolidarsi: quello dell’amicizia fraterna, di cui ha parlato Papa Francesco alla 75ª Convention del Serra International, il 23 giugno 2017. “Essere laici amici dei preti, sostenendo la loro vocazione e il loro ministero. Amici che sanno accompagnarli e sostenerli con senso di fede, con l’assiduità della preghiera e con l’impegno apostolico; amici che condividono lo stupore della chiamata, il coraggio della scelta definitiva, le gioie e le stanchezze del ministero; amici che stanno vicini ai preti, che guardano con comprensione e tenerezza gli slanci generosi e le debolezze umane; amici pronti a ricordare loro che il servizio sacerdotale non può non essere degno del sacrificio che celebrano all’altare”.
Quanto una “devota e cordiale amicizia”, qualificata da un “delicato riserbo”, sia di aiuto ai ministri ordinati lo sottolinea Paolo VI nell’enciclica Sacerdotalis caelibatus, in cui esorta i fedeli laici a non far mancare ai sacerdoti “il conforto di una lieta corrispondenza alle loro cure pastorali”. Il Signore promette la sua ricompensa a chiunque accoglie i suoi discepoli, offrendo loro “anche un solo bicchiere d’acqua fresca” (cf. Mt 10,40-42). La preghiera è l’integratore più efficace che si possa garantire a chi ha la grande responsabilità di “ravvivare il dono ricevuto con l’imposizione delle mani” (2Tm 1,6). La chiamata di Dio a pascere, santificare e governare il suo popolo, pur essendo irrevocabile (cf. Rm 11,29), è custodita in vasi di creta (cf. 2Cor 4,7), e tuttavia la loro fragilità non ne riduce la capacità. Non è la fragilità a essere motivo di scandalo (cf. 2Cor 6,3), ma la mediocrità di una vita ossidata, cioè non lubrificata dal crisma dello Spirito, “olio di letizia”.
“Spirito del Signore gonfia di passione la vita dei tuoi presbiteri – così pregava don Tonino Bello, scomparso il 20 aprile di 25 anni fa –. Riempi di amicizie discrete la loro solitudine. Confortali con la gratitudine della gente e con l’olio della comunione fraterna. Ristora la loro stanchezza, perché non trovino appoggio più dolce per il loro riposo se non sulla spalla del Maestro. Dai loro occhi partano inviti a sovrumane trasparenze. Dal loro cuore si sprigioni audacia mista a tenerezza. Dalle loro mani grondi il crisma su tutto ciò che accarezzano”.
+ Gualtiero Sigismondi