23-01-2018
Solennità di San Feliciano – Primi Vespri 2018
La Chiesa nasce dalla sorgente inesauribile scaturita dal fianco di Cristo (cf. Gv 19,34). Quel primordiale “battesimo di sangue e acqua” ha segnato gli inizi della Chiesa. Se la sequela di Gesù Cristo è l’essenza del cristianesimo, l’essere cristiani non può escludere a priori il martirio. Lo status di “discepoli permanenti” può sempre implicare il martirio, che è la forma suprema di testimonianza cristiana. Ecco il motivo più profondo per cui gli Acta Martyrum descrivono la Passio di San Policarpo come un “farsi Eucaristia”: ogni martire “entra nella piena comunione con la Pasqua di Gesù Cristo, diventando con Lui Eucaristia”.
I martiri testimoniano con la loro vita la possibilità di attraversare la storia rimanendo fedeli alla loro vocazione cristiana, senza farsi travolgere dai marosi della sopraffazione. Resistenti, ma non violenti, hanno replicato al male con il bene, con parole di verità e opere di giustizia. Mettendosi completamente in gioco, hanno anteposto il primato della coscienza e della libertà perfino alla propria vita. Il “battesimo di sangue” non è mai un disegno d’uomo, poiché vero martire è colui che è divenuto strumento di Dio, che ha perduto la sua volontà in quella del Signore e che non desidera più nulla per se stesso, neppure la “corona” del martirio.
Uno sguardo alla storia mostra che il martirio fa parte della natura e della missione della Chiesa fin dalle sue origini. Questo è evidente già con la lapidazione di Stefano, protomartire, e poi con le varie ondate di persecuzioni perpetrate dagli imperatori romani al fine di eliminare dalla società i cosiddetti “atei”, come erano definiti allora i cristiani. Anche nei secoli successivi, l’esperienza della missione evangelizzatrice della Chiesa è stata una storia di martirio, soprattutto in Giappone e in Cina, in Corea e in Uganda. Nel XX secolo un numero inimmaginabile di cristiani, una “moltitudine immensa”, sono stati perseguitati e uccisi a causa della loro fede. Le persecuzioni contro i cristiani hanno avuto una tale portata che si può tristemente affermare che nessun secolo come il XX ha visto così tanti martiri. Tali persecuzioni non sono cessate! Piuttosto, alla fine del secondo millennio e all’inizio del terzo, il cristianesimo è tornato a essere una Chiesa di martiri. Tertulliano affermava che il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani: “Sanguis martyrum semen christianorum”. Anche noi oggi possiamo serbare la speranza che il sangue di così tanti martiri del nostro tempo sarà, un giorno, seme della piena unità ecumenica del Corpo di Cristo. “L’ecumenismo del sangue – assicura Papa Francesco – precede ogni contrasto e rafforza il cammino verso l’unità”.
I martiri sono una “moltitudine immensa”, e tuttavia è la loro fedeltà a Cristo, senza condizioni, che li rende “immensi”. In ogni Passio, anche quella di San Feliciano, non manca mai un Pilato di turno che amplifica la voce del “sangue di Abele”; non manca nemmeno un sinedrio in cui risuona il grido di fede degli apostoli: “Noi non possiamo tacere” (cf. At 4,20).
La Chiesa nasce dalla sorgente inesauribile scaturita dal fianco di Cristo (cf. Gv 19,34). Quel primordiale “battesimo di sangue e acqua” ha segnato gli inizi della Chiesa. Se la sequela di Gesù Cristo è l’essenza del cristianesimo, l’essere cristiani non può escludere a priori il martirio. Lo status di “discepoli permanenti” può sempre implicare il martirio, che è la forma suprema di testimonianza cristiana. Ecco il motivo più profondo per cui gli Acta Martyrum descrivono la Passio di San Policarpo come un “farsi Eucaristia”: ogni martire “entra nella piena comunione con la Pasqua di Gesù Cristo, diventando con Lui Eucaristia”.
I martiri testimoniano con la loro vita la possibilità di attraversare la storia rimanendo fedeli alla loro vocazione cristiana, senza farsi travolgere dai marosi della sopraffazione. Resistenti, ma non violenti, hanno replicato al male con il bene, con parole di verità e opere di giustizia. Mettendosi completamente in gioco, hanno anteposto il primato della coscienza e della libertà perfino alla propria vita. Il “battesimo di sangue” non è mai un disegno d’uomo, poiché vero martire è colui che è divenuto strumento di Dio, che ha perduto la sua volontà in quella del Signore e che non desidera più nulla per se stesso, neppure la “corona” del martirio.
Uno sguardo alla storia mostra che il martirio fa parte della natura e della missione della Chiesa fin dalle sue origini. Questo è evidente già con la lapidazione di Stefano, protomartire, e poi con le varie ondate di persecuzioni perpetrate dagli imperatori romani al fine di eliminare dalla società i cosiddetti “atei”, come erano definiti allora i cristiani. Anche nei secoli successivi, l’esperienza della missione evangelizzatrice della Chiesa è stata una storia di martirio, soprattutto in Giappone e in Cina, in Corea e in Uganda. Nel XX secolo un numero inimmaginabile di cristiani, una “moltitudine immensa”, sono stati perseguitati e uccisi a causa della loro fede. Le persecuzioni contro i cristiani hanno avuto una tale portata che si può tristemente affermare che nessun secolo come il XX ha visto così tanti martiri. Tali persecuzioni non sono cessate! Piuttosto, alla fine del secondo millennio e all’inizio del terzo, il cristianesimo è tornato a essere una Chiesa di martiri. Tertulliano affermava che il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani: “Sanguis martyrum semen christianorum”. Anche noi oggi possiamo serbare la speranza che il sangue di così tanti martiri del nostro tempo sarà, un giorno, seme della piena unità ecumenica del Corpo di Cristo. “L’ecumenismo del sangue – assicura Papa Francesco – precede ogni contrasto e rafforza il cammino verso l’unità”.
I martiri sono una “moltitudine immensa”, e tuttavia è la loro fedeltà a Cristo, senza condizioni, che li rende “immensi”. In ogni Passio, anche quella di San Feliciano, non manca mai un Pilato di turno che amplifica la voce del “sangue di Abele”; non manca nemmeno un sinedrio in cui risuona il grido di fede degli apostoli: “Noi non possiamo tacere” (cf. At 4,20).
+ Gualtiero Sigismondi