13-12-2015
Apertura dell’Anno Santo – Cattedrale di San Feliciano, 13 dicembre 2015
“Rallegrati figlia di Sion, grida di gioia, Israele, esulta e acclama con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme!” (Sof 3,14): giunge provvidenziale, all’inizio del Giubileo straordinario della misericordia, questo grido di esultanza in cui confluisce l’esperienza di fede di Sofonia. Il profeta non accenna solamente alla felicità d’Israele liberato dal timore del nemico; non allude soltanto alla gioia di Gerusalemme che riconosce nel Signore il suo Re vittorioso; Sofonia parla della gioia di Dio: “Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un Salvatore potente. Gioirà per te, ti rinnoverà con il suo amore” (Sof 3,17). Il profeta non si accontenta di dire che Dio è fonte di gioia per l’uomo, ma afferma che Dio esulta quando la creatura umana si lascia rinnovare dal suo amore misericordioso. Parafrasando un’espressione di sant’Ireneo si potrebbe dire: “La gioia di Dio è l’uomo penitente, vivente”.
Fratelli carissimi, la gioia di Dio è perdonare! La Croce, “trono della grazia” (cf. Eb 4,16), manifesta la “misura alta” della misericordia di Dio che ama l’uomo “senza misura”. Dio, “principio e autore della Bellezza” (Sap 13,3), non rinuncia ai “diritti d’autore” sull’uomo plasmato a sua immagine e somiglianza (cf. Gen 1,27). Dio, “autore della vita” (At 3,15), è sempre pronto a chinarsi sul peccatore e a donargli il perdono: eccesso di grazia che sopravanza l’umana miseria (cf. Rm 5,20). Se il peccato si infiltra nella natura umana, la grazia penetra in essa, persino attraverso le fessure provocate dalla colpa di Adamo, che il Preconio pasquale osa chiamare necessaria e non esita a definire felice, perché “ha meritato di avere un così grande Redentore”. È sorprendente osservare che la Liturgia delle ore, nell’inno mariano Ave Maris Stella, dedica l’aggettivo felice alla Vergine Maria, chiamandola: “Porta felice del cielo”.
L’inizio della storia di peccato nel giardino dell’Eden si risolve in Maria Immacolata, “icona sublime della misericordia divina”. In Lei, “primizia della salvezza”, si compie quello che Paolo assicura ai cristiani di Filippi, “il Signore è vicino!”, raccomandando loro: “La vostra amabilità sia nota a tutti” (Fil 4,5). La misericordia è il segno più eloquente dell’amabilità di Dio, della sua vicinanza all’uomo peccatore, sempre amabile per Lui. Egli, infatti, “manifesta la sua onnipotenza soprattutto con la misericordia e il perdono”. La divina misericordia ha il volto del perdono, che è immeritato ma non incondizionato! Lungi dall’opporsi alla giustizia, la misericordia la esige, ma va oltre; i benefici della redenzione si estendono fino alle estreme conseguenze del peccato: non ci sono porte inviolabili per la divina misericordia! “Quanto torto viene fatto a Dio e alla sua grazia – ha esclamato Papa Francesco poco prima di aprire la Porta Santa nella Basilica di San Pietro – quando si afferma anzitutto che i peccati sono puniti dal suo giudizio, senza anteporre invece che sono perdonati dalla sua misericordia (cf. Agostino, De praedestinatione sanctorum 12,24)!”. “Dobbiamo anteporre la misericordia al giudizio, e in ogni caso il giudizio di Dio sarà sempre nella luce della sua misericordia”, che non è grazia “a buon mercato” ma “a caro prezzo”.
In comunione con tutta la Chiesa abbiamo compiuto il gesto tanto semplice quanto fortemente simbolico dell’apertura della Porta Santa; e adesso “che cosa dobbiamo fare?” (cf. Lc 3,10.12.14). Questo interrogativo, posto tre volte a Giovanni Battista, risuona come un appello alla conversione sulla soglia della Porta della misericordia, che vi invito a varcare “in uscita missionaria”.
“E noi, che cosa dobbiamo fare?”. L’Anno Santo – raccomanda Papa Francesco – va vissuto alla luce di questa parola: “Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso” (Lc 6,36). Se il pellegrinaggio – icona del cammino della vita e della condizione dei discepoli di Cristo – è un segno peculiare del Giubileo, il primo pellegrinaggio da compiere, per “ottenere misericordia”, è “fare misericordia”, cioè essere “ambasciatori del perdono, specialisti e artigiani della riconciliazione”. La misericordia porta il suo frutto quando l’uomo, amato fino al perdono, sa rivestirsi “di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità” (cf. Col 3,12-15). La capacità di accogliere il perdono di Dio dipende dalla libertà di offrirlo ai fratelli!
“E noi, che cosa dobbiamo fare?”. Fra le priorità indicate da Papa Francesco nella Bolla di indizione del Giubileo, Misericordiae Vultus, vi è la necessità di riconciliarsi con il sacramento della Penitenza, “seconda tavola di salvezza dopo il Battesimo”. “Nulla può rimettere la Chiesa senza Cristo – avverte il beato Isacco della Stella – e Cristo non vuole rimettere nulla senza la Chiesa”. Essa viene incontro alla debolezza dei suoi figli comunicando i benefici della redenzione di Cristo, che “veste di candore il peccatore pentito, ma non traveste di santità il peccato”. Il dono dell’indulgenza, offerto a tutti noi se confessati e animati da sincero pentimento, cancella completamente l’impronta del peccato, così come il Battesimo elimina la macchia della colpa di Adamo.
“E noi, che cosa dobbiamo fare?”. Durante l’Anno Santo il Papa ci invita a riscoprire le opere di misericordia corporale e spirituale, attraverso le quali la fede si traduce in gesti concreti e quotidiani, soprattutto in favore dei poveri: “in essi Dio mendica la nostra conversione”. “Se mediante le opere di misericordia corporale tocchiamo la carne del Cristo nei fratelli bisognosi di aiuto, con le opere di misericordia spirituale tocchiamo più direttamente il nostro essere peccatori”. Una delle opere di misericordia spirituale più trascurate è la correzione fraterna (cf. Gc 5,19-20); si tratta di una missione profetica che consiste nel parlare “a viso aperto” (cf. Gal 2,11), “con spirito di dolcezza” (cf. Gal 6,1), facendo tacere il grido di ribellione dell’amor proprio.
Il Giubileo è un dono che, a 50 anni dal Concilio Vaticano II, sollecita la Chiesa a varcare la Porta della misericordia con rinnovata esultanza. Questo Anno di grazia sia il “momento favorevole” per entrare nell’abbraccio della misericordia del Padre e per uscire verso i fratelli con lo spirito del buon Samaritano. “L’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia, un desiderio inesauribile di offrire misericordia”. Nel chiedere al Signore il dono dell’indulgenza, osiamo dire: “Non guardare ai nostri peccati, ma alla fede della tua Chiesa”.
“Rallegrati figlia di Sion, grida di gioia, Israele, esulta e acclama con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme!” (Sof 3,14): giunge provvidenziale, all’inizio del Giubileo straordinario della misericordia, questo grido di esultanza in cui confluisce l’esperienza di fede di Sofonia. Il profeta non accenna solamente alla felicità d’Israele liberato dal timore del nemico; non allude soltanto alla gioia di Gerusalemme che riconosce nel Signore il suo Re vittorioso; Sofonia parla della gioia di Dio: “Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un Salvatore potente. Gioirà per te, ti rinnoverà con il suo amore” (Sof 3,17). Il profeta non si accontenta di dire che Dio è fonte di gioia per l’uomo, ma afferma che Dio esulta quando la creatura umana si lascia rinnovare dal suo amore misericordioso. Parafrasando un’espressione di sant’Ireneo si potrebbe dire: “La gioia di Dio è l’uomo penitente, vivente”.
Fratelli carissimi, la gioia di Dio è perdonare! La Croce, “trono della grazia” (cf. Eb 4,16), manifesta la “misura alta” della misericordia di Dio che ama l’uomo “senza misura”. Dio, “principio e autore della Bellezza” (Sap 13,3), non rinuncia ai “diritti d’autore” sull’uomo plasmato a sua immagine e somiglianza (cf. Gen 1,27). Dio, “autore della vita” (At 3,15), è sempre pronto a chinarsi sul peccatore e a donargli il perdono: eccesso di grazia che sopravanza l’umana miseria (cf. Rm 5,20). Se il peccato si infiltra nella natura umana, la grazia penetra in essa, persino attraverso le fessure provocate dalla colpa di Adamo, che il Preconio pasquale osa chiamare necessaria e non esita a definire felice, perché “ha meritato di avere un così grande Redentore”. È sorprendente osservare che la Liturgia delle ore, nell’inno mariano Ave Maris Stella, dedica l’aggettivo felice alla Vergine Maria, chiamandola: “Porta felice del cielo”.
L’inizio della storia di peccato nel giardino dell’Eden si risolve in Maria Immacolata, “icona sublime della misericordia divina”. In Lei, “primizia della salvezza”, si compie quello che Paolo assicura ai cristiani di Filippi, “il Signore è vicino!”, raccomandando loro: “La vostra amabilità sia nota a tutti” (Fil 4,5). La misericordia è il segno più eloquente dell’amabilità di Dio, della sua vicinanza all’uomo peccatore, sempre amabile per Lui. Egli, infatti, “manifesta la sua onnipotenza soprattutto con la misericordia e il perdono”. La divina misericordia ha il volto del perdono, che è immeritato ma non incondizionato! Lungi dall’opporsi alla giustizia, la misericordia la esige, ma va oltre; i benefici della redenzione si estendono fino alle estreme conseguenze del peccato: non ci sono porte inviolabili per la divina misericordia! “Quanto torto viene fatto a Dio e alla sua grazia – ha esclamato Papa Francesco poco prima di aprire la Porta Santa nella Basilica di San Pietro – quando si afferma anzitutto che i peccati sono puniti dal suo giudizio, senza anteporre invece che sono perdonati dalla sua misericordia (cf. Agostino, De praedestinatione sanctorum 12,24)!”. “Dobbiamo anteporre la misericordia al giudizio, e in ogni caso il giudizio di Dio sarà sempre nella luce della sua misericordia”, che non è grazia “a buon mercato” ma “a caro prezzo”.
In comunione con tutta la Chiesa abbiamo compiuto il gesto tanto semplice quanto fortemente simbolico dell’apertura della Porta Santa; e adesso “che cosa dobbiamo fare?” (cf. Lc 3,10.12.14). Questo interrogativo, posto tre volte a Giovanni Battista, risuona come un appello alla conversione sulla soglia della Porta della misericordia, che vi invito a varcare “in uscita missionaria”.
“E noi, che cosa dobbiamo fare?”. L’Anno Santo – raccomanda Papa Francesco – va vissuto alla luce di questa parola: “Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso” (Lc 6,36). Se il pellegrinaggio – icona del cammino della vita e della condizione dei discepoli di Cristo – è un segno peculiare del Giubileo, il primo pellegrinaggio da compiere, per “ottenere misericordia”, è “fare misericordia”, cioè essere “ambasciatori del perdono, specialisti e artigiani della riconciliazione”. La misericordia porta il suo frutto quando l’uomo, amato fino al perdono, sa rivestirsi “di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità” (cf. Col 3,12-15). La capacità di accogliere il perdono di Dio dipende dalla libertà di offrirlo ai fratelli!
“E noi, che cosa dobbiamo fare?”. Fra le priorità indicate da Papa Francesco nella Bolla di indizione del Giubileo, Misericordiae Vultus, vi è la necessità di riconciliarsi con il sacramento della Penitenza, “seconda tavola di salvezza dopo il Battesimo”. “Nulla può rimettere la Chiesa senza Cristo – avverte il beato Isacco della Stella – e Cristo non vuole rimettere nulla senza la Chiesa”. Essa viene incontro alla debolezza dei suoi figli comunicando i benefici della redenzione di Cristo, che “veste di candore il peccatore pentito, ma non traveste di santità il peccato”. Il dono dell’indulgenza, offerto a tutti noi se confessati e animati da sincero pentimento, cancella completamente l’impronta del peccato, così come il Battesimo elimina la macchia della colpa di Adamo.
“E noi, che cosa dobbiamo fare?”. Durante l’Anno Santo il Papa ci invita a riscoprire le opere di misericordia corporale e spirituale, attraverso le quali la fede si traduce in gesti concreti e quotidiani, soprattutto in favore dei poveri: “in essi Dio mendica la nostra conversione”. “Se mediante le opere di misericordia corporale tocchiamo la carne del Cristo nei fratelli bisognosi di aiuto, con le opere di misericordia spirituale tocchiamo più direttamente il nostro essere peccatori”. Una delle opere di misericordia spirituale più trascurate è la correzione fraterna (cf. Gc 5,19-20); si tratta di una missione profetica che consiste nel parlare “a viso aperto” (cf. Gal 2,11), “con spirito di dolcezza” (cf. Gal 6,1), facendo tacere il grido di ribellione dell’amor proprio.
Il Giubileo è un dono che, a 50 anni dal Concilio Vaticano II, sollecita la Chiesa a varcare la Porta della misericordia con rinnovata esultanza. Questo Anno di grazia sia il “momento favorevole” per entrare nell’abbraccio della misericordia del Padre e per uscire verso i fratelli con lo spirito del buon Samaritano. “L’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia, un desiderio inesauribile di offrire misericordia”. Nel chiedere al Signore il dono dell’indulgenza, osiamo dire: “Non guardare ai nostri peccati, ma alla fede della tua Chiesa”.
+ Gualtiero Sigismondi