Esequie di Eleonora Metelli

06-10-2015
Esequie di Eleonora Metelli – Cattedrale di San Feliciano, 6 ottobre 2015
 
Fratelli carissimi, la bara che custodisce le spoglie mortali di Eleonora ci ricorda che tutti siamo migranti nel cammino della vita, nessuno di noi ha dimora fissa in questa terra, tutti ce ne dobbiamo andare. Occorre vivere ogni giorno come se fosse il primo – aprendoci allo stupore del nuovo – e come se fosse l’ultimo, facendo di ogni istante una ricerca d’infinito. E tuttavia, fino a quando la morte non ci passa vicino non si sente l’assoluto bisogno della fede nella Risurrezione, della “sfrontata” certezza cristiana che la morte è stata vinta, annientata, distrutta, eliminata da Cristo Salvatore. A Pasqua si è soliti intonare l’Alleluia pasquale con il suono delle trombe, oggi sarei tentato di suggerire la nota dell’Alleluia con il rullo dei tamburi per gridare che il rullo compressore della morte non riesce a schiacciare la speranza e a soffocare l’annuncio pasquale.
È difficile, in circostanze dolorose come questa, trovare parole leggere e delicate, che tocchino le ferite senza irritarle; dobbiamo avere l’umiltà di non sprecare parole, anche perché dalla nostra postazione terrena non siamo in grado di decifrare il senso degli avvenimenti della vita.
La prima parola oso dirla ai genitori di Eleonora, Adele e Domenico. Non esiste una situazione più difficile per una madre e un padre che vedere la morte di una loro creatura. La morte di un figlio è come se fermasse il tempo: si inghiotte una speranza, si apre una voragine che divora il passato e il futuro. Carissimi Adele e Domenico, oso suggerirvi un’invocazione che la liturgia della sera pone sulle labbra dei fedeli: “Dio mio, rischiara le mie tenebre!”. Nella luce della fede pasquale potete togliere alla morte il suo “pungiglione”, ma la morte non può togliervi il diritto al pianto. La commozione, il turbamento e il pianto sono sentimenti che disegnano la risposta umana di Gesù di fronte alla morte di Lazzaro; Egli entra in sintonia così profonda con il dolore di Marta e Maria (cf. Gv 11,17-37) che persino i Giudei sentono in quel pianto l’eco di una profonda amicizia e il respiro di un alito di vita.
 La seconda parola la rivolgo al fidanzato di Eleonora, Eugenio, che più di tutti ha conosciuto il suo cuore, al fratello, Pierluigi, e ai tanti amici del “Popolo quintanaro”. Provo a sussurrarla, questa parola, inserendomi con discrezione nello spazio del vostro silenzio attonito, tanto simile a quello che si ode al “Campo de li giochi” quando il cavallo viene lanciato al galoppo. La vita terrena, dono inestimabile, è breve: sotto il profilo esistenziale siamo tutti precari, e tuttavia ci affanniamo e ci agitiamo come se fossimo stabili quaggiù. Matteo Ricci, il grande gesuita pioniere della missione moderna in Cina, di questa provvisorietà aveva una coscienza chiarissima: al ministro Li Dai che gli chiese l’età (Ricci stava per compiere 50 anni) rispose: “Il tempo è soltanto il brevissimo momento presente, simile a un cavallo bianco al galoppo, che in un istante sparisce ai nostri occhi”. Occorre ripartire da qui: dalla coscienza che, in questo tempo che fugge, si gioca la nostra avventura che, per chi crede, non finisce il giorno della nostra morte.
La terza parola vorrei sussurrarla a Eleonora; dialogando con tua madre, in cui mi è parso di scorgere una singolare immagine della Madonna addolorata – desolata ma non disperata! –, ho saputo della premura con cui tu, assieme ai tuoi cari, eri solita assisterla e l’hai fatto fino all’ultimo. Ti sei congedata dalla vita terrena compiendo, poco prima di morire, un’opera di misericordia corporale: hai aiutato tua madre a mangiare. Dio, “ricco di misericordia”, ti stringa nel suo forte e tenero abbraccio e ti serva Egli stesso al “banchetto della vita”.
Fratelli carissimi, questa liturgia esequiale, mi offre l’occasione di confidarvi un pensiero sulla divina misericordia che si è fissato nella mia mente poco dopo aver appreso la dolorosa notizia della morte di Eleonora. La misericordia divina ha un volto, un cuore e un’anima, ma non ha una mente: ha un volto, la tenerezza; ha un cuore, il perdono; ha un’anima, la giustizia; ma non ha una mente, perché Dio non ha memoria per i nostri peccati. Egli, Padre misericordioso, non ci presenta il conto delle nostre mancanze ma tiene conto del nostro pentimento (cf. Gio 3,1-10); sembra perdere la testa per noi suoi figli, come un innamorato!    
Mentre presentiamo al Signore la nostra preghiera di suffragio per Eleonora e di conforto per i suoi familiari, chiediamogli di aiutarci a intendere quanto Gesù ha raccomandato a Marta: nella vita “di una cosa sola c’è bisogno” (cf. Lc 10,38-42), ascoltare la parola di Dio!
 
+ Gualtiero Sigismondi