04-05-2015
Anniversario della morte dell’ing. Valter Baldaccini, 4 maggio 2015
“Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà” (Gv 11, 25). Questa professione di fede, che il Signore suggerisce a Marta che piange la morte di Lazzaro suo fratello, consola questa assemblea che ricorda il primo anniversario della morte dell’ing. Valter. Il suo cuore ha cessato di battere un anno fa, ma la sua anima vive in Dio e il suo spirito, come brezza leggera, lo si sente librare in mezzo a noi. La vita è una “collana di giorni” che la morte spezza, e tuttavia la Pasqua di Cristo ci assicura che la morte, sfacciata, ha perso la faccia, cioè il diritto di dire l’ultima parola. Un antico autore cristiano del II secolo, Melitone di Sardi, in un’omelia pasquale scrive: “Cristo è colui che ha coperto di confusione la morte e ha gettato nel pianto il Diavolo, come Mosè il Faraone”. Mentre Satana, inconsolabile, versa lacrime amare, la Chiesa, esultante, piange di gioia!
Fratelli carissimi, se l’ing. Valter Baldaccini potesse prendere la parola ci avvertirebbe che il tempo scivola via e si avvicina implacabile la morte: l’unico conto alla rovescia che dovrebbe interessarci! Il tempo si consuma e ci consuma. Sotto il profilo esistenziale siamo tutti precari. Matteo Ricci, il grande gesuita pioniere della missione moderna in Cina, di questa provvisorietà aveva una coscienza chiarissima: al ministro Li Dai che gli chiese l’età (Ricci stava per compiere 50 anni) rispose: “Il tempo è soltanto il brevissimo momento presente, simile a un cavallo bianco al galoppo, che in un istante sparisce ai nostri occhi”. La grande amnesia di oggi consiste nel continuare a pensare che “abbiamo tempo”, anziché renderci conto del fatto che “siamo tempo”. Uno dei segni più vistosi di questo “Alzheimer collettivo” è l’abitudine a programmare il domani, ipotecando il futuro come se fosse nostra proprietà. Abbiamo dimenticato una delle preghiere più belle, ma anche più scomode, contenute nella Bibbia: “Insegnaci a contare i nostri giorni e acquisteremo un cuore saggio” (Sal 90,12). La percezione, serena, del limite è quindi il primo passo per recuperare l’antica saggezza. Dice una splendida poesia di Fernando Pessoa: “Di tutto restano tre cose. La certezza che stiamo sempre iniziando, la certezza che abbiamo bisogno di continuare, la certezza che saremo interrotti prima di finire”. Occorre ripartire da qui: dalla coscienza che, in questo tempo che fugge, si gioca la nostra avventura che, per chi crede, non finisce il giorno della nostra morte corporale.
Questa serena fiducia, che la vita non finisce con la morte, l’ing. Valter me l’ha testimoniata in modo esemplare nel periodo della sua malattia. Egli ha vissuto alla lettera quanto ci ha ricordato san Paolo: “Se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria” (Rm 8,17). A distanza di un anno non posso fare a meno di confidare qualche particolare del mio penultimo dialogo avuto con lui qualche settimana prima della sua morte. Mi riceve in casa, seduto in una poltrona: è sofferente, ma sereno; appena rimaniamo soli non si perde in tanti preamboli e mi chiede: “Desidero che sia lei a presiedere le mie esequie!”. Superato l’iniziale imbarazzo, replico sicuro e sorridente: “Ha qualche idea da suggerirmi per l’omelia?”. Passato qualche secondo di silenzio provo a dirgli che la morte, pur nella sua oscurità, è una sorta di “cuscinetto” tra la vita terrena e quella eterna; la fede lubrifica il “cuscinetto” della morte, riducendo l’attrito del dolore che essa provoca. Al sentire questo pensiero mi confida di essere pronto ad abbandonandosi alla fedeltà di Dio e a firmare nella fede della Chiesa l’ultimo brevetto: quello per il definitivo “decollo”, che non conosce “atterraggio”, verso il “porto” della misericordia e della pace.
Fratelli carissimi, “Cristo è risorto, è veramente risorto!”: questo annuncio pasquale esprime il nostro desiderio di eternità; questo grido di fede ci assicura che la morte è stata “distrutta, annientata, ingoiata, calpestata come terra battuta, eliminata per sempre”. “La fede pasquale – scrive Papa Francesco nell’enciclica Lumen fidei – non è luce che dissipa tutte le nostre tenebre, ma lampada che guida nella notte i nostri passi, e questo basta per il cammino”. La Pasqua di Cristo è un evento unico, straordinario, che viene incontro al nostro desiderio che la morte non sia l’ultima parola della vita, che la posa di una pietra tombale non sia l’ultimo atto della nostra esistenza. “L’unica tomba che amiamo è quella vuota: quella di Cristo redentore!”.
+ Gualtiero Sigismondi, Vescovo di Foligno