05-04-2015
Domenica di Pasqua, 5 aprile 2015
Fratelli carissimi, dopo lo sgomento del Venerdì santo, dopo il silenzio carico di attesa del Sabato santo, risuona l’Annuncio pasquale: “Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato” (1Cor 5,7). Nel Nuovo Testamento ci sono due tipi di testimonianze sulla Risurrezione di Gesù: alcune sono nella forma di professione di fede, cioè di formule sintetiche che indicano il centro della fede; altre testimonianze, invece, sono nella forma di racconto dell’evento della Risurrezione e dei fatti legati ad esso. Ogni volta che ascoltiamo nei Vangeli quello che è accaduto il giorno di Pasqua, rimaniamo colpiti dalla straordinaria concretezza di luoghi e personaggi, che ci fanno entrare nella narrazione, anche se ovviamente conosciamo già la trama e gli episodi. I personaggi non sono mai descritti, ma solo raccontati nel loro agire, e questo lascia campo libero all’immaginazione, spesso influenzata dalla ricca iconografia elaborata sul tema.
Il sentimento dominante che traspare dai racconti evangelici della Risurrezione è la gioia piena di stupore. Nella liturgia pasquale noi riviviamo lo stato d’animo dei discepoli per la notizia che hanno recato loro le donne, delle quali Maria di Magdala è la portavoce: “Ho visto il Signore!” (Gv 20,18). Tutta la storia della salvezza passa per il filo di voce di questa donna – Apostola apostolorum, così la chiama Gregorio Magno! – che per prima riconosce Gesù risorto: “Rabbunì!” (Gv 20,16). Dagli altri evangelisti sappiamo che Maria di Magdala non è sola: ci sono anche alcune donne, quelle che hanno seguito e servito Gesù fin dalla Galilea (cf. Mc 15,40-41). La testimonianza di una donna non aveva alcun valore nella legge ebraica, e tuttavia proprio alla Maddalena il Risorto affida il primo annuncio della gioia pasquale. “In questo particolare – osservava Benedetto XVI – è possibile cogliere un elemento a favore della storicità della Risurrezione: se fosse un fatto inventato, nel contesto di quel tempo non sarebbe stato legato alla testimonianza delle donne. Gli evangelisti invece narrano semplicemente ciò che è avvenuto”.
Nei racconti pasquali all’azione degli apostoli si affianca, dunque, un contrappunto femminile. L’incontro con il Risorto è stato possibile agli apostoli perché le donne hanno avuto la forza e il coraggio di seguire Cristo fino alla croce, non staccandosi da lui neppure dopo la sua sepoltura; i discepoli non avrebbero potuto trovarsi all’appuntamento con il Risorto senza la fedeltà delle donne che attraversa la notte, quando tutti sono scappati via, tranne Giovanni. Quelle donne hanno partecipato, in qualche modo, all’offerta di pieno abbandono di Cristo al Padre, hanno accolto lo Spirito di Gesù morente sulla croce, hanno venerato il suo corpo, hanno visto i “segni della passione con i quali Egli vive immortale”. È significativo che sia una donna, Marta, a pronunciare, prima ancora della Pasqua, la professione di fede cristologica più compiuta del quarto Vangelo: “Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo” (Gv 11,27).
Nei racconti pasquali sono le donne ad annunciare per prime che il Signore ha abbattuto e rimosso le sbarre e le porte della morte, rotolando via la pietra posta come sigillo del sepolcro. Gesù si è lasciato rinchiudere nel sepolcro, ma nessuno ha potuto impedirgli di venirne fuori! Egli non è stato tirato fuori dalla tomba come Lazzaro (cf. Gv 11,43), ma è uscito vivo dal sepolcro! Come nella “pienezza del tempo” il Verbo di Dio è uscito dal “seno del Padre” (cf. Gv 8,42; 16,27; 17,8) e “si è fatto carne” (cf. Gv 1,14), così il “terzo giorno” l’Agnello immolato è uscito dalle tenebre e dall’ombra di morte. Giovanni testimonia che l’uscita del Risorto dal sepolcro è preceduta dalla fuoriuscita di “sangue ed acqua” – simboli del Battesimo e dell’Eucaristia – dal costato di Gesù, aperto da un colpo di lancia (cf. Gv 19,34).
I Sinottici attestano che, all’Annuncio pasquale, recato alle donne da un giovane “vestito d’una veste bianca”, è allegato l’invito diretto ai discepoli di raggiungerlo in Galilea (cf. Mc 16,5-7). Esse escono e fuggono dal sepolcro “con timore e gioia grande” (Mt 28,8), “piene di spavento e di stupore” (Mc 16,8), e riescono a fatica a tirare fuori i discepoli dal luogo in cui si sono barricati “per timore dei Giudei” (Gv 20,19). Mentre Gesù ha divelto la porta blindata della morte (cf. Mt 28,2), i discepoli esitano a togliere il catenaccio della paura e del dubbio (cf. Lc 24,37), ad aprire la mente all’intelligenza delle Scritture (cf. Lc 24,45), ad uscire dal sepolcro della rassegnazione.
Fratelli carissimi, come i discepoli, contagiati dalla testimonianza delle donne, si sono lasciati inondare dalla luce pasquale e l’hanno trasmessa a noi, così anche noi dobbiamo fare lo stesso. “La fede – avverte Papa Francesco – si trasmette, per così dire, nella forma del contatto, da persona a persona, come una fiamma si accende da un’altra fiamma”. È necessario, pertanto, abbandonare l’idea che la fede sia “una specie di abito da vestire in privato o in particolari occasioni”. “Il preteso confinamento della religione – ammoniva Benedetto XVI – nello spazio individuale e privato non appartiene alla visione né cristiana né religiosa delle cose, ma neppure alla ragione”.
Uscire: è la “parola-chiave” dei racconti pasquali; uscire: è la “parola d’ordine” che Papa Francesco ripete incessantemente alla Chiesa, la quale esiste per evangelizzare, cioè per annunciare che come “l’opera mirabile della creazione” ha avuto inizio in un giardino, quello dell’Eden, così in un giardino, quello del sepolcro vuoto, è cominciata “l’opera ancor più mirabile della redenzione”. La Chiesa esiste per evangelizzare, cioè per proclamare in tutte le lingue che come i carri del Faraone e il suo esercito sono sprofondati “come pietra nel Mar Rosso” (cf. Es 15,4-5), così il Signore ha sprofondato il peccato e la morte “come piombo in acque profonde” (Es 15,10). La Chiesa esiste per evangelizzare, cioè per proclamare, sino alla fine dei tempi, quanto scrive Melitone di Sardi: “Cristo è colui che ha coperto di confusione la morte e ha gettato nel pianto il Diavolo, come Mosè il Faraone”. Mentre Satana, inconsolabile, versa lacrime amare, la Chiesa, esultante, piange di gioia! La morte, sfacciata, a Pasqua ha perso la faccia: il diritto di dire l’ultima parola!
Il sentimento dominante che traspare dai racconti evangelici della Risurrezione è la gioia piena di stupore. Nella liturgia pasquale noi riviviamo lo stato d’animo dei discepoli per la notizia che hanno recato loro le donne, delle quali Maria di Magdala è la portavoce: “Ho visto il Signore!” (Gv 20,18). Tutta la storia della salvezza passa per il filo di voce di questa donna – Apostola apostolorum, così la chiama Gregorio Magno! – che per prima riconosce Gesù risorto: “Rabbunì!” (Gv 20,16). Dagli altri evangelisti sappiamo che Maria di Magdala non è sola: ci sono anche alcune donne, quelle che hanno seguito e servito Gesù fin dalla Galilea (cf. Mc 15,40-41). La testimonianza di una donna non aveva alcun valore nella legge ebraica, e tuttavia proprio alla Maddalena il Risorto affida il primo annuncio della gioia pasquale. “In questo particolare – osservava Benedetto XVI – è possibile cogliere un elemento a favore della storicità della Risurrezione: se fosse un fatto inventato, nel contesto di quel tempo non sarebbe stato legato alla testimonianza delle donne. Gli evangelisti invece narrano semplicemente ciò che è avvenuto”.
Nei racconti pasquali all’azione degli apostoli si affianca, dunque, un contrappunto femminile. L’incontro con il Risorto è stato possibile agli apostoli perché le donne hanno avuto la forza e il coraggio di seguire Cristo fino alla croce, non staccandosi da lui neppure dopo la sua sepoltura; i discepoli non avrebbero potuto trovarsi all’appuntamento con il Risorto senza la fedeltà delle donne che attraversa la notte, quando tutti sono scappati via, tranne Giovanni. Quelle donne hanno partecipato, in qualche modo, all’offerta di pieno abbandono di Cristo al Padre, hanno accolto lo Spirito di Gesù morente sulla croce, hanno venerato il suo corpo, hanno visto i “segni della passione con i quali Egli vive immortale”. È significativo che sia una donna, Marta, a pronunciare, prima ancora della Pasqua, la professione di fede cristologica più compiuta del quarto Vangelo: “Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo” (Gv 11,27).
Nei racconti pasquali sono le donne ad annunciare per prime che il Signore ha abbattuto e rimosso le sbarre e le porte della morte, rotolando via la pietra posta come sigillo del sepolcro. Gesù si è lasciato rinchiudere nel sepolcro, ma nessuno ha potuto impedirgli di venirne fuori! Egli non è stato tirato fuori dalla tomba come Lazzaro (cf. Gv 11,43), ma è uscito vivo dal sepolcro! Come nella “pienezza del tempo” il Verbo di Dio è uscito dal “seno del Padre” (cf. Gv 8,42; 16,27; 17,8) e “si è fatto carne” (cf. Gv 1,14), così il “terzo giorno” l’Agnello immolato è uscito dalle tenebre e dall’ombra di morte. Giovanni testimonia che l’uscita del Risorto dal sepolcro è preceduta dalla fuoriuscita di “sangue ed acqua” – simboli del Battesimo e dell’Eucaristia – dal costato di Gesù, aperto da un colpo di lancia (cf. Gv 19,34).
I Sinottici attestano che, all’Annuncio pasquale, recato alle donne da un giovane “vestito d’una veste bianca”, è allegato l’invito diretto ai discepoli di raggiungerlo in Galilea (cf. Mc 16,5-7). Esse escono e fuggono dal sepolcro “con timore e gioia grande” (Mt 28,8), “piene di spavento e di stupore” (Mc 16,8), e riescono a fatica a tirare fuori i discepoli dal luogo in cui si sono barricati “per timore dei Giudei” (Gv 20,19). Mentre Gesù ha divelto la porta blindata della morte (cf. Mt 28,2), i discepoli esitano a togliere il catenaccio della paura e del dubbio (cf. Lc 24,37), ad aprire la mente all’intelligenza delle Scritture (cf. Lc 24,45), ad uscire dal sepolcro della rassegnazione.
Fratelli carissimi, come i discepoli, contagiati dalla testimonianza delle donne, si sono lasciati inondare dalla luce pasquale e l’hanno trasmessa a noi, così anche noi dobbiamo fare lo stesso. “La fede – avverte Papa Francesco – si trasmette, per così dire, nella forma del contatto, da persona a persona, come una fiamma si accende da un’altra fiamma”. È necessario, pertanto, abbandonare l’idea che la fede sia “una specie di abito da vestire in privato o in particolari occasioni”. “Il preteso confinamento della religione – ammoniva Benedetto XVI – nello spazio individuale e privato non appartiene alla visione né cristiana né religiosa delle cose, ma neppure alla ragione”.
Uscire: è la “parola-chiave” dei racconti pasquali; uscire: è la “parola d’ordine” che Papa Francesco ripete incessantemente alla Chiesa, la quale esiste per evangelizzare, cioè per annunciare che come “l’opera mirabile della creazione” ha avuto inizio in un giardino, quello dell’Eden, così in un giardino, quello del sepolcro vuoto, è cominciata “l’opera ancor più mirabile della redenzione”. La Chiesa esiste per evangelizzare, cioè per proclamare in tutte le lingue che come i carri del Faraone e il suo esercito sono sprofondati “come pietra nel Mar Rosso” (cf. Es 15,4-5), così il Signore ha sprofondato il peccato e la morte “come piombo in acque profonde” (Es 15,10). La Chiesa esiste per evangelizzare, cioè per proclamare, sino alla fine dei tempi, quanto scrive Melitone di Sardi: “Cristo è colui che ha coperto di confusione la morte e ha gettato nel pianto il Diavolo, come Mosè il Faraone”. Mentre Satana, inconsolabile, versa lacrime amare, la Chiesa, esultante, piange di gioia! La morte, sfacciata, a Pasqua ha perso la faccia: il diritto di dire l’ultima parola!
+ Gualtiero Sigismondi, Vescovo di Foligno