18-02-2015
Mercoledì delle ceneri, 18 febbraio 2015
Cenere e sabbia sono i due simboli quaresimali per eccellenza. Infatti, con l’austero rito delle ceneri la liturgia ci introduce nel deserto quaresimale, “che riapre alla Chiesa la strada dell’Esodo”. “Protesi alla gioia pasquale” muoviamo i primi passi del nostro cammino penitenziale e battesimale della durata di quaranta giorni. Il tempo forte della Quaresima richiama i quarant’anni in cui il popolo di Israele peregrinò nel deserto: un lungo periodo di formazione per diventare il popolo di Dio, ma anche un lungo periodo in cui la tentazione di essere infedeli all’alleanza con il Signore era sempre presente, sempre in agguato. Quaranta furono anche i giorni di cammino del profeta Elia per raggiungere l’Oreb; come pure quelli che Gesù passò nel deserto prima di iniziare la sua vita pubblica e dove fu tentato dal Diavolo.
Fratelli carissimi, le letture proclamate ci offrono spunti di riflessione che siamo invitati a far diventare atteggiamenti e comportamenti concreti. La liturgia ci ripropone, anzitutto, il forte richiamo che il Signore rivolge al suo popolo per mezzo del profeta Gioele: “Ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti” (Gl 2,12). Si tratta di un richiamo che coinvolge sia il singolo, sia la comunità: il cammino penitenziale, infatti, non lo si affronta da soli ma insieme. Dice ancora il profeta: “Laceratevi il cuore e non le vesti, ritornate al Signore, vostro Dio, perché egli è misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grande amore, pronto a ravvedersi riguardo al male” (v.13). Il ritorno al Signore è possibile come “grazia”, perché è opera di Dio e frutto della fede che noi riponiamo nella sua misericordia. Il profeta, infine, si sofferma sulla preghiera di intercessione dei sacerdoti, i quali, con le lacrime agli occhi, si rivolgono a Dio dicendo: “Perdona, Signore, al tuo popolo e non esporre la tua eredità al ludibrio e alla derisione delle genti” (v.17).
“Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!” (2Cor 6,2). Le parole dell’apostolo Paolo ai cristiani di Corinto risuonano anche per noi con un’urgenza che non ammette assenze o inerzie. Il termine “ora” ripetuto più volte dice che questo tempo di grazia non può essere lasciato sfuggire, esso viene offerto a noi come un’occasione unica e irripetibile. E lo sguardo dell’Apostolo si concentra sulla condivisione con cui Cristo ha voluto caratterizzare la sua esistenza, assumendo tutto l’umano fino a farsi carico dello stesso peccato degli uomini. La frase di san Paolo è molto forte: “Dio lo fece peccato in nostro favore” (2Cor 5,21); Gesù, l’Innocente, il Santo, “Colui che non aveva conosciuto peccato”, si fa carico del peso del peccato condividendone con l’umanità l’esito della morte, e della morte di croce (cf. Fil 2,8). “La riconciliazione che ci viene offerta – affermava Benedetto XVI – ha avuto un prezzo altissimo, quello della croce innalzata sul Golgota, su cui è stato appeso il Figlio di Dio fatto uomo. In questa immersione di Dio nella sofferenza umana e nell’abisso del male sta la radice della nostra giustificazione”.
Fratelli carissimi, la Quaresima, “segno sacramentale della nostra conversione”, è il momento favorevole per affrontare la lotta contro il Maligno con le armi della penitenza: l’elemosina, la preghiera e il digiuno. Gesù ci esorta a impugnare queste armi non davanti agli uomini, ma di fronte a Dio Padre, “che vede nel segreto, che è nel segreto” (cf. Mt 6,1-18). Il termine “segreto”, in greco kryptòs, che significa nascosto, richiama alla mente lo spazio sacro della cripta di una chiesa o di una basilica; si tratta di un’immagine particolarmente adatta a lasciarci intuire qualcosa della realtà della nostra coscienza, “forza motrice della conversione”. Come la cripta di un edificio sacro sostiene l’intera struttura e riceve luce dall’alto, così la coscienza, se è illuminata dalla parola di Dio, rende capace l’uomo di incamminarsi verso la verità, di cercarla e di sottomettersi ad essa. Quella della cripta è un’immagine che si avvicina a quanto si legge al n° 16 della Gaudium et spes, che descrive la coscienza come “il nucleo più segreto e sacrario dell’uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità”.
“La coscienza – scrive Romano Guardini – è per l’uomo come una finestra aperta sull’eternità: una finestra però che allo stesso tempo dà anche sul corso degli avvenimenti quotidiani”. “È la nostra suprema bussola – aggiunge il grande teologo italo-tedesco –; ma, se è lecito esprimersi così, questa bussola può a sua volta perdere la bussola (…), può diventare superficiale, sconsiderata, ottusa”. Questo pericolo lo corre quando presume di essere il baluardo della libertà o l’ultima istanza che dispensa dalla ricerca della verità. La coscienza, scintilla animae, è “un misterioso e tellurico sottosuolo in cui anima e corpo intessono, intrecciandoli, i loro fili”; è simile anche ad una foce, come quella ad estuario tipica delle coste oceaniche, poiché lo Spirito santo, con l’alternarsi delle sue maree, entra, per così dire, nel letto fluviale della libertà umana con lo splendore della verità. La sintonia o distonia della libertà nei confronti dello Spirito santo ha, dunque, la sua risonanza nella coscienza, che può essere paragonata ad uno strumento a corde: la cassa armonica aumenta l’intensità del suono delle corde, pizzicate dallo Spirito, e ne caratterizza il timbro; la corretta tensione delle corde è assicurata dal “diapason” del magistero.
Nel muovere i primi passi del nostro cammino penitenziale, domandiamo al Signore di illuminare la nostra coscienza – centro dei nostri pensieri e sentimenti, radice delle nostre decisioni, scelte e azioni –, affinché non solo sappia riconoscere che “il Signore si mostra geloso e si muove a compassione del suo popolo” (Gl 2,18), ma anche sappia distinguere il bene dal male, superando le insidie di un arbitrio individuale o, al contrario, i pericoli di un moralismo astratto e superbo. Fratelli carissimi, decidiamoci a orientare verso il bene ogni “intimo intento del cuore” (cf. Gen 6,5) per non cadere nella “vertigine dell’indifferenza”. Ce lo raccomanda Papa Francesco nel suo messaggio per la Quaresima, nel quale ricorda a tutti noi che “Dio non ci chiede nulla che prima non ci abbia donato”: “Noi amiamo perché Egli ci ha amati per primo” (1Gv 4,19).
Cenere e sabbia sono i due simboli quaresimali per eccellenza. Infatti, con l’austero rito delle ceneri la liturgia ci introduce nel deserto quaresimale, “che riapre alla Chiesa la strada dell’Esodo”. “Protesi alla gioia pasquale” muoviamo i primi passi del nostro cammino penitenziale e battesimale della durata di quaranta giorni. Il tempo forte della Quaresima richiama i quarant’anni in cui il popolo di Israele peregrinò nel deserto: un lungo periodo di formazione per diventare il popolo di Dio, ma anche un lungo periodo in cui la tentazione di essere infedeli all’alleanza con il Signore era sempre presente, sempre in agguato. Quaranta furono anche i giorni di cammino del profeta Elia per raggiungere l’Oreb; come pure quelli che Gesù passò nel deserto prima di iniziare la sua vita pubblica e dove fu tentato dal Diavolo.
Fratelli carissimi, le letture proclamate ci offrono spunti di riflessione che siamo invitati a far diventare atteggiamenti e comportamenti concreti. La liturgia ci ripropone, anzitutto, il forte richiamo che il Signore rivolge al suo popolo per mezzo del profeta Gioele: “Ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti” (Gl 2,12). Si tratta di un richiamo che coinvolge sia il singolo, sia la comunità: il cammino penitenziale, infatti, non lo si affronta da soli ma insieme. Dice ancora il profeta: “Laceratevi il cuore e non le vesti, ritornate al Signore, vostro Dio, perché egli è misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grande amore, pronto a ravvedersi riguardo al male” (v.13). Il ritorno al Signore è possibile come “grazia”, perché è opera di Dio e frutto della fede che noi riponiamo nella sua misericordia. Il profeta, infine, si sofferma sulla preghiera di intercessione dei sacerdoti, i quali, con le lacrime agli occhi, si rivolgono a Dio dicendo: “Perdona, Signore, al tuo popolo e non esporre la tua eredità al ludibrio e alla derisione delle genti” (v.17).
“Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!” (2Cor 6,2). Le parole dell’apostolo Paolo ai cristiani di Corinto risuonano anche per noi con un’urgenza che non ammette assenze o inerzie. Il termine “ora” ripetuto più volte dice che questo tempo di grazia non può essere lasciato sfuggire, esso viene offerto a noi come un’occasione unica e irripetibile. E lo sguardo dell’Apostolo si concentra sulla condivisione con cui Cristo ha voluto caratterizzare la sua esistenza, assumendo tutto l’umano fino a farsi carico dello stesso peccato degli uomini. La frase di san Paolo è molto forte: “Dio lo fece peccato in nostro favore” (2Cor 5,21); Gesù, l’Innocente, il Santo, “Colui che non aveva conosciuto peccato”, si fa carico del peso del peccato condividendone con l’umanità l’esito della morte, e della morte di croce (cf. Fil 2,8). “La riconciliazione che ci viene offerta – affermava Benedetto XVI – ha avuto un prezzo altissimo, quello della croce innalzata sul Golgota, su cui è stato appeso il Figlio di Dio fatto uomo. In questa immersione di Dio nella sofferenza umana e nell’abisso del male sta la radice della nostra giustificazione”.
Fratelli carissimi, la Quaresima, “segno sacramentale della nostra conversione”, è il momento favorevole per affrontare la lotta contro il Maligno con le armi della penitenza: l’elemosina, la preghiera e il digiuno. Gesù ci esorta a impugnare queste armi non davanti agli uomini, ma di fronte a Dio Padre, “che vede nel segreto, che è nel segreto” (cf. Mt 6,1-18). Il termine “segreto”, in greco kryptòs, che significa nascosto, richiama alla mente lo spazio sacro della cripta di una chiesa o di una basilica; si tratta di un’immagine particolarmente adatta a lasciarci intuire qualcosa della realtà della nostra coscienza, “forza motrice della conversione”. Come la cripta di un edificio sacro sostiene l’intera struttura e riceve luce dall’alto, così la coscienza, se è illuminata dalla parola di Dio, rende capace l’uomo di incamminarsi verso la verità, di cercarla e di sottomettersi ad essa. Quella della cripta è un’immagine che si avvicina a quanto si legge al n° 16 della Gaudium et spes, che descrive la coscienza come “il nucleo più segreto e sacrario dell’uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità”.
“La coscienza – scrive Romano Guardini – è per l’uomo come una finestra aperta sull’eternità: una finestra però che allo stesso tempo dà anche sul corso degli avvenimenti quotidiani”. “È la nostra suprema bussola – aggiunge il grande teologo italo-tedesco –; ma, se è lecito esprimersi così, questa bussola può a sua volta perdere la bussola (…), può diventare superficiale, sconsiderata, ottusa”. Questo pericolo lo corre quando presume di essere il baluardo della libertà o l’ultima istanza che dispensa dalla ricerca della verità. La coscienza, scintilla animae, è “un misterioso e tellurico sottosuolo in cui anima e corpo intessono, intrecciandoli, i loro fili”; è simile anche ad una foce, come quella ad estuario tipica delle coste oceaniche, poiché lo Spirito santo, con l’alternarsi delle sue maree, entra, per così dire, nel letto fluviale della libertà umana con lo splendore della verità. La sintonia o distonia della libertà nei confronti dello Spirito santo ha, dunque, la sua risonanza nella coscienza, che può essere paragonata ad uno strumento a corde: la cassa armonica aumenta l’intensità del suono delle corde, pizzicate dallo Spirito, e ne caratterizza il timbro; la corretta tensione delle corde è assicurata dal “diapason” del magistero.
Nel muovere i primi passi del nostro cammino penitenziale, domandiamo al Signore di illuminare la nostra coscienza – centro dei nostri pensieri e sentimenti, radice delle nostre decisioni, scelte e azioni –, affinché non solo sappia riconoscere che “il Signore si mostra geloso e si muove a compassione del suo popolo” (Gl 2,18), ma anche sappia distinguere il bene dal male, superando le insidie di un arbitrio individuale o, al contrario, i pericoli di un moralismo astratto e superbo. Fratelli carissimi, decidiamoci a orientare verso il bene ogni “intimo intento del cuore” (cf. Gen 6,5) per non cadere nella “vertigine dell’indifferenza”. Ce lo raccomanda Papa Francesco nel suo messaggio per la Quaresima, nel quale ricorda a tutti noi che “Dio non ci chiede nulla che prima non ci abbia donato”: “Noi amiamo perché Egli ci ha amati per primo” (1Gv 4,19).
+ Gualtiero Sigismondi, Vescovo di Foligno