Foligno, 21 giugno 2018
CONSIGLIO PASTORALE
“Una Chiesa senza preti, ancora troppo clericale”. Mi ha profondamente colpito questa confidenza che mi ha fatto, di recente, il prof. Andrea Riccardi. Si tratta di un’affermazione scultorea che lascia intendere quanto sia lontano l’avvio del processo indicato da Papa Francesco al n. 27 dell’Evangelii gaudium. “Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione. La riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie, che la pastorale ordinaria in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di uscita e favorisca così la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia. Come diceva Giovanni Paolo II ai Vescovi dell’Oceania, ogni rinnovamento nella Chiesa deve avere la missione come suo scopo per non cadere preda di una specie d’introversione ecclesiale”.
Occorre ammettere – rilevavo in occasione della Veglia di Pentecoste – che siamo troppo ripiegati su preoccupazioni di ordinaria amministrazione, di sopravvivenza; c’è nell’aria una percentuale troppo alta di “accidia pastorale”. Si tratta di una patologia cronica – diagnosticata dall’apostolo Giovanni alle Chiese dell’Asia minore – che presenta diversi sintomi (cf. Ap 2,1-29). Se Giovanni si rivolgesse a noi, oggi, chissà se ci direbbe che siamo simili alla Chiesa di Efeso, che ha abbandonato il suo primo amore, o alla Chiesa di Smirne, che si è lasciata vincere dal timore della prova? Chissà se ci farebbe notare che assomigliamo alla Chiesa di Pèrgamo, che ha faticato a iniziare un cammino di vera conversione, o alla Chiesa di Tiàtira, che ha rinunciato a compiere l’opera di misericordia spirituale della correzione fraterna? Chissà se lamenterebbe che abbiamo le stesse caratteristiche della Chiesa di Sardi, illusa di essere viva, o della Chiesa di Filadelfia che, pur avendo custodito la Parola, ha poca forza? Chissà se ci inviterebbe a prendere coscienza del fatto che imitiamo la Chiesa di Laodicèa, troppo tiepida, né fredda né calda? Chissà? Non ci facciamo illusioni: senza rispondere a questi interrogativi, a ben poco servirebbe l’attuazione del processo di riforma degli uffici di Curia. Principio ispiratore di tale rinnovamento può essere soltanto la “conversione missionaria della pastorale”. Criteri guida sono quelli dell’aggiornamento e del coordinamento, ai quali va associato anche quello della semplificazione.
Nel 55° anniversario dell’elezione a Vescovo di Roma di Giovanni Battista Montini, Arcivescovo di Milano, ci può essere di grande aiuto rileggere un frammento del discorso da lui tenuto alla Conferenza Episcopale Italiana, il 14 aprile 1964. “I problemi non possono essere risolti da quel vecchio medico che è il tempo: il tempo non corre a nostro vantaggio; da sé i nostri problemi non si risolvono, né è da credere che la nostra fiducia nella Provvidenza, fiducia sempre doverosa e sempre immensa, esoneri (noi pastori) dal compiere ogni possibile sforzo per offrire alla Provvidenza l’occasione di suoi misericordiosi interventi”. Dentro le pieghe di questa stagione ecclesiale, “che a volte sembra segnare il naufragio della speranza, occorre rimanere fiduciosi nell’agire sommesso ma potente di Dio”, il quale vuole aver bisogno della nostra partecipazione attenta, entusiasta, fattiva: “né paurosa, né incerta, ne cavillosa, né polemica”.
La tarda serata del 21 giugno di 55 anni fa, mentre la preghiera e il silenzio avvolgono Paolo VI all’interno dell’appartamento pontificio, egli annota di esservi entrato “con disagio e confidenza insieme”, osservando con “nobile semplicità, disarmante e maestosa”: “È notte. Preghiera e silenzio. No che non è silenzio, il mondo mi osserva, mi assale. Devo imparare ad amarlo veramente. La Chiesa quale è. Il mondo quale è. Quale sforzo? Per amare così bisogna passare per il tramite dell’amore di Cristo”.
CONSIGLIO PASTORALE
“Una Chiesa senza preti, ancora troppo clericale”. Mi ha profondamente colpito questa confidenza che mi ha fatto, di recente, il prof. Andrea Riccardi. Si tratta di un’affermazione scultorea che lascia intendere quanto sia lontano l’avvio del processo indicato da Papa Francesco al n. 27 dell’Evangelii gaudium. “Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione. La riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie, che la pastorale ordinaria in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di uscita e favorisca così la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia. Come diceva Giovanni Paolo II ai Vescovi dell’Oceania, ogni rinnovamento nella Chiesa deve avere la missione come suo scopo per non cadere preda di una specie d’introversione ecclesiale”.
Occorre ammettere – rilevavo in occasione della Veglia di Pentecoste – che siamo troppo ripiegati su preoccupazioni di ordinaria amministrazione, di sopravvivenza; c’è nell’aria una percentuale troppo alta di “accidia pastorale”. Si tratta di una patologia cronica – diagnosticata dall’apostolo Giovanni alle Chiese dell’Asia minore – che presenta diversi sintomi (cf. Ap 2,1-29). Se Giovanni si rivolgesse a noi, oggi, chissà se ci direbbe che siamo simili alla Chiesa di Efeso, che ha abbandonato il suo primo amore, o alla Chiesa di Smirne, che si è lasciata vincere dal timore della prova? Chissà se ci farebbe notare che assomigliamo alla Chiesa di Pèrgamo, che ha faticato a iniziare un cammino di vera conversione, o alla Chiesa di Tiàtira, che ha rinunciato a compiere l’opera di misericordia spirituale della correzione fraterna? Chissà se lamenterebbe che abbiamo le stesse caratteristiche della Chiesa di Sardi, illusa di essere viva, o della Chiesa di Filadelfia che, pur avendo custodito la Parola, ha poca forza? Chissà se ci inviterebbe a prendere coscienza del fatto che imitiamo la Chiesa di Laodicèa, troppo tiepida, né fredda né calda? Chissà? Non ci facciamo illusioni: senza rispondere a questi interrogativi, a ben poco servirebbe l’attuazione del processo di riforma degli uffici di Curia. Principio ispiratore di tale rinnovamento può essere soltanto la “conversione missionaria della pastorale”. Criteri guida sono quelli dell’aggiornamento e del coordinamento, ai quali va associato anche quello della semplificazione.
Nel 55° anniversario dell’elezione a Vescovo di Roma di Giovanni Battista Montini, Arcivescovo di Milano, ci può essere di grande aiuto rileggere un frammento del discorso da lui tenuto alla Conferenza Episcopale Italiana, il 14 aprile 1964. “I problemi non possono essere risolti da quel vecchio medico che è il tempo: il tempo non corre a nostro vantaggio; da sé i nostri problemi non si risolvono, né è da credere che la nostra fiducia nella Provvidenza, fiducia sempre doverosa e sempre immensa, esoneri (noi pastori) dal compiere ogni possibile sforzo per offrire alla Provvidenza l’occasione di suoi misericordiosi interventi”. Dentro le pieghe di questa stagione ecclesiale, “che a volte sembra segnare il naufragio della speranza, occorre rimanere fiduciosi nell’agire sommesso ma potente di Dio”, il quale vuole aver bisogno della nostra partecipazione attenta, entusiasta, fattiva: “né paurosa, né incerta, ne cavillosa, né polemica”.
La tarda serata del 21 giugno di 55 anni fa, mentre la preghiera e il silenzio avvolgono Paolo VI all’interno dell’appartamento pontificio, egli annota di esservi entrato “con disagio e confidenza insieme”, osservando con “nobile semplicità, disarmante e maestosa”: “È notte. Preghiera e silenzio. No che non è silenzio, il mondo mi osserva, mi assale. Devo imparare ad amarlo veramente. La Chiesa quale è. Il mondo quale è. Quale sforzo? Per amare così bisogna passare per il tramite dell’amore di Cristo”.
+ Gualtiero Sigismondi
21-06-2018