Relazione al Consiglio Pastorale Diocesano

Questa riunione del Consiglio pastorale diocesano cade nella memoria liturgica della Madonna del Buon Consiglio e all’indomani della conclusione della Visita ad limina. Il Signore ha disposto l’appuntamento della Visita ad limina a pochi passi dal traguardo della Visita pastorale. Questa provvidenziale coincidenza l’ho avvertita come una ‘carezza’ da parte del Signore. L’incontro con Papa Francesco è stato per me un evento sacramentale, un appuntamento pentecostale. Mi sono recato dal Successore di Pietro con la consapevolezza che la ‘comunione gerarchica’ che lega il Collegio episcopale al suo Capo, il Vescovo di Roma, non è un vago affetto, ma una realtà organica, che incoraggia e stimola le Chiese particolari a crescere nella fedeltà al Romano Pontefice e a trovare nel principio di comunione con la Chiesa universale un sicuro orientamento per il proprio pellegrinaggio nella storia.


È importante rileggere, al riguardo, quanto scrive Paolo VI nell’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi al n° 62. ‘Ogni Chiesa particolare, che si separasse volontariamente dalla Chiesa universale, perderebbe il suo riferimento al disegno di Dio, si impoverirebbe nella sua dimensione ecclesiale. D’altra parte, la Chiesa universale diventerebbe un’astrazione se non prendesse corpo e vita precisamente attraverso le Chiese particolari. Solo una permanente attenzione ai due poli della Chiesa ci consentirà di percepire la ricchezza di questo rapporto tra Chiesa universale e Chiese particolari’.


Senza entrare nei dettagli del dialogo che ho avuto con Papa Francesco, assieme ai Vescovi dell’Umbria, provo a farne un resoconto ordinato. Il Papa ha dato la parola a ciascuno, ascoltando tutti con attenzione e interesse. Quando è arrivato il mio turno gli ho presentato anzitutto la ‘geografia umana’ della Diocesi di Foligno, confidandogli una battuta di S. E. mons. Arduino Bertoldo: ‘Se il pastorale cade a terra va a finire fuori Diocesi’. Nel commentare questa battuta ho raccontato al Papa quanto mi ha suggerito un anziano pastore di Annifo: ‘Il bastone non deve superare l’altezza del mento, perché nei giorni di freddo e di pioggia, quando è impossibile sdraiarsi a terra, esso non ha la funzione di rinfrancare il passo, ma di sostenere lo sguardo’. Questa battuta mi ha permesso di rompere il ghiaccio e di narrare al Papa, senza dissimulare nulla, quanto la Visita pastorale mi ha fatto vedere, conoscere e amare.      


Durante il colloquio Papa Francesco ha raccomandato di fare il possibile perché la Comunità eccclesiale non divenga un castello complicato e ingombro. Anche la Chiesa, infatti, sperimenta quello che succede con certi edifici antichi: nel corso dei secoli, per adattarsi alle esigenze del momento, si sono riempiti di tramezzi, di scalinate, di stanze e stanzette; arriva l’ora, quando ci si accorge che tutti questi adattamenti sono di ingombro, in cui bisogna avere il coraggio di abbatterli e riportare l’edificio alla semplicità e linearità delle sue origini. Questa sottolineatura ha richiamato alla mia memoria il punto chiave dell’intervento tenuto dal card. Jorge Mario Bergoglio durante una delle Congregazioni generali che hanno preceduto il Conclave che lo ha eletto Vescovo di Roma.  ‘Quando la Chiesa non esce da se stessa per evangelizzare diviene autoreferenziale e allora si ammala (‘). Nell’Apocalisse, Gesù dice che sta alla soglia e chiama. Evidentemente il testo si riferisce al fatto che Lui sta fuori dalla porta e bussa per entrare’ Però a volte penso che Gesù bussi da dentro, perché lo lasciamo uscire. La Chiesa autoreferenziale pretende di tenere Gesù Cristo dentro di sé e non lo lascia uscire’.


Uscire: questa è la ‘regola pastorale’ che consente di riscoprire ‘la dolce e confortante gioia d’evangelizzare’ (cf. Evangelii nuntiandi, 80). Gesù stesso ha raccomandato ai discepoli questa ‘dolce e consolante allegria’ quando essi, un po’ impacciati, l’hanno trovato a colloquio con la Samaritana al pozzo di Sicar: ‘Alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura’ (Gv 4,35). La tentazione di prendere in mano l’aratro, anziché la falce, è insidiosa ‘ è una sorta di ‘peccato originale’ della vita pastorale! ‘ e assale chiunque dimentichi che ‘uno semina e l’altro miete’ (cf. Gv 4,37), ma ‘è Dio che fa crescere’ (cf. 1Cor 3,6-9).


 


+ Gualtiero Sigismondi, Vescovo di Foligno

26-04-2013