Catechesi per la Quaresima 2019

15-03-2019

La Quaresima è il “momento favorevole” per entrare nel “travaglio della conversione” attraverso il digiuno, la preghiera e l’elemosina. Con le armi della penitenza possiamo mettere in fuga il maligno, estirpando i vizi capitali. Solitamente si presentano a coppia (superbia e avarizia, gola e lussuria, ira e accidia); poiché sono sette ne resta fuori uno, l’invidia, che, per così dire, è il jolly. L’invidia, come la gramigna, attecchisce facilmente nei cuori occupati da “gelosia amara e spirito di contesa, che provocano disordine e ogni sorta di cattive azioni” (cf. Gc 3,16). Invidia e gelosia, combinate assieme, formano una miscela esplosiva che impedisce di conservare l’unità dello spirito. Se l’invidia acceca, la gelosia rende sordi: l’una e l’altra, se associate, arrestano il cuore.
Ma che cos’è l’invidia? La psicoanalista Melanie Klein, autrice di una pubblicazione dal titolo Invidia e Gratitudine, la definisce “un sentimento di rabbia perché un’altra persona possiede qualcosa che desideriamo e ne gode”. L’invidia è odio della felicità altrui; è il triste effetto di un orgoglio pusillanime che si sente diminuito se il più tenue raggio di gloria e di felicità risplende negli altri. “L’invidia – rileva Jacques Bossuet – è la più vile, la più odiosa e la più screditata delle passioni; ma forse la più comune e tale che poche anime ne sono del tutto immuni”. “O invidia – esclama Gregorio Nazianzeno –, tu sei la più giusta e la più ingiusta insieme delle passioni! Ingiusta sì, perché rattristi ingiustamente gli innocenti; ma giusta ancora, perché punisci i colpevoli. Ingiusta, perché metti a disagio tutto il genere umano; ma sommamente giusta, perché produci prima di tutto i maligni tuoi frutti nel cuore dove sei allignata” (Anton. in Meliss. lib. I, c. XXVI).
L’invidia è la tortura del cuore che l’alberga. Come la ruggine consuma il ferro da cui è originata, così l’invidioso è consumato dal suo proprio vizio. Giovanni Crisostomo avverte: “L’invidia fa sempre da carnefice col suo proprio autore: irrita i sensi, tormenta lo spirito, corrompe il cuore. Chi ha l’invidia sempre ne soffre la tirannia e i supplizi” (Serm. CLXXII). Con tutta ragione S. Agostino chiama l’invidia: “Tignola, consunzione, vipera, carnefice dell’anima” (De Morib.). L’invidioso è sempre irrequieto, permaloso, triste, scontento, come ben si conosce dall’occhio livido, dai lineamenti contratti, dalla faccia smorta e scura: egli va ruminando odio, collera e vendetta; ne sono esempio i fratelli di Giuseppe, i quali concepirono un odio tale da volerne la morte, quando divennero gelosi di lui perché Giacobbe lo amava più di essi (cf. Gen 37,4). L’invidia è un tormento perpetuo come l’inferno, ardente come il fuoco, divorante come la fiamma; è un lento veleno che, come la carie, consuma le midolla delle ossa (cf. Prov 14,30); conduce alla miseria; è la più crudele malattia, la più terribile morte del cuore. “O invidia – esclama Giovanni Crisostomo –, sorgente della morte, malattia complicata, chiodo acutissimo nel cuore!” (Serm. CLXXII).
L’invidioso ha le pupille inferme, perché offese da ciò che risplende negli altri. L’invidia si sviluppa col crescere della prosperità del prossimo. L’invidioso è doppiamente infelice: per i mali suoi e per i beni degli altri. “L’invidioso – osserva Gregorio Magno – è di animo pusillanime, di cuore gretto e vile, perché portando invidia agli altri, dimostra di essere inferiore a loro; fa vedere la sua piccolezza e povertà; che cosa è infatti invidiare, se non confessare che manca quella cosa di cui si ha invidia?” (Moral. lib. V). L’invidioso è dolente che altri abbia ciò che egli ha; gli dispiace di avere meno di un altro o che un altro abbia più di lui; si rattrista perché le sue sostanze non uguagliano quelle del suo emulo. “L’invidia – afferma Bernardo di Chiaravalle –, è il tarlo dell’anima; distrugge il buon senso, brucia le viscere, turba lo spirito, rode come cancro il cuore, alimenta col pestilenziale suo fiato ogni sorta di beni. L’invidioso converte l’altrui bene in suo peccato. O tu che ti mostri geloso dell’altrui benessere, bada di non distruggere il tuo!” (De inter. domo, c. XLII). L’invidia, compagna indivisibile della morte spirituale, è un doloroso moto della sensibilità personale; si tratta di un veleno più pericoloso che l’amor proprio: esso incomincia a dare la morte a colui che lo vomita sugli altri e lo porta ai peggiori attentati. L’orgoglio è naturalmente ardimentoso e ama sfoggiare; ma l’invidia è ipocrita, si camuffa sotto ogni pretesto, lavora nel segreto e trama all’oscuro.
“L’invidia, morbo pestilenziale – sottolinea Giovanni Crisostomo –, ha ridotto l’uomo alla condizione dei demoni e ne ha fatto un ferocissimo diavolo. Il primo omicidio fu commesso dalla mano dell’invidia; essa fu che calpestò l’amore fraterno” (Homil. XLI, in Matth.). In altro testo il medesimo santo chiama l’invidia: “invenzione di Satana, peste orribile, il più nero dei vizi, bestia feroce che sopra ogni cosa devasta e distrugge la salute” (Homil. XXII, in Gen.). L’invidia è il segnale o il marchio di un animo vile e spregevole; impedisce e manda a monte le più grandi imprese; è amara e riboccante di fiele: si rallegra del male e si rattrista del bene degli altri; essa è la più grande infelicità dell’uomo, la prima introduttrice della morte nel mondo.
“L’invidia – osserva Agostino – cacciò l’angelo dal cielo, esiliò l’uomo dal paradiso, uccise Abele, armò contro Giuseppe i suoi fratelli, precipitò Daniele nella fossa dei leoni, crocifisse Gesù, il nostro capo, strangolò Giuda. O miei fratelli, annunziate ai quattro venti che l’invidia è quella belva feroce che toglie la fede, distrugge la concordia, disperde la giustizia e genera tutti i mali” (Serm. XVIII, de Temp.). “L’invidia – lamenta Gregorio di Nissa – è il maggiore dei mali, la madre della morte, la prima porta del peccato, la radice dei vizi; è il principio del dolore, l’origine della miseria, la causa della disobbedienza, la sorgente dell’ignominia, morbo della natura; è una lama avvelenata, un pugnale nascosto, una bile rabbiosa, una piaga funesta, un calice di fiele, un patibolo al quale l’uomo si impicca, una fiamma che divora il cuore, un fuoco interno. Gli invidiosi sono uccelli di rapina” (Homil. in Gen.). “Fuggiamo l’invidia – ammonisce Basilio –, perché è un male intollerabile, precetto del serpente, invenzione del demonio, cibo del nostro nemico, caparra del castigo, ostacolo alla pietà, esclusione dal paradiso, strada dell’inferno. Gli invidiosi dànno colore di vizio alle virtù anche più belle, non mancando mai di calunniare tutto ciò che è degno di lode” (Homil. de Invid).
“Gli invidiosi – dice Giovanni Crisostomo – sono peggiori dei leoni; simili, e starei per dire, più malvagi dei demoni. Infatti i leoni ci assaltano solo quando sono spinti dalla fame o si vedono provocati, mentre gli invidiosi, vi mordono proprio quando la vostra mano con favori li accarezza, vi perseguitano e dilacerano quando li beneficate. I demoni poi, quantunque accanitamente e implacabilmente ci guerreggino, non si azzuffano però mai fra loro (…). Gli invidiosi al contrario si accapigliano, si lacerano tra di loro. Questo peccato non trova perdono. Il libidinoso può scusarsi con la forza della concupiscenza, il ladro col bisogno e con la fame; l’assassino con la collera; ma che scusa potrete trovare per i vostri misfatti, voi, o invidiosi, se non quella di una somma malvagità? Questo vizio è peggiore della fornicazione e perfino dell’adulterio, perché il furore del vizio impuro si arresta nell’azione medesima, ma il furore e le stragi dell’invidia scompigliano la Chiesa e il mondo intero. Per l’invidia il demonio ha ucciso il genere umano in Adamo” (Hom. XXII, In Gen.).
Il flagello dell’invidia ha per corteo e famiglia la maldicenza, la calunnia, le truffe, i sospetti, le simulazioni, gli odi, le seduzioni, le guerre, gli scismi, le eresie, le ribellioni politiche e religiose. “Gli invidiosi – nota Prospero di Aquitania – amano il male, piangono il bene, godono dell’altrui rovina, si rattristano dell’altrui fortuna, si consumano nell’odio, sono pieni di ipocrisia; sempre riboccanti di amarezza e di livore, sempre infidi, sono amici del demonio, avversari di Dio, nemici della società e di se stessi. Afflitti e tormentati di ciò che dovrebbe consolarli, lieti e ridenti di quello di cui dovrebbero piangere, si rendono ridicoli e odiosi a tutto il mondo” (De vita contempl. lib. III, c. IX). L’invidia dapprima si nasconde dietro parole monche, frasi equivoche, maldicenze coperte, che poi divengono calunnie, frodi, tradimenti. I giudizi senza appello, senza pietà, solitamente, sono dettati dal pregiudizio, allevati dall’invidia, oltre che dalla gelosia, e amplificati dalla maldicenza. Ecco come ne parla Cipriano: “Palpabili e molteplici sono le stragi che fa l’invidia. Essa è la radice di tutti i mali, la sorgente delle contese, la causa dei processi, l’arsenale dei misfatti, la materia di tutti i disordini (…). Gli altri mali hanno almeno un termine, l’invidia non ne conosce nessuno; è un male che dura sempre, è un peccato che non conosce fine” (Serm. de Zelo et Livore).
Rimedi efficaci contro l’invidia sono l’umiltà, la modestia, il disprezzo della gloria e dei beni temporali, il desiderio delle realtà eterne, la temperanza in mezzo alle ricchezze, la dolcezza, la mansuetudine, la bontà e la carità. “Non cerchiamo la vanagloria, provocandoci e invidiandoci gli uni gli altri” (Gal 5,26), raccomanda Paolo ai Galati e così esorta quanti sono in Roma: “Rallegratevi con quelli che sono nella gioia; piangete con quelli che sono nel pianto” (Rm 12,15). Il tempo della Quaresima è occasione propizia per mettere in atto un cammino di vera conversione. “Non lasciamo trascorrere invano – auspica Papa Francesco – questo tempo favorevole! Abbandoniamo l’egoismo, lo sguardo fisso su noi stessi, e rivolgiamoci alla Pasqua di Gesù”.

+ Gualtiero Sigismondi