Prima di inaugurare il Triduo pasquale, varcando la soglia del Cenacolo, la liturgia ci invita a entrare nella sinagoga di Nazaret, che ha visto Gesù crescere “in sapienza, età e grazia” (cf. Lc 2,52). Circondato da conoscenti e vicini, Egli si alza a leggere il passo del rotolo di Isaia 61,1-2 e lo commenta, indicando nella sua persona la realizzazione della profezia: “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato” (Lc 4,21). La parola proclamata fino ad allora come promessa di futuro si fa realtà; in Gesù l’oggi di Dio si rende presente e chiama tutti a prendere parte alla sua missione: “portare ai poveri il lieto annuncio, proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista, rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore” (cf. Lc 4,18-19). Luca, nel citare il passo del profeta Isaia letto da Gesù, si ferma all’annuncio di “un anno di grazia del Signore”, sostituendo il versetto che fa riferimento al giudizio delle nazioni, “un giorno di vendetta del nostro Dio”, con quello che sollecita a “rimandare liberi gli oppressi” (cf. Is 58,6).
“Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui” (Lc 4,20). Questa parola oggi si compie nella nostra assemblea: lo sguardo del popolo santo di Dio è fisso su di noi, ministri ordinati, per ascoltare dalle nostre labbra ciò che dal cuore sovrabbonda: la rinnovazione delle promesse sacerdotali. Questo rito, che precede la liturgia della benedizione degli oli, ravvivi l’impegno alla santità di noi pastori, “la cui configurazione a Cristo è un diritto dei fedeli”. “I sacerdoti – diceva Paolo VI – sono preziosi trait-d’union tra due slanci: quello dell’uomo verso Dio e quello di Dio verso l’uomo. Il Signore poteva salvare direttamente gli uomini; invece ha voluto salvarli mediante gli uomini stessi, come dice bene il titolo di un film celebre, Dio ha bisogno degli uomini, in cui si racconta che tra le brume e le tempeste di un’isola dell’Oceano Atlantico, al largo della Bretagna, si consuma il dramma di una piccola comunità che, privata del sacerdote, è costretta a fare i conti con il suo assoluto bisogno di Dio, e con la consapevolezza acquisita, pur nell’estrema semplicità dei protagonisti, che anche Dio ha voluto avere bisogno degli uomini”.
Carissimi presbiteri, consapevoli di essere stati scelti dal Signore, “con affetto di predilezione”, come “servi premurosi del popolo di Dio”, continuiamo ad offrire la nostra dedizione come porta d’ingresso allo Spirito santo, affinché si rinnovino i prodigi “operati dal Suo amore agli inizi della predicazione del Vangelo”. Solo mantenendo aperto il canale di comunicazione con il Signore è possibile esercitare una missione mai proporzionata alle nostre forze. La carità pastorale, radicata in una profonda unione con Dio, è alimentata dalla comunione fraterna; non facciamoci illusioni: se cede l’una, l’altra cade, e viceversa! La cura della vita interiore è, infatti, “l’olio di letizia” della vita fraterna la quale, a sua volta, è il balsamo, l’essenza più intensa e delicata da versare nella piccola ma preziosa “ampolla” del nostro presbiterio.
Il “dono di grazia” ricevuto con l’imposizione delle mani – “in misura pigiata, scossa e traboccante” –, non sopporta il “collasso spirituale” della mediocrità, “terreno di coltura” del clericalismo che, avverte Papa Francesco, interpreta il ministero ordinato “come un potere da esercitare piuttosto che come un servizio gratuito e generoso da offrire”. “Sapete – scriveva Paolo VI nel messaggio del 5 marzo 1967 per la IV Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni – che la chiamata del Signore è per i forti; è per i ribelli alla mediocrità e alla viltà della vita comoda e insignificante; è per quelli che ancora conservano il senso del Vangelo e sentono il dovere di rigenerare la vita ecclesiale pagando di persona e portando la croce?”.
La Chiesa, popolo di Dio in cammino, si configura come un gregge di sacerdoti servito dai pastori, chiamati ad essere sempre più formatori di coscienze e sempre meno gestori diretti di tutte le attività pastorali, di cui i fedeli laici sarebbero “i beneficiari o la clientela”. La categoria di popolo di Dio non esclude ma include sacerdozio regale e ministeriale, sottolineandone la reciproca dipendenza e la comune appartenenza a Cristo, “Pontefice della nuova ed eterna alleanza”. Il mandato di “farsi ponte” (da pons e facere) è iscritto nel “carattere” del ministero episcopale. La Messa del Crisma, “una delle principali manifestazioni della pienezza del sacerdozio del vescovo e un segno della stretta unione dei presbiteri con lui”, mostra la grandezza del sacerdozio ministeriale, nato nel Cenacolo unitamente all’Eucaristia e posto al servizio del popolo dei redenti pellegrino nel mondo.
La Messa crismale manifesta lo splendore di bellezza del volto della Chiesa che, nel segno degli oli santi, allarga l’abbraccio della sua maternità. L’olio è sostanza terapeutica e cosmetica, che entrando nei tessuti del corpo medica le ferite e profuma le membra; per queste qualità è stato assunto dalla simbolica biblica e liturgica per esprimere l’azione dello Spirito santo. L’olio degli infermi reca sollievo e conforto a quanti nel corpo, nell’anima e nello spirito sono stretti tra l’incudine della sofferenza e il martello del dolore. L’olio dei catecumeni, “segno della forza divina”, custodisce dal Maligno, nel nome del Signore, coloro che si dispongono ad assumere gli impegni della vita cristiana. Il dono del crisma, impregnato della forza dello Spirito, offre agli uomini i tesori della grazia divina, perché diventino partecipi della missione profetica, sacerdotale e regale di Cristo e spandano la fragranza di una vita santa, ispirata dall’affascinante semplicità del Vangelo.
Come la Veglia pasquale è “la madre di tutte le sante veglie”, così la Messa crismale è il “grembo” da cui scaturisce l’olio che “consacra i sacerdoti, i re, i profeti e i martiri”. Questa celebrazione ci colloca – vescovo e presbiterio – di fronte al popolo di Dio, che il giorno della ordinazione si è fatto garante della nostra idoneità ed è stato testimone degli impegni che, “spinti dall’amore di Cristo, abbiamo liberamente assunto davanti alla Chiesa”. Fratelli carissimi, pregate per me e per i vostri sacerdoti, perché “il Signore ci custodisca nel suo amore e conduca tutti noi, pastori e gregge, alla vita eterna”.
+ Gualtiero Sigismondi