Natale del Signore – Messa del giorno, 2019
“Nel Mistero dell’Incarnazione – così prega la liturgia nella Solennità dell’Annunciazione del Signore – la Chiesa rivive nella fede il mistero in cui riconosce le proprie origini”. L’Incarnazione è la via di accesso all’intimità di Dio. “Senza Gesù Cristo – osservava Blaise Pascal –, non sappiamo né chi sia Dio né chi siamo noi”. “La teologia del Presepio – precisava San Paolo VI – è la più alta, la più chiara, la più consolante antropologia. La vita umana acquista in Cristo la sua significazione, il suo valore, la sua dignità, il suo carattere sacro”. “A Betlemme – afferma Papa Francesco – scopriamo che la vita di Dio scorre nella vena dell’umanità”.
Gesù bambino per un verso eccede le attese del popolo di Dio e per un altro verso le delude: le eccede, perché oltrepassa quanto esso possa immaginare; le delude, perché Israele non attende lo scandalo della Croce. A Betlemme l’amore di Dio per l’uomo raggiunge il suo “esaurimento”: “la sua grandezza – scrive Efrem il Siro – si è contratta e distesa”. Il Figlio di Dio, la cui infinita immensità si estende all’intero universo e abbraccia tutte le cose, si è come “abbreviato” nel grembo di Maria. In Gesù bambino, “avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia” (cf. Lc 2,12), c’è l’essenziale: la gratuità. “I pastori – scrive Papa Francesco nella lettera apostolica Admirabile signum – diventano i primi testimoni dell’essenziale, cioè della salvezza che viene donata”.
La voce dei pastori sale dal basso e avvolge il canto degli angeli. Anzi, i diversi personaggi del presepe formano, per così dire, un’orchestra, che accompagna l’inno del Gloria. Lo strumento principale, il violino, a cui è affidato il tema musicale con il quale dialogano tutti gli altri, chi più e meglio della Madre di Dio, “chiave di sol” della “pienezza del tempo”, sarebbe in grado di suonarlo? A Giuseppe potrebbe essere assegnato il violoncello, appartenente alla famiglia degli archi, ma il suo silenzio, che lo spinge a mettersi in disparte, opterebbe per la chitarra, che ha la vocazione di accompagnare. La zampogna e i flauti potrebbero essere affidati ai pastori, i quali rinforzano l’armonia dolce e avvolgente di quella “placida notte”, che ha svegliato l’aurora con le voci degli angeli a cui è possibile associare il suono dei clarinetti e degli oboi. Ai magi, “primizia dei popoli chiamati alla fede”, essendo “assetati di infinito” si potrebbe assegnare il tamburo per il viaggio di andata e i campanelli, dal suono ondeggiante e dolcissimo, quasi un congedo, per il loro ritorno. La voce di Giovanni Battista, che non copre ma sostiene, preparando la via alla Parola, potrebbe far vibrare il corno che, grazie al suo timbro, “lega” molto bene con gli altri suoni. Avrebbero titolo di far parte dell’orchestra del presepe Elisabetta, con il cimbalo, che inserisce nel Gloria la melodia mariana del Magnificat, e Zaccaria, con i timpani, strumento musicale che richiama la sordità della sua incredulità. Anche Simeone e Anna, che hanno atteso Cristo, “luce delle genti e gloria d’Israele” (cf. Lc 2,32), nell’orchestra del presepe potrebbero pizzicare, rispettivamente, la cetra e l’arpa, preludio dello squillo di tromba dell’Alleluia pasquale.
Nella grande orchestra del presepe Gesù bambino non è spettatore ma direttore, aiuta tutti a fare coro. Con la bacchetta dirige e, al tempo stesso, suona il triangolo, tenuto in mano da un angelo. Egli, Verbo del Padre, ha cercato un posto nel mondo e lo ha trovato in una mangiatoia. C’è un legame teologico tra la mangiatoia del presepe di Betlemme e il sepolcro vuoto della Risurrezione a Gerusalemme. Entrambi sono luoghi che si possono forse accostare e chissà, con un po’ di fantasia, si potrebbero intendere come lo stesso spazio dell’evento cristiano. Il Natale non è mai distante dall’esperienza della Croce e della Risurrezione. La grandiosa saggezza della Chiesa non fa forse celebrare, all’indomani del Natale, un primo martirio – quello di Santo Stefano – e poi, come se non bastasse, sceglie di colorare con il sangue dei martiri quasi tutte le celebrazioni successive, non ultima quella dei Santi Innocenti? La “nobile semplicità” della liturgia mette sempre insieme, senza indugio, gli estremi del “paradosso cristiano”: Incarnazione, Croce e Risurrezione sono intimamente connessi; il Verbo di Dio è disceso dal cielo “per noi uomini e per la nostra salvezza”.
Fratelli carissimi, l’Onnipotente ha voluto nascondere la sua gloria sotto il velo della nostra carne, per rivelarci pienamente la sua bontà (cf. Tt 3,4). Il Creatore dell’universo, “assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini”, ha svuotato e umiliato se stesso (cf. Fil 2,5-11). Andiamo fino a Betlemme a piedi nudi, con “cuore scalzo”, ebbro di gratitudine.
+ Gualtiero Sigismondi