La festa della Santa Famiglia di Nazaret moltiplica la gioia grande di questo giorno, fatto dal Signore, in cui fr. Daniele Giombini, fr. Peter Hrdy e fr. Sosthene Ayena ricevono l’Ordine del presbiterato davanti a questo altare, eretto sulla tomba di San Francesco.
Nella Famiglia di Nazareth non è mai venuto meno lo stupore: né quando a Betlemme non ha trovato posto nell’alloggio (cf. Lc 2,7), né durante la fuga in Egitto (cf. Mt 2,13-18) e neppure nel momento drammatico dello smarrimento di Gesù (cf. Lc 2,41-52). La capacità di stupirsi di fronte alla graduale manifestazione del Figlio di Dio è, per così dire, la colonna sonora della Santa Famiglia. Cos’è lo stupore? “Stupirsi e meravigliarsi – osserva Papa Francesco – è il contrario del dare tutto per scontato, è il contrario dell’interpretare la realtà che ci circonda e gli avvenimenti della storia solo secondo i nostri criteri”. La capacità di stupirsi, tradotta dalla vocale O, dipende, essenzialmente, da un cuore semplice e grato come quello di San Francesco.
La capacità di stupirsi accompagni per tutta la vita voi, figli carissimi, che state per ricevere l’eccezionale “peso di grazia” del presbiterato. Tenete bene a mente che “i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili” (Rm 11,29). I vostri nomi richiamano grandi figure bibliche: Daniele, un fanciullo che ha disarmato l’arroganza di Nabucodonosor; Pietro, il pescatore di Galilea che per primo ha confessato la fede nel Cristo; Sostene, capo della sinagoga di Corinto divenuto collaboratore dell’apostolo Paolo. Figli carissimi, la Chiesa, nell’affidarvi lo straripante tesoro del sacerdozio ministeriale, vi chiede di manifestare davanti al popolo di Dio la volontà di assumerne gli impegni. Non trascurate quanto raccomanda Paolo nella seconda lettura: “Rivestitevi di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità” (Col 3,12); “la parola di Cristo abiti tra voi nella sua ricchezza” (Col 3,16); “qualunque cosa facciate, in parole e in opere, tutto avvenga nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di Lui grazie a Dio Padre” (Col 3,17).
Carissimi diaconi, eletti al ministero presbiterale, la Chiesa ha bisogno del vostro cuore libero e ardente. Non trascurate quanto osserva Papa Francesco e cioè che “la carità pastorale del prete non può essere credibile se non è preceduta e accompagnata dalla fraternità”. “Sappiate ascoltare – faccio mie le parole che Paolo VI, il 29 giugno 1975, pronunciò in occasione dell’ordinazione di una grande schiera di presbiteri – il gemito del povero, la voce candida del bambino, il grido pensoso della gioventù, il lamento del lavoratore affaticato, il sospiro del sofferente e la critica del pensatore! (…). Un’affinità, una simpatia, una necessità congenita alla coscienza del vostro ministero vi spinga non solo a rendervi disponibili ad ogni dialogo, ad ogni invito che vi sia onestamente rivolto, ma a prendere voi stessi l’iniziativa pastorale della ricerca di chi, volente o no, abbia bisogno di voi”.
Mancherei a un mio dovere se, ordinandovi presbiteri, non pensassi sia alle vostre famiglie, le quali vi hanno messo a disposizione del Signore e della Chiesa, sia alla Provincia Italiana di San Francesco, che confida nella vostra “giovinezza sacerdotale”. A voi guarda questa assemblea che, esultante, vi inonda della sua preghiera di intercessione. Pregate fratelli, perché ogni sacerdote ha bisogno di sapere che il popolo di Dio si prende cura di lui. “Orate fratres”, perché l’offerta della vita di questi frati minori conventuali sia gradita a Dio, “altissimu, onnipotente bon Signore”. Pregate fratelli, perché la loro esistenza non sia mai in dissonanza con il Vangelo. “Orate fratres”, perché camminino senza indugio nella povertà che è il vero nome della libertà: siano poveri, cioè liberi.
Nel dispormi, con trepidazione e gioia grande, a compiere il gesto apostolico dell’imposizione delle mani, oso porre, non solo a voi ordinandi, l’interrogativo sollevato da Paolo VI, il 5 marzo 1967, nel Messaggio per la IV Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni: “Sapete che la chiamata del Signore è per i forti; è per i ribelli alla mediocrità e alla viltà della vita comoda e insignificante; è per quelli che ancora conservano il senso del Vangelo e sentono il dovere di rigenerare la vita ecclesiale pagando di persona e portando la croce?”. Ribelli alla mediocrità: questo sia per voi un proposito sincero, anzi, una promessa di magnanimità, vale a dire di ampiezza del cuore e di vedute. La magnanimità è un antidoto al collasso spirituale della mediocrità – terreno di coltura del clericalismo – e un integratore della latitudo cordis, testimoniata dal Serafico Padre San Francesco: “uomo cattolico e tutto apostolico”, “uomo semplice, umile, libero”.
+ Gualtiero Sigismondi