Relazione al Consiglio Pastorale Diocesano

La lettera, “Segni di Vangelo”, con cui ho concluso la seconda Visita pastorale, dà voce al popolo di Dio che ho avvicinato, “cammin facendo”. Si tratta di un testo agile in cui narro l’esperienza di grazia che il Signore mi ha concesso di vivere; sono stato istruito dai fratelli e dalle sorelle che ho incontrato non solo nelle chiese, ma anche nelle case e persino ai “crocicchi delle strade”. Mi sono reso conto, con rinnovato stupore, che in ogni strada c’è una corsia che conduce a Dio: i “semi del Verbo” sono sparsi ovunque. Nelle circostanze attuali, non si tratta di preparare piani pastorali elaborati, ma di riproporre la missione come esperienza nativa e costitutiva della Chiesa, riconsegnando alle comunità cristiane gli Atti degli Apostoli. “La Chiesa – diceva Romano Guardini – non è un’istituzione che si progetta ma una realtà vivente”.

Il libro degli Atti chiama i primi cristiani “quelli della Via” (cf. 9,2), quelli che seguono Cristo: “Via, Verità e Vita” (Gv 14,6). Consapevoli della responsabilità che questo nome comporta, è necessario ripartire dal kerigma, che sta al cuore di ogni cura pastorale. Avvincente è la testimonianza di Paolo il quale, ad Atene, sceglie di entrare in familiarità con la città e inizia così a frequentare i luoghi e le persone più significativi (cf. At 17,16-34). Con orecchio vigilante e con sguardo contemplativo scopre “segni di Vangelo” da ogni parte.

– È necessario far crescere comunità cristiane che assumano la sfida della “conversione missionaria della pastorale”, il cui obiettivo non è quello tattico del mantenimento ma quello strategico della formazione delle coscienze.
– È necessario passare dalla pastorale del “campanile” a quella del “campanello”, senza rinunciare al suono delle campane: la trasmissione della fede si risolverebbe in una rincorsa affannosa se non trovasse nella domus Ecclesiae il suo ambiente vitale.
– È necessario passare dalla pastorale degli “eventi” a quella dei “processi”, cioè dal sistema di irrigazione “a scorrimento” o “a pioggia” delle iniziative “a getto continuo” a quello di “subirrigazione” o “a goccia” dei cammini di accompagnamento.
– È necessario passare dalla pastorale del per a quella del con: se sbilanciati sulla preposizione semplice per, si corre il pericolo di dimenticare il con, cioè il fondamento; se sopraffatti dalla cultura del come, si rischia di perdere di vista il perché, cioè l’orientamento.
– È necessario stare sulle “soglie della fede”, senza la pretesa di fare proseliti, allestendo il “cantiere” del confronto con la modernità, che sollecita a riconoscere i “semi del Verbo”, sparsi ovunque, nei “segni dei tempi”.
– È necessario cimentarsi con la complessità dei dinamismi sociali e culturali, poiché “l’attenzione alla città non è separabile dall’impegno ecclesiale”: “carità politica” e “carità pastorale” sono destinate a frequentarsi.
– È necessario passare dalla pastorale del “noi speravamo” (cf. Lc 24,21) a quella del “noi e lo Spirito santo” (cf. At 5,32); se è difficile immaginare di vedere fiorire la steppa (cf. Is 35,1-2), non si può rinunciare a scorgere il ramo di mandorlo in fiore (cf. Ger 1,11).

“Di fronte a questo mondo che cambia – diceva Vittorio Bachelet –, di fronte alla crisi di valori, nel cambiamento del quadro sociale e culturale, forse con un’intuizione anticipatrice, o comunque con una nuova consapevolezza l’Azione Cattolica si chiese su cosa puntare. Valeva la pena correre dietro a singoli problemi importanti, ma consequenziali, o puntare invece alle radici? Nel momento in cui l’aratro della storia scavava a fondo rivoltando profondamente le zolle della realtà sociale italiana che cosa era importante? Era importante gettare seme buono, seme valido. La scelta religiosa – buona o cattiva che sia l’espressione – è questo. Riscoprire la centralità dell’annuncio di Cristo, l’annuncio della fede da cui tutto il resto prende significato”.

+ Gualtiero Sigismondi

11-02-2020