Alle apparizioni del Risorto ai discepoli, avvenute ‘in casa’ a distanza di otto giorni l’una dall’altra (cf. Gv 19,19-29), ne segue un’altra sulla sponda del lago di Tiberiade (cf. Gv 21,1-23). Prescindendo dalle questioni di critica testuale, che ritengono che il capitolo 21 del vangelo di Giovanni sia un’aggiunta tardiva compiuta dall’Evangelista o da un suo discepolo, quest’ultima manifestazione del Risorto ha lo scopo di dissipare ogni dubbio circa l’autenticità della Risurrezione di Cristo. Il brano ha inizio con una dichiarazione d’intenti, messa sulle labbra di Pietro: ‘Io vado a pescare’ (Gv 21,3); sebbene sia difficile sapere quale sia l’intenzione che muove Simone a tornare alla sua occupazione d’un tempo, tuttavia è innegabile che il Risorto intenda offrire ai discepoli una prova ulteriore della sua Risurrezione. Dopo una notte di fatica, sul far del mattino Gesù, dalla riva del lago, invita i discepoli ad allentare le reti; l’enorme quantità di pesci che essi riescono a prendere fa dire al ‘discepolo che Gesù amava’: ‘è il Signore!’ (Gv 21,7). Incurante del pericolo di fare naufragio, Simone si getta in mare, raggiungendo a nuoto la riva, ove arde ‘un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane’ (Gv 21,9). ‘Portate un po’ del pesce che avete preso ora’ (Gv 21,10) e ‘venite a mangiare’ (Gv 21,12): il ‘silenzio’ dello stupore fa da colonna sonora a questo duplice invito, col quale il Signore mostra ai discepoli di essere ‘corporalmente vivo’. Continua…
29-04-2011