Foligno, 22 febbraio 2018
CONSIGLIO PASTORALE
“Se nella nostra vita non c’è Gesù è come se non ci fosse campo! Mettiamoci sempre dove si prende!”. Questa sottolineatura, compiuta da Papa Francesco in occasione del Giubileo dei Ragazzi, mi offre lo spunto per una provocazione: la pastorale giovanile prende o non prende? Per rispondere a questa domanda può esserci di aiuto un intervento di Paola Bignardi – comparso sulle colonne di Avvenire –, la quale osserva che l’ascolto del mondo giovanile dice un desiderio di dialogo e di confronto, che interpella la comunità cristiana.
“Vi è un’immagine – suggerisce Paola Bignardi – che può interpretare bene la condizione religiosa dei giovani: quella della brace che cova sotto la cenere. Chi guarda distrattamente, vede solo la cenere; chi sa andare oltre si rende conto di una vita possibile, da portare allo scoperto. Chi saprà soffiar via la cenere e rendere la brace capace di ardere e di produrre luce e calore? Questa è la sfida per la comunità cristiana e per tutta la generazione adulta che ha a cuore i giovani”. Per riattizzare il fuoco della pastorale giovanile, troppo rimorchiata ai grandi eventi, non è sufficiente imparare l’alfabeto delle giovani generazioni: senza la “filiera” della pastorale familiare, l’oratorio parrocchiale “non ha campo”; senza educatori umanamente solidi e spiritualmente fondati, la pastorale giovanile “non prende”.
“La maggior parte della generazione giovanile – rileva Paola Bignardi – ha ricevuto una formazione alla vita cristiana negli anni della fanciullezza e ha tagliato i ponti con la comunità appena dopo la celebrazione dei sacramenti. Nella memoria dei ricordi che i giovani hanno del cammino di iniziazione cristiana vi sono attività troppo simili a quelle della scuola; in effetti, molti itinerari di formazione sono tendenzialmente deduttivi o, al contrario, eccessivamente riduttivi. E i giovani si sottraggono, si ritirano nel loro mondo, senza conflitto e senza opposizione, ma portando con sé gli interrogativi esistenziali cruciali che non sanno a chi rivolgere”.
“I giovani – avverte Paola Bignardi – chiedono prassi ecclesiali vive, in grado di agganciare la loro ricerca di fede a un contesto comunitario significativo; chiedono relazioni, testimoni credibili, esperienze e contesti che permettano una reintegrazione aggiornata delle forme dell’essere cristiani oggi. Le prassi pastorali sono percepite come inadeguate e generano estraneità: l’anonimato delle assemblee ecclesiali, la mancanza di spirito comunitario, i precetti dati senza che se ne comprenda il senso, i linguaggi antiquati e lontani dalla sensibilità attuale. I giovani, con il loro senso di estraneità dalla comunità cristiana, mostrano il bisogno di una Chiesa più autentica e più evangelica”.
Questo richiede figure di educatori disposti a rinunciare al ruolo di animatori, per assumere quello più esigente di testimoni in grado di integrare e sostenere un processo che ha come approdo la capacità di stare dentro la relazione formativa. Il Sinodo dei Vescovi, che avrà come tema i giovani, la fede e il discernimento vocazionale, non vuole parlare dei giovani e nemmeno ha la pretesa di parlare ai giovani, ma custodisce l’attesa di dare la parola ai giovani, mettendosi alla scuola della loro sete di vita. La generazione giovanile di oggi, più che ostile, è estranea alla dimensione religiosa dell’esistenza.
Il Sinodo dei Vescovi intende lasciarsi interpellare dalle giovani generazioni, che pongono alla Chiesa la stessa domanda rivolta dal Signore a Bartimeo: “Che cosa vuoi che io faccia per te?” (Mc 10,51). Non è la Chiesa a porre questo interrogativo ai giovani, ma sono loro a rivolgerlo alla Chiesa, sollecitandola a decodificare il loro entusiasmo sincero, intercettando in esso un’attesa che la speranza cristiana è chiamata ad allargare.
+ Gualtiero Sigismondi
22-02-2018