CONSIGLIO PASTORALE
Papa Francesco, intervenendo a Firenze al 5° Convegno ecclesiale Nazionale, ha ribadito con forza che è necessario un cambiamento di stile per passare da una Chiesa “sotto assedio” a una Chiesa “in uscita”. L’intuizione di questo cambio di stile va sotto la cifra della “sinodalità”. Si tratta di una parola che attende di essere inserita nel vocabolario della prassi pastorale. Si tratta di una parola che richiama una nota espressione di San Giovanni Crisostomo: “Chiesa è il nome del convenire e del camminare insieme” (Ex in Psalm 149,2). Questa affermazione mette in luce il duplice aspetto della sinodalità: il rapporto della Chiesa con la liturgia eucaristica, sorgente della communio, e la modalità storica con cui tale communio si attua: “camminare insieme”.
L’istanza della sinodalità è al cuore dell’opera di rinnovamento promossa dal Vaticano II, ma non è riuscita sinora a tradursi persuasivamente nelle forme storiche adeguate a esprimerla e veicolarla. La spinta verso una figura sinodale di Chiesa, benché condivisa e auspicata dai più, appare nei fatti frustrata – quando non bloccata – dall’autoreferenzialità dei ministri ordinati. Le conseguenze sono percepibili soprattutto nell’illanguidimento della vita delle comunità cristiane, legate a una figura accentuatamente clericale di Chiesa. Molti passi si sono compiuti, ma non si è riusciti a voltare pagina, a motivo del fatto che lo stile sinodale – inteso come processo e non semplicemente come evento – per essere assimilato dal popolo di Dio chiede un’adeguata e corale concentrazione d’impegno sulla formazione della coscienza dei credenti.
Il “camminare insieme”, che non si improvvisa ma si apprende, dà concretezza a ciò che più è proprio della sinodalità, ossia il discernimento. L’autorevolezza del discernimento comunitario e la grandezza di orizzonti con la quale matura il consiglio dipendono dall’umile, silenzioso e laborioso processo di ascolto svolto sotto la luce che viene dallo Spirito santo, pacificando e integrando, nella preghiera e nel combattimento spirituale, le tendenze ad affermarsi sopra gli altri, la presunta superiorità dello sguardo che impedisce l’accesso alla sostanza della realtà, la pretesa di sapere già abbastanza e di imporre i propri schemi di comprensione, i propri parametri culturali, i propri retroterra ecclesiali. Accettare che le nostre idee o le nostre scelte non sono necessariamente le uniche legittime è un sano esercizio di umiltà.
Gli organismi di partecipazione più che un luogo di decisione sono un ambito di discernimento comunitario, cioè di condivisione, di comunione, di ascolto. “Ascoltare – sottolineava Papa Francesco il 17 0ttobre 2015, in occasione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei vescovi da parte di Paolo VI – è molto più che udire: l’udire riguarda l’ambito dell’informazione; l’ascoltare, invece, rimanda all’ambito della comunicazione. L’ascolto fa uscire dalla tranquilla condizione di spettatori, di utenti, di consumatori. Ascoltare significa anche essere capaci di condividere domande e dubbi, di percorrere un cammino fianco a fianco, di affrancarsi da qualsiasi presunzione di onnipotenza e mettere umilmente le proprie capacità e i propri doni al servizio del bene comune. Ascoltare non è mai facile: a volte è più comodo fingersi sordi”.
Gli organismi di partecipazione hanno la funzione di modulare l’ascolto della testimonianza dello Spirito, tagliando i rami secchi dei punti di vista troppo soggettivi. “Ogni assemblea è, in un certo senso, un esercizio di potatura – osserva il card. M. Ouellet –, dal momento che per arrivare ad una decisione comune ognuno deve essere disposto all’accoglienza e alla condivisione anche a prezzo di qualche concessione o rinuncia affinché regni l’unità e quindi sia assicurato un frutto maggiore al lavoro comune”. Non si tratta di un percorso facile, anche perché è necessario farsi carico del conflitto, ma il viverlo deve portare a risolverlo, a superarlo, mettendosi in ascolto degli altri e, tutti insieme, in ascolto dello Spirito, lo “Spirito della verità” (cf. Gv 14,17).
Papa Francesco, intervenendo a Firenze al 5° Convegno ecclesiale Nazionale, ha ribadito con forza che è necessario un cambiamento di stile per passare da una Chiesa “sotto assedio” a una Chiesa “in uscita”. L’intuizione di questo cambio di stile va sotto la cifra della “sinodalità”. Si tratta di una parola che attende di essere inserita nel vocabolario della prassi pastorale. Si tratta di una parola che richiama una nota espressione di San Giovanni Crisostomo: “Chiesa è il nome del convenire e del camminare insieme” (Ex in Psalm 149,2). Questa affermazione mette in luce il duplice aspetto della sinodalità: il rapporto della Chiesa con la liturgia eucaristica, sorgente della communio, e la modalità storica con cui tale communio si attua: “camminare insieme”.
L’istanza della sinodalità è al cuore dell’opera di rinnovamento promossa dal Vaticano II, ma non è riuscita sinora a tradursi persuasivamente nelle forme storiche adeguate a esprimerla e veicolarla. La spinta verso una figura sinodale di Chiesa, benché condivisa e auspicata dai più, appare nei fatti frustrata – quando non bloccata – dall’autoreferenzialità dei ministri ordinati. Le conseguenze sono percepibili soprattutto nell’illanguidimento della vita delle comunità cristiane, legate a una figura accentuatamente clericale di Chiesa. Molti passi si sono compiuti, ma non si è riusciti a voltare pagina, a motivo del fatto che lo stile sinodale – inteso come processo e non semplicemente come evento – per essere assimilato dal popolo di Dio chiede un’adeguata e corale concentrazione d’impegno sulla formazione della coscienza dei credenti.
Il “camminare insieme”, che non si improvvisa ma si apprende, dà concretezza a ciò che più è proprio della sinodalità, ossia il discernimento. L’autorevolezza del discernimento comunitario e la grandezza di orizzonti con la quale matura il consiglio dipendono dall’umile, silenzioso e laborioso processo di ascolto svolto sotto la luce che viene dallo Spirito santo, pacificando e integrando, nella preghiera e nel combattimento spirituale, le tendenze ad affermarsi sopra gli altri, la presunta superiorità dello sguardo che impedisce l’accesso alla sostanza della realtà, la pretesa di sapere già abbastanza e di imporre i propri schemi di comprensione, i propri parametri culturali, i propri retroterra ecclesiali. Accettare che le nostre idee o le nostre scelte non sono necessariamente le uniche legittime è un sano esercizio di umiltà.
Gli organismi di partecipazione più che un luogo di decisione sono un ambito di discernimento comunitario, cioè di condivisione, di comunione, di ascolto. “Ascoltare – sottolineava Papa Francesco il 17 0ttobre 2015, in occasione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei vescovi da parte di Paolo VI – è molto più che udire: l’udire riguarda l’ambito dell’informazione; l’ascoltare, invece, rimanda all’ambito della comunicazione. L’ascolto fa uscire dalla tranquilla condizione di spettatori, di utenti, di consumatori. Ascoltare significa anche essere capaci di condividere domande e dubbi, di percorrere un cammino fianco a fianco, di affrancarsi da qualsiasi presunzione di onnipotenza e mettere umilmente le proprie capacità e i propri doni al servizio del bene comune. Ascoltare non è mai facile: a volte è più comodo fingersi sordi”.
Gli organismi di partecipazione hanno la funzione di modulare l’ascolto della testimonianza dello Spirito, tagliando i rami secchi dei punti di vista troppo soggettivi. “Ogni assemblea è, in un certo senso, un esercizio di potatura – osserva il card. M. Ouellet –, dal momento che per arrivare ad una decisione comune ognuno deve essere disposto all’accoglienza e alla condivisione anche a prezzo di qualche concessione o rinuncia affinché regni l’unità e quindi sia assicurato un frutto maggiore al lavoro comune”. Non si tratta di un percorso facile, anche perché è necessario farsi carico del conflitto, ma il viverlo deve portare a risolverlo, a superarlo, mettendosi in ascolto degli altri e, tutti insieme, in ascolto dello Spirito, lo “Spirito della verità” (cf. Gv 14,17).
+ Gualtiero Sigismondi
19-02-2016