23-02-2018
Meditazione dettata agli operatori pastorali, riuniti all’inizio della Quaresima 2018
Volge al termine la speciale Giornata di preghiera e digiuno per la pace, a cui il Papa ha chiamato la Chiesa dinanzi al tragico protrarsi di situazioni di conflitto in diverse parti del mondo. La storia insegna che il cammino della pace richiede una grande tenacia e dei continui passi; comincia all’interno dei cuori, perché è solamente lì che nascono sia le contese, sia le riconciliazioni. “Il cuore è il primo angolo del mondo che ha bisogno di pace”. È in esso che “si trovano i germi di una misteriosa connivenza col male”, di una nefasta collusione con il Maligno. Lo riconosce chiaramente la liturgia quaresimale che, all’austero simbolo delle ceneri, fa seguire l’episodio delle tentazioni: Gesù, dopo il battesimo al Giordano, è spinto dallo Spirito santo ad affrontare Satana nel deserto, per quaranta giorni, prima di iniziare la sua missione pubblica (cf. Mt 4,1-11).
Il duello tra Gesù e Satana avviene a colpi di citazioni della Sacra Scrittura. Il Diavolo, infatti, per distogliere Gesù dalla via della croce, gli presenta false speranze messianiche: il benessere economico, indicato dalla possibilità di trasformare le pietre in pane; lo stile spettacolare e miracolistico, con l’idea di buttarsi giù dal punto più alto del tempio e farsi salvare dagli angeli; la scorciatoia del potere e del dominio, in cambio di un atto di adorazione. Gesù respinge tutte queste tentazioni e ribadisce la sua assoluta fedeltà al disegno di salvezza del Padre che lo condurrà, dopo circa tre anni, alla resa finale dei conti con il “principe di questo mondo” (Gv 16,11), nell’ora della passione e della croce; e lì Gesù riporterà la sua vittoria definitiva.
La presenza del male costituisce l’enigma più oscuro e drammatico della storia dell’uomo. In realtà, Gesù Cristo con la sua morte in croce ha “sciolto” questo enigma; Egli ha sconfitto colui che sta alla radice del male, il Demonio, “omicida fin da principio”, “menzognero e padre della menzogna” (Gv 8,44). Il Serpente antico, “origine e causa di ogni peccato”, sin dalla fondazione del mondo non cessa di istigare l’uomo a voltare le spalle a Dio. Sobillando la libertà umana, “segno altissimo dell’immagine divina”, cerca di prenderne possesso, di occuparla, di devastarla, di inquinarla, di avvelenarla.
Fratelli carissimi, la Quaresima ci sollecita a ingaggiare la nostra lotta giornaliera contro le potenze delle tenebre, “contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti” (cf. Ef 6,12). È un combattimento difficile perché il Nemico non vuol farsi scoprire, si nasconde abitualmente nelle pieghe della vita quotidiana, cercando di colpire le anime con le sue armi mortifere – furia omicida e seduzione menzognera – senza che queste se ne accorgano, ingannandole a poco a poco. Dobbiamo essere ben coscienti che il male non è una forza anonima che agisce nel mondo in modo impersonale o deterministico. L’azione più pericolosa del Diavolo è quella che appare più innocua: la tentazione che porta al peccato e allontana da Dio.
La dinamica della tentazione, che Ignazio di Loyola descrive negli Esercizi, ha una duplice finalità: impedire il cammino spirituale, come è successo ad Adamo ed Eva nel giardino di Eden, oppure mettere alla prova, come è accaduto a Gesù nel deserto di Giuda. C’è però un altro aspetto della tentazione che la tradizione ha messo in luce e di cui soprattutto Agostino ha sottolineato l’importanza: ogni tentazione è uno scrutinio che dà alla creatura umana non solo la grazia di conoscersi meglio, ma anche la forza di sostenere la lotta contro lo spirito del male (cf. 1Cor 10,13). La fede della Chiesa insegna che Dio ha vinto il Maligno e gli ha imposto un limite invalicabile: sebbene Satana osi forzare la porta della libertà, tuttavia non può aprirla! “Dove la Madonna è di casa – osserva Papa Francesco – il Diavolo non entra”.
Muovendo da questa certezza di fede è utile accennare alla nuova traduzione del Padre nostro – “non abbandonarci alla tentazione” –, già in vigore dal 2008 nei Lezionari, ma che attende di essere recepita nel Messale Romano. Il limite della versione ancora in uso – “non indurci in tentazione” – è quello di associare la tentazione direttamente alla volontà divina; in realtà, è l’uomo a cadere, non è Dio a farlo inciampare. “Nessuno, quando è tentato, dica: ‘Sono tentato da Dio’; perché Dio non può essere tentato al male ed Egli non tenta nessuno. Ciascuno piuttosto è tentato dalle proprie passioni, che lo attraggono e lo seducono, poi le passioni concepiscono e generano il peccato, e il peccato, una volta commesso, produce la morte” (Gc 1,13-15).
La traduzione “non abbandonarci alla tentazione” non è la più letterale, ma quella più vicina al contenuto della Preghiera del Signore. In italiano, infatti, il verbo indurre non è l’equivalente del latino inducere o del greco eisférein. La connotazione del verbo italiano indurre esprime una volontà costrittiva, mentre il verbo latino inducere e quello greco eisférein hanno piuttosto una sfumatura concessiva (lasciar entrare), messa in luce dalla Conferenza Episcopale Francese che, nella scelta della traduzione, ha rispettato il senso di movimento espresso dal verbo impiegato nella versione greca di riferimento: “non lasciarci entrare in tentazione”. Simile scelta ha compiuto la Chiesa Evangelica Valdese, che prega “non esporci alla tentazione”.
La Conferenza Episcopale Italiana ha adottato una traduzione con una maggiore ricchezza di significato. “Non abbandonarci alla tentazione” può significare tanto “non abbandonarci, affinché non cadiamo nella tentazione”, quanto “non abbandonarci quando già siamo nella tentazione”. Si tratta di una traduzione che esprime la richiesta di essere preservati dalla tentazione e, al tempo stesso, di essere soccorsi quando la tentazione è sopravvenuta. Si chiede a Dio che resti al nostro fianco e ci preservi dal male sia quando stiamo per entrare in tentazione, sia quando vi siamo già dentro.
Fratelli carissimi, la liturgia quaresimale, oltre a ricordarci che “unico fondamento della nostra speranza è la grazia che viene da Dio”, ci assicura che, se il peccato segna il punto di maggiore attrito tra la libertà e la grazia, la divina misericordia sigilla il loro incontro.
Volge al termine la speciale Giornata di preghiera e digiuno per la pace, a cui il Papa ha chiamato la Chiesa dinanzi al tragico protrarsi di situazioni di conflitto in diverse parti del mondo. La storia insegna che il cammino della pace richiede una grande tenacia e dei continui passi; comincia all’interno dei cuori, perché è solamente lì che nascono sia le contese, sia le riconciliazioni. “Il cuore è il primo angolo del mondo che ha bisogno di pace”. È in esso che “si trovano i germi di una misteriosa connivenza col male”, di una nefasta collusione con il Maligno. Lo riconosce chiaramente la liturgia quaresimale che, all’austero simbolo delle ceneri, fa seguire l’episodio delle tentazioni: Gesù, dopo il battesimo al Giordano, è spinto dallo Spirito santo ad affrontare Satana nel deserto, per quaranta giorni, prima di iniziare la sua missione pubblica (cf. Mt 4,1-11).
Il duello tra Gesù e Satana avviene a colpi di citazioni della Sacra Scrittura. Il Diavolo, infatti, per distogliere Gesù dalla via della croce, gli presenta false speranze messianiche: il benessere economico, indicato dalla possibilità di trasformare le pietre in pane; lo stile spettacolare e miracolistico, con l’idea di buttarsi giù dal punto più alto del tempio e farsi salvare dagli angeli; la scorciatoia del potere e del dominio, in cambio di un atto di adorazione. Gesù respinge tutte queste tentazioni e ribadisce la sua assoluta fedeltà al disegno di salvezza del Padre che lo condurrà, dopo circa tre anni, alla resa finale dei conti con il “principe di questo mondo” (Gv 16,11), nell’ora della passione e della croce; e lì Gesù riporterà la sua vittoria definitiva.
La presenza del male costituisce l’enigma più oscuro e drammatico della storia dell’uomo. In realtà, Gesù Cristo con la sua morte in croce ha “sciolto” questo enigma; Egli ha sconfitto colui che sta alla radice del male, il Demonio, “omicida fin da principio”, “menzognero e padre della menzogna” (Gv 8,44). Il Serpente antico, “origine e causa di ogni peccato”, sin dalla fondazione del mondo non cessa di istigare l’uomo a voltare le spalle a Dio. Sobillando la libertà umana, “segno altissimo dell’immagine divina”, cerca di prenderne possesso, di occuparla, di devastarla, di inquinarla, di avvelenarla.
Fratelli carissimi, la Quaresima ci sollecita a ingaggiare la nostra lotta giornaliera contro le potenze delle tenebre, “contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti” (cf. Ef 6,12). È un combattimento difficile perché il Nemico non vuol farsi scoprire, si nasconde abitualmente nelle pieghe della vita quotidiana, cercando di colpire le anime con le sue armi mortifere – furia omicida e seduzione menzognera – senza che queste se ne accorgano, ingannandole a poco a poco. Dobbiamo essere ben coscienti che il male non è una forza anonima che agisce nel mondo in modo impersonale o deterministico. L’azione più pericolosa del Diavolo è quella che appare più innocua: la tentazione che porta al peccato e allontana da Dio.
La dinamica della tentazione, che Ignazio di Loyola descrive negli Esercizi, ha una duplice finalità: impedire il cammino spirituale, come è successo ad Adamo ed Eva nel giardino di Eden, oppure mettere alla prova, come è accaduto a Gesù nel deserto di Giuda. C’è però un altro aspetto della tentazione che la tradizione ha messo in luce e di cui soprattutto Agostino ha sottolineato l’importanza: ogni tentazione è uno scrutinio che dà alla creatura umana non solo la grazia di conoscersi meglio, ma anche la forza di sostenere la lotta contro lo spirito del male (cf. 1Cor 10,13). La fede della Chiesa insegna che Dio ha vinto il Maligno e gli ha imposto un limite invalicabile: sebbene Satana osi forzare la porta della libertà, tuttavia non può aprirla! “Dove la Madonna è di casa – osserva Papa Francesco – il Diavolo non entra”.
Muovendo da questa certezza di fede è utile accennare alla nuova traduzione del Padre nostro – “non abbandonarci alla tentazione” –, già in vigore dal 2008 nei Lezionari, ma che attende di essere recepita nel Messale Romano. Il limite della versione ancora in uso – “non indurci in tentazione” – è quello di associare la tentazione direttamente alla volontà divina; in realtà, è l’uomo a cadere, non è Dio a farlo inciampare. “Nessuno, quando è tentato, dica: ‘Sono tentato da Dio’; perché Dio non può essere tentato al male ed Egli non tenta nessuno. Ciascuno piuttosto è tentato dalle proprie passioni, che lo attraggono e lo seducono, poi le passioni concepiscono e generano il peccato, e il peccato, una volta commesso, produce la morte” (Gc 1,13-15).
La traduzione “non abbandonarci alla tentazione” non è la più letterale, ma quella più vicina al contenuto della Preghiera del Signore. In italiano, infatti, il verbo indurre non è l’equivalente del latino inducere o del greco eisférein. La connotazione del verbo italiano indurre esprime una volontà costrittiva, mentre il verbo latino inducere e quello greco eisférein hanno piuttosto una sfumatura concessiva (lasciar entrare), messa in luce dalla Conferenza Episcopale Francese che, nella scelta della traduzione, ha rispettato il senso di movimento espresso dal verbo impiegato nella versione greca di riferimento: “non lasciarci entrare in tentazione”. Simile scelta ha compiuto la Chiesa Evangelica Valdese, che prega “non esporci alla tentazione”.
La Conferenza Episcopale Italiana ha adottato una traduzione con una maggiore ricchezza di significato. “Non abbandonarci alla tentazione” può significare tanto “non abbandonarci, affinché non cadiamo nella tentazione”, quanto “non abbandonarci quando già siamo nella tentazione”. Si tratta di una traduzione che esprime la richiesta di essere preservati dalla tentazione e, al tempo stesso, di essere soccorsi quando la tentazione è sopravvenuta. Si chiede a Dio che resti al nostro fianco e ci preservi dal male sia quando stiamo per entrare in tentazione, sia quando vi siamo già dentro.
Fratelli carissimi, la liturgia quaresimale, oltre a ricordarci che “unico fondamento della nostra speranza è la grazia che viene da Dio”, ci assicura che, se il peccato segna il punto di maggiore attrito tra la libertà e la grazia, la divina misericordia sigilla il loro incontro.
+ Gualtiero Sigismondi