03-07-2016
Basilica Superiore di San Francesco – Assisi, 3 luglio 2016
“Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò” (Is 66,13): fedele a questa promessa – fatta da Dio agli Israeliti, appena rientrati dall’esilio, abbattuti di fronte alle enormi difficoltà della ricostruzione – Gesù designa altri settantadue discepoli, affidando loro il mandato di aprirgli la strada dell’evangelizzazione. Il Signore sceglie di inviare i discepoli “a due a due”, esortandoli a pregare il “padrone della messe perché mandi operai per la sua messe” (Lc 10,2). Affidando loro questa intenzione di preghiera, Gesù insegna che il primo passo della missione è affidato alle ginocchia: l’agilità dei piedi del “messaggero di lieti annunci” (cf. Is 52,7) dipende dalle sue ginocchia consumate oltre che dalle sue mani alzate.
Dopo aver acclarato che l’orazione precede l’azione – “la penetra, la integra, la purifica, la consola, la fortifica e, alle volte, la sostituisce” – Gesù avverte i settantadue discepoli dicendo loro che li invia “come agnelli in mezzo a lupi” (cf. Lc 10,3). Egli stesso propone l’interpretazione esatta di questo “biglietto da visita”: “Siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe” (Mt 10,16). San Gregorio Magno osserva che Cristo “ha unito necessariamente l’una e l’altra cosa nel suo ammonimento, in modo che l’astuzia del serpente ammaestri la semplicità della colomba, e la semplicità della colomba moderi l’astuzia del serpente”.
Lasciando intendere che non può avere la stoffa del pastore chi non ha la lana dell’agnello, Gesù indica ai settantadue discepoli il “protocollo” da seguire. Anzitutto raccomanda loro la sobrietà, condizione necessaria per essere agili e solleciti: “Non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada” (Lc 10,4). Il Signore suggerisce anche due formule di benedizione: quella da recitare nelle case in cui i discepoli verranno ospitati – “Pace a questa casa!” (Lc 10,5) – e quella da dire in ogni città dopo aver guarito i malati che vi si trovano: “È vicino a voi il Regno di Dio” (Lc 10,9). Gesù, inoltre, affida ai settantadue discepoli il compito di annunciare il Vangelo con “mite fortezza”, “con dolcezza e rispetto” (cf. 1Pt 3,16), tenendo bene a mente che ogni anima ha la sua pienezza del tempo e sapendo intercettare in ogni dimensione umana “un’attesa che la speranza cristiana è chiamata ad allargare”.
L’evangelista Luca annota che i settantadue discepoli, al ritorno dalla loro prima missione, presentano a Gesù le credenziali della gioia dicendogli: “Anche i demoni si sottomettono a noi nel tuo nome” (Lc 10,17). Il loro entusiasmo è sincero, e tuttavia il Signore li mette in guardia da ogni vanità, esortandoli a rallegrarsi unicamente del fatto che “i loro nomi sono scritti nei cieli” (Lc 1,20). In questa esortazione sembra di sentire l’eco delle parole di Paolo risuonate nella seconda lettura: “Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo” (Gal 6,14). Gloriarsi della croce, portando “le stigmate di Gesù sul proprio corpo” (Gal 6,17), significa fare affidamento soltanto sulla potenza della croce di Cristo.
La testimonianza di Paolo, risuonata sotto le volte di questa Basilica Papale, richiama quella di Francesco che la prima antifona della liturgia del Transito ritrae come “uomo cattolico e tutto apostolico”. Mi ha sempre colpito la sequenza di questi due aggettivi: il respiro apostolico di Francesco è sostenuto dal battito cattolico del suo cuore. È impossibile, infatti, custodire e annunciare “la parola di Dio nella sua ricchezza” (cf. Col 3,16) se non si ha il dono della latitudo cordis. La misura alta della “latitudine del cuore” Francesco d’Assisi la raggiunge coniugando semplicità e umiltà, due virtù che, combinate assieme, lo rendono libero di servire Dio e i fratelli senza paura, senza calcoli e senza misura. “Uomo semplice, umile e libero”: con queste “pennellate” la lex orandi ci offre l’affresco più luminoso di San Francesco, il quale ha accolto sine glossa l’invito rivolto da Gesù ai settantadue discepoli, inviati “a due a due”, a “camminare insieme”.
Fratelli carissimi, come la preghiera di due o tre, “riuniti nel nome del Signore”, oltrepassa le nubi del cielo (cf. Mt 18,19-20), così l’annuncio del Vangelo, recato “a due a due”, raggiunge i confini della terra e del tempo. La stessa realtà di Retinopera, il cui “obiettivo dichiarato è quello di mediare la dottrina sociale della Chiesa come forma di impegno dei credenti di fronte alla società”, non sfugge alla regola sinodale che disciplina l’invio dei discepoli. Il “camminare insieme” è, per così dire, la “carta nautica” che ha consentito a Retinopera di “prendere il largo” con audacia e slancio.
Dopo aver acclarato che l’orazione precede l’azione – “la penetra, la integra, la purifica, la consola, la fortifica e, alle volte, la sostituisce” – Gesù avverte i settantadue discepoli dicendo loro che li invia “come agnelli in mezzo a lupi” (cf. Lc 10,3). Egli stesso propone l’interpretazione esatta di questo “biglietto da visita”: “Siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe” (Mt 10,16). San Gregorio Magno osserva che Cristo “ha unito necessariamente l’una e l’altra cosa nel suo ammonimento, in modo che l’astuzia del serpente ammaestri la semplicità della colomba, e la semplicità della colomba moderi l’astuzia del serpente”.
Lasciando intendere che non può avere la stoffa del pastore chi non ha la lana dell’agnello, Gesù indica ai settantadue discepoli il “protocollo” da seguire. Anzitutto raccomanda loro la sobrietà, condizione necessaria per essere agili e solleciti: “Non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada” (Lc 10,4). Il Signore suggerisce anche due formule di benedizione: quella da recitare nelle case in cui i discepoli verranno ospitati – “Pace a questa casa!” (Lc 10,5) – e quella da dire in ogni città dopo aver guarito i malati che vi si trovano: “È vicino a voi il Regno di Dio” (Lc 10,9). Gesù, inoltre, affida ai settantadue discepoli il compito di annunciare il Vangelo con “mite fortezza”, “con dolcezza e rispetto” (cf. 1Pt 3,16), tenendo bene a mente che ogni anima ha la sua pienezza del tempo e sapendo intercettare in ogni dimensione umana “un’attesa che la speranza cristiana è chiamata ad allargare”.
L’evangelista Luca annota che i settantadue discepoli, al ritorno dalla loro prima missione, presentano a Gesù le credenziali della gioia dicendogli: “Anche i demoni si sottomettono a noi nel tuo nome” (Lc 10,17). Il loro entusiasmo è sincero, e tuttavia il Signore li mette in guardia da ogni vanità, esortandoli a rallegrarsi unicamente del fatto che “i loro nomi sono scritti nei cieli” (Lc 1,20). In questa esortazione sembra di sentire l’eco delle parole di Paolo risuonate nella seconda lettura: “Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo” (Gal 6,14). Gloriarsi della croce, portando “le stigmate di Gesù sul proprio corpo” (Gal 6,17), significa fare affidamento soltanto sulla potenza della croce di Cristo.
La testimonianza di Paolo, risuonata sotto le volte di questa Basilica Papale, richiama quella di Francesco che la prima antifona della liturgia del Transito ritrae come “uomo cattolico e tutto apostolico”. Mi ha sempre colpito la sequenza di questi due aggettivi: il respiro apostolico di Francesco è sostenuto dal battito cattolico del suo cuore. È impossibile, infatti, custodire e annunciare “la parola di Dio nella sua ricchezza” (cf. Col 3,16) se non si ha il dono della latitudo cordis. La misura alta della “latitudine del cuore” Francesco d’Assisi la raggiunge coniugando semplicità e umiltà, due virtù che, combinate assieme, lo rendono libero di servire Dio e i fratelli senza paura, senza calcoli e senza misura. “Uomo semplice, umile e libero”: con queste “pennellate” la lex orandi ci offre l’affresco più luminoso di San Francesco, il quale ha accolto sine glossa l’invito rivolto da Gesù ai settantadue discepoli, inviati “a due a due”, a “camminare insieme”.
Fratelli carissimi, come la preghiera di due o tre, “riuniti nel nome del Signore”, oltrepassa le nubi del cielo (cf. Mt 18,19-20), così l’annuncio del Vangelo, recato “a due a due”, raggiunge i confini della terra e del tempo. La stessa realtà di Retinopera, il cui “obiettivo dichiarato è quello di mediare la dottrina sociale della Chiesa come forma di impegno dei credenti di fronte alla società”, non sfugge alla regola sinodale che disciplina l’invio dei discepoli. Il “camminare insieme” è, per così dire, la “carta nautica” che ha consentito a Retinopera di “prendere il largo” con audacia e slancio.
+ Gualtiero Sigismondi