Nel tardo pomeriggio della quarta Domenica di Avvento ho celebrato il Vespro e, a seguire, ho allestito il presepio; ho chiuso il telefonino, riaprendolo subito dopo aver terminato questo “rito” che, sin da bambino, ho sempre compiuto con “ineffabile premura”. Fra le telefonate perse durante l’allestimento del presepio ne ho trovata una di cui non conoscevo il mittente, e tuttavia non ho esitato a chiamare. Mi ha risposto il secondo segretario particolare di Papa Francesco, mons. Yoannis Lahzi Gaid. Lo stupore ha lasciato spazio alla meraviglia quando mi ha comunicato il giorno in cui il Santo Padre aveva stabilito di fare una visita privata al Monastero di Santa Maria di Vallegloria in Spello, “per condividere l’Eucaristia, la preghiera e il pane”, raccomandando di custodire il segreto, persino con le clarisse. Papa Francesco mi aveva manifestato più volte questo suo proposito ma, di recente, mi aveva fatto capire che era ben informato sui tempi di percorrenza della distanza, da coprire in macchina, tra la Città del Vaticano e Spello.
Appena ho terminato la telefonata mi sono recato in cappella a recitare il Magnificat, sia per riprendere fiato, sia per rendere grazie al Signore che, alla vigilia di Natale, ha voluto sorprendermi in modo così disarmante. Pur non potendo condividere con nessuno il gaudium magnum che ha inondato il mio cuore, esso ha ispirato le omelie di Natale. Alla Messa della notte ho posto l’accento sulla grazia dello stupore: quello degli angeli, tradotto nel giubilo del Gloria; quello dei pastori i quali, vinto il timore, si recano a Betlemme “senza indugio”; quello di Maria e Giuseppe, amplificato dal silenzio della meraviglia. Tanto alla Messa della notte, quanto alla Messa del giorno, ho presentato al Signore, con il cuore giubilante, l’offerta della mia preghiera di intercessione sia per il Vescovo di Roma, chiedendo per lui serenità e salute, sia per il popolo di Dio a me affidato, allargando l’abbraccio del mio sguardo benedicente.
Il tempo di Natale l’ho passato custodendo e meditando nel mio cuore l’attesa di un avvenimento così importante. Quando il Santo Padre è giunto a Vallegloria, il Monastero è diventato una “valle di lacrime” di gioia. Il silenzio della clausura, unitamente alla discrezione che il Papa ha voluto assicurare a questa sua uscita “fuori porta”, mi impediscono di fare la cronaca di una singolare epifania ecclesiale, annunciata da un leggero tappeto di neve e salutata dallo “zucchetto bianco” sulla cima del Subasio. Mi limito a rendere noto un passaggio del mio indirizzo di saluto. “Santità, sostando in questo luogo, a cui Chiara d’Assisi ha assicurato una particolare benedizione, lei ha corso un serio pericolo, analogo a quello vissuto da Benedetto da Norcia quando sua sorella si recò a fargli visita ‘in un possedimento del monastero, non molto fuori dalla porta’. Gregorio Magno racconta che, ‘trascorso tutto il giorno nelle lodi di Dio, col protrarsi dei santi colloqui si era giunti a un’ora piuttosto avanzata’. Scolastica supplicò il fratello di non lasciarla sola per quella notte, ma Benedetto le oppose un fermo diniego. Ella non si perse d’animo, pregò il Signore onnipotente e, poco dopo, scoppiò un tale uragano che impedì a Benedetto di mettere piede fuori dalla soglia. ‘Egli che non voleva restare lì spontaneamente fu costretto a rimanervi per forza’. Padre Santo, se le monache clarisse osassero assecondare il loro ardente desiderio di seguire l’esempio di Scolastica, si rinnoverebbe lo stesso prodigio. Stavolta con la neve”.
Giunto il momento del saluto finale, grande è stata la commozione di tutti. Mi è sembrato di assistere, “in diretta”, al congedo di Paolo, avvenuto a Mileto, dagli anziani di Efeso; nei gesti e nelle parole del Santo Padre mi è parso di sentire l’eco della benedizione impartita dall’apostolo delle genti: “Vi affido a Dio e alla parola della sua grazia” (At 20,32). Nel baciare l’anello “piscatorio” ho assicurato a Papa Francesco che, anche dalla Chiesa particolare di Foligno, incessantemente, “sale a Dio una preghiera per lui” (cf. At 12,5). Accogliere il Successore di Pietro nella propria diocesi è quanto di più grande un vescovo possa immaginare di desiderare. Custodisco impresso, nella memoria del cuore, non solo l’istante dell’arrivo del Santo Padre, a bordo di un’utilitaria, ma anche il momento della sua partenza: gli occhi hanno scortato, finché hanno potuto, l’allontanarsi della macchina; rientrato in Monastero, le ginocchia hanno ceduto davanti al Tabernacolo, in profondo silenzio. Alle clarisse ho raccomandato di sciogliere le campane a festa solo dopo aver ricevuto la notizia del rientro del Papa in Vaticano. Solamente dopo!
+ Gualtiero Sigismondi