“Il Signore dispone i tempi del nascere e del morire”: dinanzi al mistero della morte ci raggiunge la consolante carezza di questo grido di fede. Quando scompare una persona cara, nonostante il carico degli anni, la commozione, il turbamento e il pianto rendono irresistibile la tentazione di volgere lo sguardo al passato, ma la fede pasquale impone di levare in alto i cuori: “Sursum corda!”. La vita è una “collana di giorni” che la morte spezza, e tuttavia Melitone di Sardi, un antico autore cristiano del II secolo, in un’omelia pasquale assicura: “Cristo è colui che ha coperto di confusione la morte e ha gettato nel pianto il Diavolo, come Mosè il Faraone”.
Quello della morte è un mistero che ci sovrasta: un mistero che quasi istintivamente suscita in noi un senso di timore e magari anche di trepidazione. Se però riflettiamo sulla realtà della morte, alla luce della fede pasquale, il cuore si allarga e trova motivo di consolazione e di fiducia. La morte è una sfida a vivere consapevolmente e intensamente la propria esistenza: essa va tenuta ante oculos. Riflettere sulla morte significa dare luce all’esistenza dell’uomo. Vita e morte non sono separabili: chi conosce la morte conosce anche la vita e chi dimentica la morte dimentica anche la vita. Non importa tanto quanto a lungo si vive, ma quanto si vive in maniera intensa e autentica.
Il nostro fratello Amedeo ha vissuto la sua vita in modo intenso e autentico, mettendo a disposizione del Signore e della sua Chiesa tutto quello che ha ricevuto in dono: “cinque pani e due pesci” (cf. Mc 6,34-44). Alla scuola di mons. Gugliemo Spuntarelli, fondatore della Casa del Ragazzo di Foligno, Amedeo ha appreso l’arte di “stare nell’amore” (cf. 1 Gv 4,10), a cui accenna l’apostolo Giovanni nella prima lettura. Il verbo “stare”, diversamente da verbo “fare”, è quello che qualifica l’amore inteso come donazione totale di sé e non come coincidenza di interessi egoistici. Amedeo si è tenuto costantemente allenato nella disciplina dello “stare nell’amore” presso la Curia di Foligno al servizio dei miei predecessori, di venerata memoria, S. E. mons. Giovanni Benedetti e S. E. mons. Arduino Bertoldo. Anch’io, sia pure per un breve periodo, ho avuto la possibilità di vederlo “stare” alla scrivania della portineria: con il sorriso amplificato dallo sguardo e la battuta sempre pronta. La lettura dei giornali e la passione per i cruciverba riuscivano ad alleggerire il peso di quel suo “stare” a servizio dei vescovi con entusiasmo sincero. Quando giungeva l’ora di chiudere gli uffici della Curia, perché doveva recarsi in rosticceria prima che fosse troppo tardi per scegliere qualcosa di buono da mangiare, era solito affacciarsi alla porta del mio studio senza bussare, in modo da non disturbare l’interlocutore di turno ma per lasciarmi intendere, con un lampo del suo sguardo, che il tempo era ormai scaduto.
Fratelli carissimi, la fede pasquale ci insegna che l’ultima parola autorevole sulla morte è la Risurrezione di Cristo, ma non ci autorizza a dimenticare che sotto il profilo esistenziale siamo tutti precari, poiché il tempo scivola via implacabile! La grande amnesia di oggi consiste nell’aver dimenticato una delle preghiere più belle, ma anche più scomode, contenute nel Salterio: “Insegnaci a contare i nostri giorni e acquisteremo un cuore saggio” (Sal 90,12). “La fede pasquale – scrive Papa Francesco nell’enciclica Lumen fidei – non è luce che dissipa tutte le nostre tenebre, ma lampada che guida nella notte i nostri passi, e questo basta per il cammino”. La Pasqua di Cristo è un evento unico, straordinario, che viene incontro al nostro desiderio che la posa di una pietra tombale non sia l’ultimo atto della nostra esistenza. “L’unica tomba che amiamo è quella vuota: quella di Cristo redentore!”.
Fratelli carissimi, chiediamo alla Vergine Maria, “unica lampada accesa al sepolcro di Gesù”, di farsi portavoce della nostra preghiera di suffragio per Amedeo e di conforto per i suoi familiari che, fino alla fine, non gli hanno fatto mancare il loro affetto, consentendogli di tenere vivo il legame con le sue radici e con questa terra a cui è rimasto sempre molto legato. La devozione a San Crispolto è sempre stata motivo e vanto della sua pietà popolare, segno della sua ardente fede. Carissimo Amedeo, “in Paradiso ti accompagnino gli angeli, al tuo arrivo ti accolgano i martiri, in particolare San Crispolto, e ti conducano nella santa Gerusalemme”. Al tuo arrivo forse non dovrai bussare, come eri solito fare con me, perché quella porta la troverai aperta: il Signore ti ha preparato il “centuplo” per “i cinque pani e i due pesci” che tu non Gli hai negato.
+ Gualtiero Sigismondi