05-08-2017
Esequie di S. E. mons. Giovanni Benedetti – Santuario della Madonna del Pianto, 5 agosto 2017
Fratelli carissimi, con una gratitudine pari alla commozione eleviamo al Signore la nostra preghiera di suffragio per S. E. mons. Giovanni Benedetti, nato a Spello un secolo fa, Figlio di questa Chiesa particolare di cui, per grazia di Dio e della Sede Apostolica, è stato Pastore. Davanti alla bara, adagiata a terra, che custodisce le sue spoglie mortali è opportuno rileggere un frammento del Chronicon in cui egli racconta l’esperienza della prostrazione a terra vissuta il giorno in cui è diventato vescovo. “La parte del rito dell’ordinazione episcopale che mi è rimasta più impressa è quella delle Litanie dei Santi: io prostrato a terra, in segno di umiltà, e sopra le mie spalle le invocazioni dei fedeli: la mia miseria e la potenza di Dio devono abbinarsi nel mio nuovo compito. Non dovrò mai dimenticarlo. Anche quando vorranno esaltarmi perché vescovo, non dimenticherò che quel che in me c’è di grande, non è mio, e non devo rubarlo a Dio”.
Il Signore, che dispone i tempi del nascere e del morire, ci fa celebrare le esequie di mons. Benedetti in questa Chiesa di Sant’Agostino, Santuario della Madonna del Pianto, già Aula sinodale. Il 12 marzo scorso, quando abbiamo festeggiato il traguardo dei 100 anni, la liturgia della Parola ci ha fatto salire sul Tabor; oggi, memoria della dedicazione della Basilica di Santa Maria Maggiore, le letture ci conducono fino a Gerusalemme. Giovanni, il Veggente, racconta lo stupore, intriso di meraviglia, che ha provato alla vista della città santa. “Vidi la Gerusalemme nuova, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo” (Ap 21,2). In questa visione colpisce lo sguardo fisso sulla Gerusalemme nuova, la “metropoli celeste” come la chiama San Gregorio Nazianzeno, acclamata dagli angeli per la sua bellezza sponsale. Il movimento del corteo nuziale non è ascensionale ma discendente: è il cielo a venire incontro alla terra, allo stesso modo in cui il sole, all’alba, “esce come sposo dalla stanza nuziale” (Sal 19,6).
“Udii allora una voce potente, che veniva dal trono e diceva: ‘Ecco la tenda di Dio con gli uomini!’” (Ap 21,3). In una scena tutta dominata dalla luce risuona una voce potente, come è accaduto il giorno della Trasfigurazione: “Questi è il Figlio mio, l’amato; ascoltatelo!” (Mc 9,7). Il volto di Gesù “gronda luce” e la voce del Padre, che esce dalla nube, non dice di contemplare lo splendore di bellezza del Figlio suo, ma invita piuttosto ad ascoltarlo (cf. Lc 9,35). L’ascolto è, in effetti, la forma più alta di contemplazione, quella più efficace e incisiva. Come abbiamo sentito nel Vangelo, a quella donna che ha composto una delle prime antifone mariane, “Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato” (Lc 11,27), Gesù stesso replica dicendo: “Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano” (Lc 11,28). “Che significa per me essere Vescovo – si chiede mons. Benedetti –, se non conosco per lungo studio e lunga meditazione la parola di Dio? Per me la meditazione e lo studio della parola di Dio deve tenere il primo posto”.
Il Vescovo Giovanni non nascondeva la propria fede, ma neppure la ostentava in modo provocatorio. Piuttosto la viveva con intensità e, al tempo stesso, con riserbo. Nel Chronicon, un diario che ha tutte le caratteristiche di un testamento spirituale, c’è un frammento di incomparabile bellezza in cui egli rivela la sua regola di vita. “Io vorrei essere umano, integralmente umano. Voglio che la grazia e la vita divina spuntino fuori dal più profondo della mia umanità, come un fiore esce dalla terra. Voglio anche che la mia stessa vocazione episcopale si radichi in tutte le mie aspirazioni, esigenze e qualità umane, e da lì riceva la sua fisionomia: il mio stile e la mia mentalità debbono essere profondamente umani per poter essere credibili cristianamente. Sono convinto che delle mie tre qualifiche: uomo, cristiano, vescovo, la più difficile, almeno per me, è la prima, è come il fondamento che sostiene tutto il resto”.
Il Vescovo Giovanni, grande figura in cui risplendono lo zelo del pastore e la chiarezza del maestro, ha costruito tutto l’edificio del suo magistero secondo un unico principio architettonico: l’attenzione alla città non è separabile dall’impegno ecclesiale. Mons. Benedetti ha fatto sentire la sua presenza in ogni settore, ha avuto cura di mantenere l’unità, si è fatto amare anche da chi non lo ha conosciuto personalmente, ma lo ha frequentato bibliograficamente. Con il suo stile pastorale, autorevole e incisivo, ha saputo rivolgersi a tutti: a coloro che credono di non credere e a coloro che almeno avvertono la nostalgia delle certezze antiche ed eterne. Non amava però il dialogo fine a se stesso, quello dove la novità del messaggio cristiano si dissolve nel “politicamente corretto”. Aveva un concetto molto alto del dialogo e disdegnava chi lo praticava come sforzo di ridurre tutto ad un minimo comune denominatore o al perditempo della chiacchiera da salotto.
Quanto egli fosse consapevole che il dialogo nasce sempre dall’ascolto, del Vangelo e della storia, lo ha testimoniato fino alla fine. Edificante, al riguardo, è la confidenza che mi hanno fatto coloro che lo hanno assistito con ammirabile premura: Miro, Gaia e Isella. All’indomani del suo ritorno a casa, dopo un breve ricovero, sebbene un po’ assopito ha voluto infilare l’anello, mettere l’orologio al polso, ha chiesto il Corriere della Sera e poi ha lasciato intendere che desiderava celebrare Messa e lo ha fatto affidando all’eloquenza dei gesti il flebile suono della voce. Questi particolari rivelano quanto Mons. Benedetti abbia amato la Città e la Diocesi di Foligno, a cui ha dato un’ossatura conciliare, con una forte attenzione al tema del “camminare insieme”, sintetizzato dal titolo delle Costituzioni sinodali: In ascolto dello Spirito e in dialogo con gli uomini.
Carissimo Vescovo Giovanni, che cosa renderemo al Signore per quanto abbiamo ricevuto per mezzo tuo? La risposta a questa domanda lascia la parola al silenzio, che è la colonna sonora della nostra preghiera di suffragio: “In Paradiso ti accompagnino gli Angeli, al tuo arrivo ti accolga San Feliciano, che hai superato in età, e assieme ad Angela da Foligno ti conducano nella Santa Gerusalemme, ove ‘il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello sono il suo tempio’ (cf. Ap 21,22)”.
Fratelli carissimi, con una gratitudine pari alla commozione eleviamo al Signore la nostra preghiera di suffragio per S. E. mons. Giovanni Benedetti, nato a Spello un secolo fa, Figlio di questa Chiesa particolare di cui, per grazia di Dio e della Sede Apostolica, è stato Pastore. Davanti alla bara, adagiata a terra, che custodisce le sue spoglie mortali è opportuno rileggere un frammento del Chronicon in cui egli racconta l’esperienza della prostrazione a terra vissuta il giorno in cui è diventato vescovo. “La parte del rito dell’ordinazione episcopale che mi è rimasta più impressa è quella delle Litanie dei Santi: io prostrato a terra, in segno di umiltà, e sopra le mie spalle le invocazioni dei fedeli: la mia miseria e la potenza di Dio devono abbinarsi nel mio nuovo compito. Non dovrò mai dimenticarlo. Anche quando vorranno esaltarmi perché vescovo, non dimenticherò che quel che in me c’è di grande, non è mio, e non devo rubarlo a Dio”.
Il Signore, che dispone i tempi del nascere e del morire, ci fa celebrare le esequie di mons. Benedetti in questa Chiesa di Sant’Agostino, Santuario della Madonna del Pianto, già Aula sinodale. Il 12 marzo scorso, quando abbiamo festeggiato il traguardo dei 100 anni, la liturgia della Parola ci ha fatto salire sul Tabor; oggi, memoria della dedicazione della Basilica di Santa Maria Maggiore, le letture ci conducono fino a Gerusalemme. Giovanni, il Veggente, racconta lo stupore, intriso di meraviglia, che ha provato alla vista della città santa. “Vidi la Gerusalemme nuova, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo” (Ap 21,2). In questa visione colpisce lo sguardo fisso sulla Gerusalemme nuova, la “metropoli celeste” come la chiama San Gregorio Nazianzeno, acclamata dagli angeli per la sua bellezza sponsale. Il movimento del corteo nuziale non è ascensionale ma discendente: è il cielo a venire incontro alla terra, allo stesso modo in cui il sole, all’alba, “esce come sposo dalla stanza nuziale” (Sal 19,6).
“Udii allora una voce potente, che veniva dal trono e diceva: ‘Ecco la tenda di Dio con gli uomini!’” (Ap 21,3). In una scena tutta dominata dalla luce risuona una voce potente, come è accaduto il giorno della Trasfigurazione: “Questi è il Figlio mio, l’amato; ascoltatelo!” (Mc 9,7). Il volto di Gesù “gronda luce” e la voce del Padre, che esce dalla nube, non dice di contemplare lo splendore di bellezza del Figlio suo, ma invita piuttosto ad ascoltarlo (cf. Lc 9,35). L’ascolto è, in effetti, la forma più alta di contemplazione, quella più efficace e incisiva. Come abbiamo sentito nel Vangelo, a quella donna che ha composto una delle prime antifone mariane, “Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato” (Lc 11,27), Gesù stesso replica dicendo: “Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano” (Lc 11,28). “Che significa per me essere Vescovo – si chiede mons. Benedetti –, se non conosco per lungo studio e lunga meditazione la parola di Dio? Per me la meditazione e lo studio della parola di Dio deve tenere il primo posto”.
Il Vescovo Giovanni non nascondeva la propria fede, ma neppure la ostentava in modo provocatorio. Piuttosto la viveva con intensità e, al tempo stesso, con riserbo. Nel Chronicon, un diario che ha tutte le caratteristiche di un testamento spirituale, c’è un frammento di incomparabile bellezza in cui egli rivela la sua regola di vita. “Io vorrei essere umano, integralmente umano. Voglio che la grazia e la vita divina spuntino fuori dal più profondo della mia umanità, come un fiore esce dalla terra. Voglio anche che la mia stessa vocazione episcopale si radichi in tutte le mie aspirazioni, esigenze e qualità umane, e da lì riceva la sua fisionomia: il mio stile e la mia mentalità debbono essere profondamente umani per poter essere credibili cristianamente. Sono convinto che delle mie tre qualifiche: uomo, cristiano, vescovo, la più difficile, almeno per me, è la prima, è come il fondamento che sostiene tutto il resto”.
Il Vescovo Giovanni, grande figura in cui risplendono lo zelo del pastore e la chiarezza del maestro, ha costruito tutto l’edificio del suo magistero secondo un unico principio architettonico: l’attenzione alla città non è separabile dall’impegno ecclesiale. Mons. Benedetti ha fatto sentire la sua presenza in ogni settore, ha avuto cura di mantenere l’unità, si è fatto amare anche da chi non lo ha conosciuto personalmente, ma lo ha frequentato bibliograficamente. Con il suo stile pastorale, autorevole e incisivo, ha saputo rivolgersi a tutti: a coloro che credono di non credere e a coloro che almeno avvertono la nostalgia delle certezze antiche ed eterne. Non amava però il dialogo fine a se stesso, quello dove la novità del messaggio cristiano si dissolve nel “politicamente corretto”. Aveva un concetto molto alto del dialogo e disdegnava chi lo praticava come sforzo di ridurre tutto ad un minimo comune denominatore o al perditempo della chiacchiera da salotto.
Quanto egli fosse consapevole che il dialogo nasce sempre dall’ascolto, del Vangelo e della storia, lo ha testimoniato fino alla fine. Edificante, al riguardo, è la confidenza che mi hanno fatto coloro che lo hanno assistito con ammirabile premura: Miro, Gaia e Isella. All’indomani del suo ritorno a casa, dopo un breve ricovero, sebbene un po’ assopito ha voluto infilare l’anello, mettere l’orologio al polso, ha chiesto il Corriere della Sera e poi ha lasciato intendere che desiderava celebrare Messa e lo ha fatto affidando all’eloquenza dei gesti il flebile suono della voce. Questi particolari rivelano quanto Mons. Benedetti abbia amato la Città e la Diocesi di Foligno, a cui ha dato un’ossatura conciliare, con una forte attenzione al tema del “camminare insieme”, sintetizzato dal titolo delle Costituzioni sinodali: In ascolto dello Spirito e in dialogo con gli uomini.
Carissimo Vescovo Giovanni, che cosa renderemo al Signore per quanto abbiamo ricevuto per mezzo tuo? La risposta a questa domanda lascia la parola al silenzio, che è la colonna sonora della nostra preghiera di suffragio: “In Paradiso ti accompagnino gli Angeli, al tuo arrivo ti accolga San Feliciano, che hai superato in età, e assieme ad Angela da Foligno ti conducano nella Santa Gerusalemme, ove ‘il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello sono il suo tempio’ (cf. Ap 21,22)”.
+ Gualtiero Sigismondi