Fratelli e sorelle carissimi, la prova drammatica e significativa dell’emergenza sanitaria ha imposto al calendario liturgico il differimento della Messa crismale alla Veglia di Pentecoste: questo “distanziamento” si configura come un singolare accostamento. “Lo Spirito del Signore Dio è su di me” (Is 61,1): Gesù proclama questa profezia nella sinagoga di Nazaret, allargando l’abbraccio del suo sguardo benedicente verso i poveri, i prigionieri, i ciechi, gli oppressi; vengono nominati in generale, ma poi, salendo a Gerusalemme, acquisteranno volto e nomi propri. Gli occhi di tutti, parenti e conoscenti, sono fissi su Gesù, contemplano ciò che gli orecchi ascoltano: “Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato” (Lc 4,21). Il termine “oggi” attraversa il Vangelo di Luca (cf. 2,11; 19,9; 23,43) e giunge fino a noi, adesso; ce lo ricorda questa celebrazione liturgica, in cui gronda l’olio di letizia dello Spirito santo.
La Messa crismale è per un vescovo il momento più solenne di incontro con Dio e con il suo popolo. Ho sempre atteso questo appuntamento liturgico custodendo e meditando le parole confidate da Gesù ai discepoli nell’ora dell’ultima Cena: “Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi” (cf. Lc 22,15). Mi accingo a versare nell’olio non solo le sostanze profumate, ma anche l’essenza della mia gratitudine al Signore, per avermi concesso di essere pastore della Diocesi di Foligno per 12 anni. Alitando sull’ampolla del crisma, ripeterò le intenzioni di preghiera rivolte da Gesù al Padre per i discepoli: “custodiscili nel tuo Nome” (cf. Gv 17,11), “custodiscili dal Maligno” (cf. Gv 17,15), “consacrali nella verità” (cf. Gv 17,17), “che tutti siano una sola cosa” (cf. Gv 17,21-22).
Nell’affidarvi “a Dio e alla Parola della sua grazia” (cf. At 20,32), mi viene in soccorso il testamento di Gesù. Rivolto a Maria, dall’alto della croce, dice: “Ecco tuo figlio”; poi, volgendosi a Giovanni, aggiunge: “Ecco tua madre” (cf. Gv 19,25-27). Il Signore Gesù, prima di affidare Maria a Giovanni, si preoccupa di consegnare il discepolo a sua madre. Il suo primo pensiero è per il “discepolo amato”, per l’umanità che egli rappresenta e per tutti coloro che, come lui, saranno rivestiti del carisma apostolico. Il Figlio di Dio, “Agnello immolato”, ha posto il sacerdozio ministeriale sotto la protezione della Madre sua, “Agnella senza macchia”.
Carissimi presbiteri e diaconi, siamo stati affidati alla Vergine Maria, “discepola della Parola”; siamo stati unti per ungere il popolo di Dio con la “rugiada dello Spirito”. A noi è chiesto di rendere grazie al Signore per il dono ricevuto con l’imposizione delle mani. Celebrando la Messa crismale ho sempre custodito il desiderio di rinnovare le promesse sacerdotali intonando il Cantico di Maria. “Provo le vibrazioni del Magnificat”: così scriveva ad un amico, nell’imminenza dell’ordinazione diaconale, il giovane seminarista Giovanni Battista Montini, che cento anni fa, proprio oggi, saliva all’altare per la prima volta, presso il santuario bresciano di Santa Maria delle Grazie.
Fratelli e sorelle carissimi, che avete responsabilità civica e battesimale, “pregate per i vostri sacerdoti e anche per me”. “Il Sacerdozio – diceva ai preti ambrosiani l’Arcivescovo Montini – o è vissuto ad alta temperatura, ed è una bellissima cosa, o è vissuto in una temperatura calante e tiepida ed è una pesantissima cosa”. Cari sacerdoti, la liturgia eucaristica, dopo la recita del Padre nostro, ci fa riprendere fiato consegnandoci questa invocazione: “Non guardare ai nostri peccati, ma alla fede della tua Chiesa”. Si tratta di una formula rituale che, in questa celebrazione di congedo, mi autorizza a confidarvi quanto scrive San Gregorio Magno: “Molte cose che nella Scrittura da solo non riuscivo a comprendere, le ho capite quando mi sono trovato in mezzo a voi, fratelli miei”.
Mi dispongo a partire – voce del verbo “obbedire” – senza voltarmi indietro, ma anche senza lasciarmi sfuggire dal cuore il gregge che, finora, ho portato sulle spalle. Il Signore impregni della sua grazia quanti, con lealtà e purezza di spirito, mi hanno aiutato a servire questa Chiesa e ad amarla “fino alla fine”. A tutti assicuro il mio ricordo all’altare, chiedendo a San Feliciano di custodire anche me tra le sue “mani ligate”. Vi saluto con le parole che compendiano l’esperienza mistica angelana; il mercoledì della Settimana santa del 1301, meditando sulla morte del Figlio di Dio incarnato, Angela sentì nella sua anima l’eco di una voce divina: “Io non ti ho amata per scherzo”.
Nel dispormi a impartire con il cuore, più che con le mani, la benedizione del Signore, intono il Cantico di Maria nell’ineffabile liturgia del silenzio. Solo il Fiat basta, solo il Magnificat resta!
+ Gualtiero Sigismondi