12-04-2017
Messa crismale, 12 aprile 2017
La Messa crismale mostra la bellezza e la grandezza del sacerdozio ministeriale, nato nel cenacolo unitamente all’Eucaristia e posto al servizio di quella comunione essenzialmente eucaristica che è la Chiesa. La Messa del Crisma ci viene proposta dalla liturgia come “prologo” all’annuale celebrazione del Cristo morto, sepolto e risuscitato. Prima di inaugurare il Triduo, cardine dell’anno liturgico, ci disponiamo, sotto la guida degli Oli sacri, a gustare il “profumo di Cristo” e a diffonderlo in tutto il territorio diocesano. Se si volesse trovare una prefigurazione della Messa crismale la si potrebbe individuare tanto nel gesto compiuto da Maria di Betania, che “prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo” (Gv 12,3), quanto nell’opera di misericordia compiuta da Nicodemo il quale, il giorno della sepoltura di Gesù, “portò circa trenta chili di una mistura di mirra e di àloe” (Gv 19,39).
“Lo Spirito del Signore è su di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione” (Lc 4,18). Gesù è il primo dei consacrati e il principio di ogni altra realtà resa sacra dall’azione dello Spirito. Egli, “Pontefice sommo ed eterno”, non ha considerato questo stato di consacrazione come un suo bene esclusivo e incomunicabile, ma ha associato a sé, “con affetto di predilezione”, una schiera di collaboratori, “dispensatori dei santi misteri, perché in ogni parte della terra sia offerto il sacrificio perfetto e con la parola e i sacramenti si edifichi la Chiesa, comunità della nuova alleanza e tempio della divina lode”. Questa celebrazione invita i ministri ordinati non solo a ravvivare i loro impegni e le loro promesse, ma anche a riscoprire e riassaporare il gusto e la bellezza della loro vocazione di “servi premurosi del popolo di Dio”, da cui nasce e progressivamente si configura “la stirpe eletta, la nazione santa, il sacerdozio regale” (1Pt 2,9).
La Messa crismale, esaltando la dignità che proviene a tutti i discepoli di Cristo dalla loro consacrazione battesimale, manifesta che il sacerdozio ministeriale ha nel vescovo il principio visibile di attiva unità e di comunione. Quando il vescovo celebra e attorno a lui sono radunati i presbiteri, i diaconi e l’intera assemblea dei fedeli, mai come in quel momento egli avverte “l’esiguità del suo operato di fronte alla grandezza del mandato”. Come la fecondità del servizio episcopale è strettamente legata alla paternità della sua relazione con i presbiteri e con i diaconi, così la carità pastorale dei ministri ordinati ha la sua fonte nella fraternità sacramentale, che non è un ideale da realizzare ma un talento da far fruttificare. Il balsamo della paternità episcopale e l’olio di letizia della fraternità presbiterale sono, per così dire, un integratore della carità pastorale. “La radice della tristezza nella vita pastorale – avverte Papa Francesco – sta proprio nella mancanza di paternità, che non può mai pensarsi senza la fraternità”.
Il “peso di grazia” del sacerdozio ministeriale, che ci sollecita ad essere “instancabili nel dono di sé, vigilanti nella preghiera, lieti e accoglienti nel servizio della comunità”, viene svelato dai riti della benedizione degli oli, segni misteriosi di salvezza.
La benedizione dell’olio degli infermi assicura sostegno e conforto a chi è provato dalla malattia, dall’angoscia e dal dolore, perché senta, nella premurosa vicinanza dei fratelli, “la continua presenza del Signore che porta su di sé il dolore del mondo” (cf. Gc 5,14). L’unzione con l’olio degli infermi, nel rivelare la sapienza misteriosa della Croce, conferisce ai malati “il rimedio per le sofferenze del corpo, dell’anima e dello spirito”, ottenendo loro la grazia di portare a termine il cammino penitenziale senza che “il dolore soffochi la fiducia e la preghiera”.
La benedizione dell’olio dei catecumeni manifesta la sollecitudine della Chiesa che, “sempre feconda di nuovi figli”, chiede a Dio di concedere loro forza e vigore perché, sostenuti dalla sua potenza, possano assumere con generosità gli impegni della vita cristiana. Con l’olio dei catecumeni il Signore dispone i battezzandi, “fatti degni dell’adozione a figli”, a non lasciarsi intimidire in nulla dagli avversari (cf. Fil 1,27-28); la sequela del Signore, infatti, è una lotta strenua e senza quartiere contro Satana, “origine e causa di ogni peccato”.
La benedizione del crisma impregna della forza dello Spirito santo l’olio misto a profumo, la cui onda rinnovatrice e santificatrice trabocca dall’oceano di luce della grazia pasquale. Un’immagine molto suggestiva che esprime l’efficacia del crisma è quella suggerita dal Salmo 133: “È come olio prezioso versato sul capo, che scende sulla barba, la barba di Aronne, che scende sull’orlo della sua veste” (v. 2). La funzione del crisma è, dunque, quella di far splendere la santità nella Chiesa, fino all’orlo della sua veste, “spandendo nel mondo il profumo di una vita santa”.
Come l’oro, l’incenso e la mirra offerti dai Magi sono “simboli profetici” che svelano la regalità di Cristo (cf. Mt 2,11), così il crisma, l’olio dei catecumeni e degli infermi sono doni dello Spirito che, con la Sua unzione, risana, illumina, conforta e consacra tutto il Corpo della Chiesa. Di questi tre oli il più esposto al rischio di diventare rancido è quello dei catecumeni, qualora il timore di sporcarsi le mani, uscendo dalla sacrestia, impedisse di esplorare le frontiere dell’evangelizzazione. Papa Francesco, incontrando all’inizio della Quaresima i parroci della Diocesi di Roma, dopo aver sottolineato con forza che “il peccato entra nel progresso della fede”, ha tenuto a ricordare a noi, ministri ordinati, che “se rafforziamo la fede degli altri lo facciamo come peccatori”.
Fratelli carissimi, pregate per me e per tutti i nostri sacerdoti, perché “la vita intera non basterà a consentirci di raggiungere l’integrale intelligibilità del dono ricevuto con l’imposizione delle mani”. Voi avete il diritto di sentire l’eco dell’invitatorio delle nostre promesse sacerdotali nel responsorio della carità pastorale. Noi, ministri ordinati, abbiamo il dovere di farvi gustare il “profumo di Cristo” attraverso una testimonianza più coerente e incisiva, più gioiosa!
La Messa crismale mostra la bellezza e la grandezza del sacerdozio ministeriale, nato nel cenacolo unitamente all’Eucaristia e posto al servizio di quella comunione essenzialmente eucaristica che è la Chiesa. La Messa del Crisma ci viene proposta dalla liturgia come “prologo” all’annuale celebrazione del Cristo morto, sepolto e risuscitato. Prima di inaugurare il Triduo, cardine dell’anno liturgico, ci disponiamo, sotto la guida degli Oli sacri, a gustare il “profumo di Cristo” e a diffonderlo in tutto il territorio diocesano. Se si volesse trovare una prefigurazione della Messa crismale la si potrebbe individuare tanto nel gesto compiuto da Maria di Betania, che “prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo” (Gv 12,3), quanto nell’opera di misericordia compiuta da Nicodemo il quale, il giorno della sepoltura di Gesù, “portò circa trenta chili di una mistura di mirra e di àloe” (Gv 19,39).
“Lo Spirito del Signore è su di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione” (Lc 4,18). Gesù è il primo dei consacrati e il principio di ogni altra realtà resa sacra dall’azione dello Spirito. Egli, “Pontefice sommo ed eterno”, non ha considerato questo stato di consacrazione come un suo bene esclusivo e incomunicabile, ma ha associato a sé, “con affetto di predilezione”, una schiera di collaboratori, “dispensatori dei santi misteri, perché in ogni parte della terra sia offerto il sacrificio perfetto e con la parola e i sacramenti si edifichi la Chiesa, comunità della nuova alleanza e tempio della divina lode”. Questa celebrazione invita i ministri ordinati non solo a ravvivare i loro impegni e le loro promesse, ma anche a riscoprire e riassaporare il gusto e la bellezza della loro vocazione di “servi premurosi del popolo di Dio”, da cui nasce e progressivamente si configura “la stirpe eletta, la nazione santa, il sacerdozio regale” (1Pt 2,9).
La Messa crismale, esaltando la dignità che proviene a tutti i discepoli di Cristo dalla loro consacrazione battesimale, manifesta che il sacerdozio ministeriale ha nel vescovo il principio visibile di attiva unità e di comunione. Quando il vescovo celebra e attorno a lui sono radunati i presbiteri, i diaconi e l’intera assemblea dei fedeli, mai come in quel momento egli avverte “l’esiguità del suo operato di fronte alla grandezza del mandato”. Come la fecondità del servizio episcopale è strettamente legata alla paternità della sua relazione con i presbiteri e con i diaconi, così la carità pastorale dei ministri ordinati ha la sua fonte nella fraternità sacramentale, che non è un ideale da realizzare ma un talento da far fruttificare. Il balsamo della paternità episcopale e l’olio di letizia della fraternità presbiterale sono, per così dire, un integratore della carità pastorale. “La radice della tristezza nella vita pastorale – avverte Papa Francesco – sta proprio nella mancanza di paternità, che non può mai pensarsi senza la fraternità”.
Il “peso di grazia” del sacerdozio ministeriale, che ci sollecita ad essere “instancabili nel dono di sé, vigilanti nella preghiera, lieti e accoglienti nel servizio della comunità”, viene svelato dai riti della benedizione degli oli, segni misteriosi di salvezza.
La benedizione dell’olio degli infermi assicura sostegno e conforto a chi è provato dalla malattia, dall’angoscia e dal dolore, perché senta, nella premurosa vicinanza dei fratelli, “la continua presenza del Signore che porta su di sé il dolore del mondo” (cf. Gc 5,14). L’unzione con l’olio degli infermi, nel rivelare la sapienza misteriosa della Croce, conferisce ai malati “il rimedio per le sofferenze del corpo, dell’anima e dello spirito”, ottenendo loro la grazia di portare a termine il cammino penitenziale senza che “il dolore soffochi la fiducia e la preghiera”.
La benedizione dell’olio dei catecumeni manifesta la sollecitudine della Chiesa che, “sempre feconda di nuovi figli”, chiede a Dio di concedere loro forza e vigore perché, sostenuti dalla sua potenza, possano assumere con generosità gli impegni della vita cristiana. Con l’olio dei catecumeni il Signore dispone i battezzandi, “fatti degni dell’adozione a figli”, a non lasciarsi intimidire in nulla dagli avversari (cf. Fil 1,27-28); la sequela del Signore, infatti, è una lotta strenua e senza quartiere contro Satana, “origine e causa di ogni peccato”.
La benedizione del crisma impregna della forza dello Spirito santo l’olio misto a profumo, la cui onda rinnovatrice e santificatrice trabocca dall’oceano di luce della grazia pasquale. Un’immagine molto suggestiva che esprime l’efficacia del crisma è quella suggerita dal Salmo 133: “È come olio prezioso versato sul capo, che scende sulla barba, la barba di Aronne, che scende sull’orlo della sua veste” (v. 2). La funzione del crisma è, dunque, quella di far splendere la santità nella Chiesa, fino all’orlo della sua veste, “spandendo nel mondo il profumo di una vita santa”.
Come l’oro, l’incenso e la mirra offerti dai Magi sono “simboli profetici” che svelano la regalità di Cristo (cf. Mt 2,11), così il crisma, l’olio dei catecumeni e degli infermi sono doni dello Spirito che, con la Sua unzione, risana, illumina, conforta e consacra tutto il Corpo della Chiesa. Di questi tre oli il più esposto al rischio di diventare rancido è quello dei catecumeni, qualora il timore di sporcarsi le mani, uscendo dalla sacrestia, impedisse di esplorare le frontiere dell’evangelizzazione. Papa Francesco, incontrando all’inizio della Quaresima i parroci della Diocesi di Roma, dopo aver sottolineato con forza che “il peccato entra nel progresso della fede”, ha tenuto a ricordare a noi, ministri ordinati, che “se rafforziamo la fede degli altri lo facciamo come peccatori”.
Fratelli carissimi, pregate per me e per tutti i nostri sacerdoti, perché “la vita intera non basterà a consentirci di raggiungere l’integrale intelligibilità del dono ricevuto con l’imposizione delle mani”. Voi avete il diritto di sentire l’eco dell’invitatorio delle nostre promesse sacerdotali nel responsorio della carità pastorale. Noi, ministri ordinati, abbiamo il dovere di farvi gustare il “profumo di Cristo” attraverso una testimonianza più coerente e incisiva, più gioiosa!
+ Gualtiero Sigismondi