25-12-2016
Natale del Signore – Messa del giorno, 2016
Le tre Messe di Natale – notte, aurora e giorno – fanno memoria delle tre nascite del Salvatore: la sua generazione eterna nel seno del Padre; la sua nascita nella carne, nel seno di Maria; la sua nascita nel cuore dei credenti, rappresentati dai pastori. Se la Messa della notte è inondata dalla gioia e quella dell’aurora è colma di stupore, la Messa del giorno è avvolta nel silenzio che, come un’onda sonora, fa vibrare il cuore della Madre di Dio e, come un’onda sismica, scuote tutta la terra. Le tre Messe di Natale – “assistite” dagli angeli – rompono il silenzio della notte del mondo. “Nel quieto silenzio che avvolgeva ogni cosa, mentre la notte giungeva a metà del suo corso, il tuo Verbo onnipotente, o Signore, è sceso dal cielo, dal trono regale”. La liturgia affida a questa antifona, desunta dal Libro della Sapienza (18,14-15), il compito di ravvivare sia la gioia della nascita del Salvatore a Betlemme, sia l’attesa del suo ritorno glorioso alla fine dei tempi.
“Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia” (Lc 2,12). Le parole che l’angelo del Signore rivolge ai pastori lasciano intendere che il modo dell’Incarnazione non è meno importante del fatto. È questa una delle ragioni che ha spinto Francesco d’Assisi ad allestire a Greccio il presepe. Questa sua geniale intuizione rientra in quella che nel Medio Evo era la rappresentazione sacra, la “Bibbia dei poveri”. Il senso del presepio per Francesco era quello stesso che è all’origine dell’icona: “una finestra aperta sul mistero”; una finestra che si affaccia sul trasognato stupore della “placida notte” di Betlemme. Quello che spinge Francesco a celebrare la nascita del Salvatore “con ineffabile premura” è l’umiltà di Dio il quale, “da ricco che era, si è fatto povero” (cf. 2Cor 8,9). Due realtà, scrive Tommaso da Celano, avevano il potere di commuovere Francesco ogni volta che ne sentiva parlare: “l’umiltà dell’Incarnazione e la carità della Passione” (Vita Prima, 84: FF 467). Il biografo racconta che quando Francesco diceva il nome della città di Betlemme lo pronunciava “come il belato di una pecora, riempiendosi la bocca di voce e ancor più di tenero affetto”. E ogni volta che diceva il nome di Gesù “passava la lingua sulle labbra, quasi a gustare e deglutire tutta la dolcezza di quella parola” (Vita Prima 86: FF 470).
“Questo è il nostro Dio: non il totalmente altro ma l’assolutamente prossimo”. Queste parole, pronunciate da Papa Francesco, ci invitano ad accostarci al presepio in punta di piedi e ad amplificare la gioia degli angeli intonando l’inno del Gloria, che è un dialogo tra meraviglia e stupore: la meraviglia del cielo che si apre e lo stupore della terra che germina il Salvatore (cf. Sal 85,12); la meraviglia degli angeli che vedono la terra inondata da grande splendore e lo stupore dei pastori avvolti di luce dalla gloria del Signore; lo stupore di Giuseppe che contempla il Bambino adagiato in una mangiatoia e la meraviglia di Maria – “Porta felice del cielo, Porta e radice di salvezza, Porta santa del tempio, intatta e inviolabile” – che avvolge nelle fasce del silenzio “la stella spuntata da Giacobbe” (cf. Nm 24,17), “il germoglio spuntato dal tronco di Iesse” (cf. Is 11,1).
Una graziosa leggenda suggerisce di accostarsi al Natale con la semplicità e lo stupore dei pastori che accorsero di notte a Betlemme per adorare il Bambino. Fra di essi ce n’era uno tanto poverello che non aveva nulla da offrire e si vergognava molto tenendosi in disparte. Tutti facevano a gara a offrire i loro doni e Maria non sapeva come riceverli tutti, dovendo reggere il Bambino. Vedendo il pastorello con le mani vuote gli pose in braccio Gesù bambino. Avere le mani vuote fu la sua fortuna! Questo personaggio ideale, che trova posto con qualche variante sia nel presepe siciliano sia in quello partenopeo, ha le mani vuote, le braccia aperte e il viso che esprime stupore: non ha nulla da offrire ma gli occhi sono pieni di gioia, perché il suo cuore è colmo di gratitudine!
Lo stupore è il più bel dono che Gesù bambino riceve dai pastori i quali, con un senso di ammirata soggezione, si lasciano ammaestrare dalla meraviglia che cattura gli occhi di Maria, quasi prostrati davanti alla mangiatoia, “prima icona della deposizione di Gesù nel sepolcro”. Le fasce della meraviglia, strette dal silenzio, velano la scena della natività che Maria contempla a occhio nudo. Forse, ascoltando il silenzio, la Madre di Dio avrà “ruminato” le parole del profeta Isaia: “Ecco la Vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele” (7,14). Forse, contemplando i “cieli aperti”, avrà meditato il canto di lode che il Salmista eleva a Dio ammirando il cielo stellato: “Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissato, che cos’è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi?” (Sal 8, 4-5).
Fratelli carissimi, le festività natalizie ci invitano a risalire alle sorgenti dello stupore e della meraviglia che inebriano i vari personaggi del presepe. Lo stupore tocca gli orecchi e la mente e fa rimanere a bocca aperta; la meraviglia toglie il velo agli occhi e fa entrare il cuore in fibrillazione. Tra stupore e meraviglia c’è la stessa differenza che passa tra il punto interrogativo e quello esclamativo: lo stupore interpella, la meraviglia inquieta; lo stupore cerca, la meraviglia trova; lo stupore rende saldi nella speranza, la meraviglia rende forti nella fede; lo stupore apre l’orecchio all’ascolto, la meraviglia illumina gli occhi. Come la sensibilità dell’orecchio e della mente è il presupposto dello stupore, così la semplicità degli occhi e del cuore è la condizione della meraviglia. Se l’umiltà è il fondamento della meraviglia e la gratitudine ne è il cemento, il silenzio è la sua colonna sonora e il giubilo il suo gemito inesprimibile.
Fratelli carissimi, senza stupore e meraviglia non possiamo vivere! I pastori di Betlemme, uomini senza pretese e persino senza attese, ma fiduciosi e attenti alle sorprese dell’amore di Dio, ci ricordano che la semplicità è il segreto dello stupore. Maria e Giuseppe, con il cuore colmo di gratitudine, ci insegnano che il silenzio, grembo fecondo della parola di Dio, è la colonna sonora della meraviglia. Fratelli carissimi, per alimentare il “roveto ardente” dello stupore e della meraviglia dobbiamo chinarci, abbassarci, farci piccoli, riconoscendo e servendo nei poveri Gesù bambino: “Immenso nella natura divina, piccolo nella natura di servo” (Agostino, Sermo, 187,1).
+ Gualtiero Sigismondi