Festa della Chiesa diocesana – Santuario della Madonna del Pianto, 22 settembre 2019
“Non potete servire Dio e la ricchezza” (Lc 16,13). Si conclude con questa inappellabile sentenza una delle parabole evangeliche più paradossali, quella in cui un uomo ricco, dopo aver licenziato un suo amministratore disonesto, non rinuncia a lodarlo “perché aveva agito con scaltrezza”, facendosi degli amici “con la ricchezza disonesta”. L’astuzia dell’amministratore sta nel fatto che sana con il bene il male compiuto. Egli, però, appaltando alla carità quello che spetta alla giustizia, dimentica che con un atto di generosità si può espiare un’ingiustizia ma non si può sostituire la giustizia. L’esercizio della carità è intarsiato nella pratica della giustizia, come testimonia Zaccheo, il quale, dopo la sua conversione, pieno di gioia assicura al Signore: “Io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto” (cf. Lc 19,8). Anche la diversità della quota – la “metà dei beni” come misura alta della carità e “quattro volte tanto” come unità di misura della giustizia – lascia intendere che il “manto” della carità non può coprire l’ingiustizia.
San Zeno, vescovo di Verona vissuto nel IV secolo, così distingueva l’opera della giustizia da quella della pietà: “Iustitia distribuit, pietas ministrat”. La giustizia ha il compito di distribuire, di dare a ciascuno il suo, impedendo che venga calpestato il povero (cf. Am 8,4-7), mentre la pietà ha la missione di servire il prossimo, scorgendo nelle sue ferite “il luogo teologico della tenerezza di Dio”. “Ministrare” è un verbo che descrive l’azione del servitore, dello schiavo, che premurosamente si affretta, quando giunge il padrone, ad andargli incontro e a provvedere alle sue necessità. “Ministrare” è un verbo appartenente al vocabolario liturgico, che definisce l’essenza del sacramento dell’Ordine come un “astare coram Deo”, facendosi carico degli uomini.
Carissimo David, il “peso di grazia” che stai per ricevere per mezzo delle mani della Chiesa, ti dispone a salire all’altare lavando i piedi ai fratelli. Mettendo la tua vita al servizio del Signore, ricorda che “nessun servitore può servire due padroni” (Lc 16,13) e che lo stare davanti al Signore si intreccia con il chinarsi sui fratelli. “La contemplazione che lascia fuori gli altri – scrive Papa Francesco al n° 281 di Evangelii gaudium – è un inganno”, così come il servizio della carità che trascura l’opus Dei è un affanno. “Il luogo in cui cresce la relazione con Cristo è la preghiera – assicura il Santo Padre – e il frutto più maturo della preghiera è sempre la carità”.
“La preghiera – scriveva Olivier Clément – non libera dai compiti di questo mondo: rende ancora più responsabili”. Chi vive sotto lo sguardo di Dio non perde di vista i doveri della vita quotidiana. Quanto questo sia vero ce lo ha ricordato Paolo, nella seconda lettura, suggerendo l’atteggiamento da tenere nei confronti delle autorità costituite: “Raccomando, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio” (1Tm 2,1-2). Carità politica e carità pastorale sono destinate a frequentarsi. La missione deve essere forgiata al fuoco di una fede pensata e vissuta, che non esiterà a “uscire dal tempio”, a cercare strade sempre nuove di evangelizzazione, se conserverà “un contatto continuo con le Scritture”.
Fratelli carissimi, misurarsi con approcci nuovi, affrontando il rischio di percorsi di evangelizzazione che non riproducano schemi predefiniti, richiede un notevole investimento formativo tanto degli operatori pastorali, quanto di coloro che, come cattolici eminentemente laici, intendono impegnarsi per la cosa pubblica e il bene comune. Alla prima esigenza continuerà a fare fronte la Scuola interdiocesana di formazione teologica, che aprirà una nuova corsia per educatori e catechisti. Alla seconda urgenza, quella di aiutare i fedeli laici ad assumere in maniera consapevole, organica e operosa la Dottrina sociale della Chiesa, risponderà la Scuola di formazione socio-politica “Giuseppe Toniolo”, che ha la sua sede presso l’Istituto Serafico di Assisi.
Questo scambio di doni tra la città di Angela e quella di Francesco, oltre a configurarsi come un chiaro segno dei tempi, accoglie una delle richieste avanzate da alcuni giovani durante l’assemblea diocesana. Essi, con le loro visioni e con le loro critiche, sollecitano ad abbandonare lo slogan “si è sempre fatto così”. Serve uno scatto di entusiasmo per avviare nuovi processi di evangelizzazione. Strada facendo, guardiamo in alto e lontano: chi non riesce a vedere “i campi che già biondeggiano” (cf. Gv 4,35), non rinunci a scorgere “il ramo di mandorlo in fiore” (cf. Ger 1,11).
+ Gualtiero Sigismondi