06-08-2016
Ordinazione diaconale di fr. Giovanni e fr. Jonathan – Abbazia di Sassovivo, 6 agosto 2016
Fratelli carissimi, in questo luogo che custodisce da secoli il segreto del silenzio della preghiera, celebriamo il mistero della Trasfigurazione del Signore. Come sul Tabor una nube ha coperto con la sua ombra Pietro, Giacomo e Giovanni, così oggi, quassù a Sassovivo, i Piccoli Fratelli fr. Giovanni Marco Loponte e fr. Jonathan Wilfredo Cuxil Cumez vengono trasfigurati dalla grazia dello Spirito, che li riveste della dalmatica dell’Ordine del diaconato.
“Sei giorni dopo” il primo annuncio della Passione Gesù “prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli” (Mc 9,2; Mt 17,1). L’evangelista Luca precisa che Gesù si trasfigurò mentre pregava (9,29); la sua è un’esperienza profonda di rapporto con il Padre durante una sorta di ritiro spirituale che Gesù vive su un alto monte in compagnia di tre discepoli sempre presenti nei momenti decisivi della sua vita (cf. Lc 5,10; 8,51; 9,28). Matteo e Marco lasciano intendere che Egli “fu trasfigurato” dal Padre (Mt 17,2; Mc 9,2), notando che “il suo volto brillò come il sole” (Mt 17,2) e “le sue vesti divennero splendenti, bianchissime” (Mc 9,3). Gli evangelisti sono concordi nel testimoniare che la Trasfigurazione di Gesù è “il balenare della futura Risurrezione”, che prepara i discepoli a sostenere lo scandalo della Croce.
Accanto a Gesù “apparvero Mosè con Elia”, figura della Legge e dei Profeti, “che conversavano con Lui” (Mt 17,3). Luca indica l’oggetto della conversazione: “Parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme” (Lc 9,31). “Le voci dell’Antico e del Nuovo Testamento si uniscono in perfetto accordo” nel testimoniare che il Cristo dovrà patire “per entrare nella sua gloria” (cf. Lc 24,26.46). Secondo il racconto lucano, Pietro, Giacomo e Giovanni sono oppressi dal sonno (cf. Lc 9,32); quando verrà l’ora del tradimento, nonostante l’invito di Gesù a vegliare con Lui in preghiera (cf. Mt 26,38), il torpore li assalirà di nuovo (cf. Mt 26,40.43). Se al Getsemani i discepoli dormono “per la tristezza” (cf. Lc 22,45), sul Tabor, nonostante l’intensità della luce, si assopiscono per lo spavento (cf. Mc 9,6) che procura loro la visione di un mistero “affascinante e tremendo”. A tale riguardo Benedetto XVI notava che “la verifica della Trasfigurazione è, paradossalmente, l’agonia nel Getsemani” (cf. Lc 22,39-46).
Pietro, destatosi dal sonno, prende la parola e dice a Gesù: “Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia” (Lc 9,33). L’espressione estatica di Pietro, il quale “non sapeva quello che diceva” (Lc 9,33) o “non sapeva che cosa dire” (Mc 9,6), tradisce il suo desiderio di evadere dalla realtà e dalle responsabilità che essa comporta, senza assumerle fino in fondo. Quella del Tabor è una sosta, uno “scalo tecnico”, che consente ai discepoli di “fare il pieno” di luce prima di entrare nella “notte oscura” del grande silenzio della Passione, nel “buio fitto” dell’ora della Croce.
“Venne una nube che li coprì con la sua ombra” (Mc 9,7): mentre Pietro sta parlando, una nube avvolge lui e gli altri discepoli; si tratta di una “colonna di nube” che copre e rivela, simile a quella che ha guidato il popolo pellegrinante nel deserto (cf. Es 13,21-22). Dalla nube esce una voce: “Questi è il Figlio mio, l’amato; ascoltatelo!” (Mc 9,7). In queste parole risuona l’eco della chiamata rivolta dal Signore ad Abramo: “Prendi tuo figlio, il tuo unigenito che ami, Isacco, va’ nel territorio di Mòria e offrilo in olocausto” (Gen 22,2). Sul Tabor il Padre rompe il silenzio per spronare i discepoli ad ascoltare il Figlio suo. Tre volte il Padre ha fatto sentire la sua voce: al Giordano, dopo il Battesimo di Gesù che dà inizio alla sua missione (Mc 1,11); sul Tabor, che rappresenta il “giro di boa” del suo “esodo pasquale”; a Gerusalemme, prima di dare compimento al mistero della sua Morte e Risurrezione: “L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!” (Gv 12,28). “Appena la voce cessò, restò Gesù solo” (Lc 9,36). Gesù è solo davanti al Padre, mentre prega, ma, allo stesso tempo, “Gesù solo” è tutto ciò che è dato ai discepoli, i quali, “guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro” (Mc 9,8).
Nell’evento della Trasfigurazione più che la luce del volto del Signore è la voce del Padre suo che apre l’accesso al mistero di Cristo, “in cui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità” (Col 2,9). È l’orecchio del cuore che spalanca gli occhi dei discepoli: è l’ascolto che consente loro di “tenere fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento” (Eb 12,2). Il mistero della Trasfigurazione del Signore, che annuncia “la meravigliosa sorte della Chiesa suo mistico Corpo”, sollecita tutti noi a scoprire che l’esistenza cristiana consiste in un continuo salire il monte dell’incontro con Dio, per poi ridiscendere portando l’amore e la forza che ne derivano. Alzare gli occhi al cielo senza distogliere lo sguardo dalla terra: questa è la lezione che Gesù impartisce ai discepoli sul Tabor. Papa Francesco, al n° 281 dell’esortazione apostolica Evangelii gaudium, avverte che “la contemplazione che lascia fuori gli altri è un inganno”. Come osa levare le mani al cielo chi non sa lavare i piedi dei fratelli? Come fa ad alzare gli occhi al cielo chi distoglie lo sguardo da quanti hanno bisogno di essere soccorsi e consolati? Come può sentire la voce di Dio chi non ascolta il grido del povero che lo invoca?
Carissimi fr. Giovanni e fr. Jonathan, prima di compiere il gesto apostolico dell’imposizione delle mani, la liturgia invita a chiamare all’appello tutti i Santi, perché lo Spirito del Signore vi conceda di essere “servi inutili” (cf. Lc 17,10) e di osservare, per sempre, il “protocollo” che Gesù stesso ha seguito fedelmente: “servire e dare la propria vita” (cf. Mt 20,28). Non basta servire, occorre farlo donando se stessi, “senza paura, senza calcoli e senza misura”. “Se vuoi far ridere il Signore – mi ha confidato qualche giorno fa un confratello – non devi far altro che raccontargli i tuoi progetti; se, invece, vuoi essere tu a sorridere e ad esultare, lascia che sia Lui a condurre al largo i tuoi passi e a colmare il tuo cuore di meraviglia nuova”.
“Sei giorni dopo” il primo annuncio della Passione Gesù “prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli” (Mc 9,2; Mt 17,1). L’evangelista Luca precisa che Gesù si trasfigurò mentre pregava (9,29); la sua è un’esperienza profonda di rapporto con il Padre durante una sorta di ritiro spirituale che Gesù vive su un alto monte in compagnia di tre discepoli sempre presenti nei momenti decisivi della sua vita (cf. Lc 5,10; 8,51; 9,28). Matteo e Marco lasciano intendere che Egli “fu trasfigurato” dal Padre (Mt 17,2; Mc 9,2), notando che “il suo volto brillò come il sole” (Mt 17,2) e “le sue vesti divennero splendenti, bianchissime” (Mc 9,3). Gli evangelisti sono concordi nel testimoniare che la Trasfigurazione di Gesù è “il balenare della futura Risurrezione”, che prepara i discepoli a sostenere lo scandalo della Croce.
Accanto a Gesù “apparvero Mosè con Elia”, figura della Legge e dei Profeti, “che conversavano con Lui” (Mt 17,3). Luca indica l’oggetto della conversazione: “Parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme” (Lc 9,31). “Le voci dell’Antico e del Nuovo Testamento si uniscono in perfetto accordo” nel testimoniare che il Cristo dovrà patire “per entrare nella sua gloria” (cf. Lc 24,26.46). Secondo il racconto lucano, Pietro, Giacomo e Giovanni sono oppressi dal sonno (cf. Lc 9,32); quando verrà l’ora del tradimento, nonostante l’invito di Gesù a vegliare con Lui in preghiera (cf. Mt 26,38), il torpore li assalirà di nuovo (cf. Mt 26,40.43). Se al Getsemani i discepoli dormono “per la tristezza” (cf. Lc 22,45), sul Tabor, nonostante l’intensità della luce, si assopiscono per lo spavento (cf. Mc 9,6) che procura loro la visione di un mistero “affascinante e tremendo”. A tale riguardo Benedetto XVI notava che “la verifica della Trasfigurazione è, paradossalmente, l’agonia nel Getsemani” (cf. Lc 22,39-46).
Pietro, destatosi dal sonno, prende la parola e dice a Gesù: “Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia” (Lc 9,33). L’espressione estatica di Pietro, il quale “non sapeva quello che diceva” (Lc 9,33) o “non sapeva che cosa dire” (Mc 9,6), tradisce il suo desiderio di evadere dalla realtà e dalle responsabilità che essa comporta, senza assumerle fino in fondo. Quella del Tabor è una sosta, uno “scalo tecnico”, che consente ai discepoli di “fare il pieno” di luce prima di entrare nella “notte oscura” del grande silenzio della Passione, nel “buio fitto” dell’ora della Croce.
“Venne una nube che li coprì con la sua ombra” (Mc 9,7): mentre Pietro sta parlando, una nube avvolge lui e gli altri discepoli; si tratta di una “colonna di nube” che copre e rivela, simile a quella che ha guidato il popolo pellegrinante nel deserto (cf. Es 13,21-22). Dalla nube esce una voce: “Questi è il Figlio mio, l’amato; ascoltatelo!” (Mc 9,7). In queste parole risuona l’eco della chiamata rivolta dal Signore ad Abramo: “Prendi tuo figlio, il tuo unigenito che ami, Isacco, va’ nel territorio di Mòria e offrilo in olocausto” (Gen 22,2). Sul Tabor il Padre rompe il silenzio per spronare i discepoli ad ascoltare il Figlio suo. Tre volte il Padre ha fatto sentire la sua voce: al Giordano, dopo il Battesimo di Gesù che dà inizio alla sua missione (Mc 1,11); sul Tabor, che rappresenta il “giro di boa” del suo “esodo pasquale”; a Gerusalemme, prima di dare compimento al mistero della sua Morte e Risurrezione: “L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!” (Gv 12,28). “Appena la voce cessò, restò Gesù solo” (Lc 9,36). Gesù è solo davanti al Padre, mentre prega, ma, allo stesso tempo, “Gesù solo” è tutto ciò che è dato ai discepoli, i quali, “guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro” (Mc 9,8).
Nell’evento della Trasfigurazione più che la luce del volto del Signore è la voce del Padre suo che apre l’accesso al mistero di Cristo, “in cui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità” (Col 2,9). È l’orecchio del cuore che spalanca gli occhi dei discepoli: è l’ascolto che consente loro di “tenere fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento” (Eb 12,2). Il mistero della Trasfigurazione del Signore, che annuncia “la meravigliosa sorte della Chiesa suo mistico Corpo”, sollecita tutti noi a scoprire che l’esistenza cristiana consiste in un continuo salire il monte dell’incontro con Dio, per poi ridiscendere portando l’amore e la forza che ne derivano. Alzare gli occhi al cielo senza distogliere lo sguardo dalla terra: questa è la lezione che Gesù impartisce ai discepoli sul Tabor. Papa Francesco, al n° 281 dell’esortazione apostolica Evangelii gaudium, avverte che “la contemplazione che lascia fuori gli altri è un inganno”. Come osa levare le mani al cielo chi non sa lavare i piedi dei fratelli? Come fa ad alzare gli occhi al cielo chi distoglie lo sguardo da quanti hanno bisogno di essere soccorsi e consolati? Come può sentire la voce di Dio chi non ascolta il grido del povero che lo invoca?
Carissimi fr. Giovanni e fr. Jonathan, prima di compiere il gesto apostolico dell’imposizione delle mani, la liturgia invita a chiamare all’appello tutti i Santi, perché lo Spirito del Signore vi conceda di essere “servi inutili” (cf. Lc 17,10) e di osservare, per sempre, il “protocollo” che Gesù stesso ha seguito fedelmente: “servire e dare la propria vita” (cf. Mt 20,28). Non basta servire, occorre farlo donando se stessi, “senza paura, senza calcoli e senza misura”. “Se vuoi far ridere il Signore – mi ha confidato qualche giorno fa un confratello – non devi far altro che raccontargli i tuoi progetti; se, invece, vuoi essere tu a sorridere e ad esultare, lascia che sia Lui a condurre al largo i tuoi passi e a colmare il tuo cuore di meraviglia nuova”.
+ Gualtiero Sigismondi