Il canto degli angeli alla nascita di Gesù a Betlemme è il gioioso annuncio dell’abbraccio tra cielo e terra: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, amati dal Signore” (Lc 2,14). La nascita di Gesù è gloria per Dio, nei cieli, ed è pace sulla terra per tutti gli uomini. Il termine “gloria” indica lo splendore di Dio che rifulge sul volto di Cristo (cf. 2Cor 4,6). “Pace” sta a sintetizzare la pienezza dei doni messianici, la salvezza, che si identifica con Cristo stesso: “Egli è, infatti, la nostra pace” (Ef 2,14). Vi è infine il riferimento al “buon volere” di Dio: Egli, con il suo sguardo benedicente, abbraccia tutti gli uomini. L’inno del Gloria fa parte della liturgia come gli altri tre cantici del Nuovo Testamento, che si riferiscono alla nascita e all’infanzia di Gesù: il Benedictus, il Magnificat e il Nunc dimittis. Mentre questi ultimi sono inseriti rispettivamente nelle Lodi mattutine, nella preghiera serale del Vespro e in quella notturna di Compieta, il Gloria ha trovato posto all’inizio della Celebrazione eucaristica domenicale e festiva. Si tratta di un inno che sottolinea la continuità esistente tra la nascita e la morte di Cristo – invocato come “Signore Dio, Agnello di Dio, Figlio del Padre” –, tra il Natale e la Pasqua, aspetti inscindibili dell’unico e medesimo mistero di salvezza. Betlemme annuncia la realtà del rifiuto (cf. Lc 2,7), che si consumerà a Gerusalemme (cf. Gv 1,10-11).
La gioia degli angeli, amplificata dal Gloria, è accompagnata da una sterminata galleria di immagini che è impossibile catalogare. A questo vasto repertorio iconografico è lecito aggiungere una foto scattata, di recente, lungo una delle tante rotte battute dai migranti. Si tratta di un’istantanea che mostra il volto di due fanciulli i quali, raccolti in una tenda, spingono all’esterno i loro occhi limpidi e sereni. La tenda è di colore blu, come il cielo, e l’apertura che uno di essi pratica con la sua mano sinistra fa pensare alle parole del profeta Isaia: “Se tu squarciassi i cieli e scendessi!” (Is 63,19). Entrambi i fanciulli guardano nella stessa direzione: quello che solleva un lembo della tenda abbozza un sorriso, che si coniuga con la luminosità dei suoi occhi; l’altro, più piccolo, con l’indice destro sfiora le labbra: sembra essere più pensoso che timoroso. Chissà cosa stanno fissando gli occhi di quei due fanciulli? Chissà? La limpida serenità dei loro sguardi mi suggerisce di mettere questa foto accanto al presepio, al posto degli angeli, con una didascalia che richiama la formula suggerita da don Tonino Bello per definire la Croce di Cristo: “collocazione provvisoria”. Come la mangiatoia e la tomba, in cui Gesù è deposto e avvolto in fasce, sono una “collocazione provvisoria” per il Verbo di Dio fatto carne, così la tenda sia una “collocazione provvisoria” per quei due fanciulli, icona di coloro che non trovano posto nell’alloggio. Come Gesù a Betlemme che, quest’anno, contemplo nella foto simbolo di un bimbo, profugo siriano, addormentato nella valigia di suo padre!
+ Gualtiero Sigismondi