27-03-2016
Perché piangi?
Il mattino di Pasqua, nel giardino antistante il sepolcro vuoto, il Risorto chiede a Maria di Magdala: “Donna, perché piangi? Chi cerchi?” (Gv 20,15). Qualche giorno fa mi è sembrato di sentire l’eco di questa domanda nel gesto – fissato da una foto scattata lungo la rotta balcanica dei migranti e dei profughi che giungono da territori tormentati dalla guerra – di un bambino che cerca – invano! – di consolare un uomo scoppiato in pianto. Provo a sviluppare questa foto. Un uomo adulto, accovacciato a terra, tiene in mano una focaccia avvolta, in parte, nella carta stagnola: si nota con chiarezza il segno che i morsi della fame hanno lasciato su quel pezzo di pane; e tuttavia quell’uomo viene sorpreso dall’obiettivo con gli occhi pieni di lacrime, che cadono su quella focaccia sorretta dalla mano sinistra e custodita, come uno scudo, dalla destra. Quel “pane di lacrime” (cf. Sal 80,6), che è anche la bevanda di quell’uomo stremato dal dolore, suscita l’attenzione di un bambino che gli sta di fronte: probabilmente si tratta di suo figlio! Questo fanciullo ha la tranquillità di chi ha appena ammansito i morsi della fame, ma ha tutta la tristezza di chi non sa come consolare chi gli sta di fronte. Non lascia indifferenti questo gesto, che provo a descrivere mettendolo a fuoco. Il fanciullo, seduto a terra, ha il braccio destro, sollevato in alto, che poggia sul ginocchio sinistro di quell’uomo e, con la sua esile mano, gli sfiora la fronte stempiata, lambendo il ciuffo di capelli neri. Mentre quell’uomo ha i denti serrati, come chi piange a dirotto, il fanciullo ha le labbra chiuse e lo sguardo fisso su di lui: il suo cuore è troppo piccolo per sostenere un peso così grande, e tuttavia i suoi occhi sembrano domandare, come il Risorto alla Maddalena: “Perché piangi?”. L’uomo che gli sta di fronte è certamente suo padre, perché ha il mento che sfiora il collo, nel vano tentativo di velare il dolore immenso di aver lasciato il proprio paese senza riuscire a trovare un riparo in terra straniera per i suoi cari. Sulla frontiera non c’è una porta, ma solo una cortina di filo spinato! È impossibile passare, fare Pasqua! Questa è, senza dubbio, la didascalia più adatta da mettere a commento di questa foto, che documenta il dramma di chi – uscito illeso dal Mediterraneo! – scopre che, sulla riva, lo attende “un deserto senza strade”. “Perché piangi?”. Questa domanda, scritta nel volto di quel fanciullo che interroga suo padre con la carezza di uno sguardo, sembra trovare risposta nelle parole di Maria Maddalena (cf. Gv 20,13), che potrebbero essere così parafrasate: “Hanno portato via la nostra speranza e non so dove l’hanno posta”. Chissà se quell’uomo ha trovato un varco alla sua speranza pasquale? Chissà se quel bimbo è riuscito ad abbozzare un sorriso, come un raggio del sole di Pasqua? Chissà? La risposta è lasciata non solo a coloro che governano le sorti degli Stati dell’Unione Europea, che esitano ad assumersi le responsabilità che l’ondata migratoria impone, ma è affidata anche a tutti noi, impegnati a testimoniare – senza indugio! – che la fraternità è la “porta santa” della speranza pasquale.
+ Gualtiero Sigismondi