02-02-2018
Presentazione del Signore, 2018
Quaranta giorni dopo la nascita di Gesù, Maria e Giuseppe portano il Bambino al tempio per offrirlo e consacrarlo a Dio, come prescritto dalla Legge ebraica. Maria e Giuseppe si mettono in marcia, pellegrini a Gerusalemme; anche il vecchio Simeone e la profetessa Anna, pure molto anziana, giungono al tempio spinti dallo Spirito santo. “Il cantico di Simeone – afferma Papa Francesco – è il canto dell’uomo credente che, alla fine dei suoi giorni, non cessa di sperare. Simeone e Anna, nella vecchiaia, sono capaci di una nuova fecondità, e lo testimoniano cantando (…). Ciò che suscita il loro canto di lode è l’incontro con Gesù”. La presentazione di Gesù al tempio costituisce un’icona dell’incontro di Dio con il suo popolo; Cristo, “luce delle genti”, è venuto incontro agli uomini “per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo” (Eb 2,14).
Nel giorno in cui la Chiesa fa memoria della presentazione di Gesù al tempio, si celebra la Giornata della Vita consacrata. Perché San Giovanni Paolo II ha legato la festa odierna alla consacrazione di coloro che assumono i tratti tipici di Gesù: vergine, povero e obbediente? Perché da Maria e Giuseppe i consacrati apprendono l’arte di offrire tutto, persino la propria vita; da Simeone e Anna essi imparano ad attendere l’avvento del Signore, il ritorno dello Sposo, adorandolo “in spirito e verità” e servendo i fratelli “con letizia e semplicità di cuore”.
Adorare e servire: due atteggiamenti che non possono mancare in ogni battezzato, ma che devono risplendere nelle persone consacrate. La vita comune e fraterna è l’olio che alimenta la lampada dell’adorazione e del servizio. “Vivere con altri – osservava Benedetto XVI – significa accettare la necessità della propria continua conversione e soprattutto scoprire la bellezza di tale cammino, la gioia dell’umiltà, della penitenza, ma anche della conversazione, del perdono vicendevole, del mutuo sostegno”. Nessuno può assumere la forza rigenerante della vita comune senza la preghiera, senza guardare all’esperienza e all’insegnamento dei santi, senza una vita sacramentale vissuta con fedeltà. Se non si entra nel dialogo eterno che il Figlio intrattiene col Padre nello Spirito santo, nessuna autentica vita comune è possibile. Occorre stare con Gesù per poter stare con gli altri. È questo il segreto della fecondità della vita comune e fraterna!
La fraternità, vissuta in comunità con letizia e dedizione, è profezia in atto: non è un ideale da realizzare, ma un talento da far fruttificare. La storia insegna che le esperienze, pur timide ma generose, di vita comune e fraterna si sono dissolte presto se limitate a garantire una mera coincidenza di interessi egoistici o se fondate su un ideale separato dalla realtà. “Chi ama il proprio sogno di comunione, più della vita fraterna effettiva, è destinato – avverte Bonhoeffer – ad essere un elemento distruttore di ogni forma di comunione, anche se è personalmente sincero (…). Il Cristo del mio cuore – aggiunge il grande pastore luterano, pioniere del movimento ecumenico – è più debole del Cristo nella parola del fratello: il primo è incerto, il secondo è certo”. Se non si rende grazie a Dio, ogni giorno, per la fraternità in cui ci si trova a vivere – anche nel caso che si tratti di un aggregato di debolezze, di poca fede, di conflitti e di difficoltà di vario genere – si oppone resistenza allo Spirito. Il momento della delusione può diventare un appuntamento di salvezza. Una comunione di tipo puramente spirituale, che non coinvolgesse la vita quotidiana, sarebbe pericolosa e addirittura artificiosa.
Fratelli carissimi, una delle patologie più gravi che minaccia la salute del Corpo ecclesiale è l’incapacità di “perseverare nella comunione” (cf. At 2,42), creando l’illusione di essere “un solo corpo” senza avere, però, “un cuore solo e un’anima sola” (At 4,32). La perseveranza nella comunione, oltre ad aprire la strada all’evangelizzazione, è uno strumento di estrema precisione sia di discernimento vocazionale, sia di affinamento spirituale. “La chiamata del Signore – avvertiva il beato Paolo VI nel messaggio per la IV Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni – è per i forti; è per i ribelli alla mediocrità e alla viltà della vita comoda e insignificante; è per quelli che ancora conservano il senso del Vangelo e sentono il dovere di rigenerare la vita ecclesiale pagando di persona e portando la croce”. “Ribelli alla mediocrità”: questo è l’impegno che i consigli evangelici impongono.
Quaranta giorni dopo la nascita di Gesù, Maria e Giuseppe portano il Bambino al tempio per offrirlo e consacrarlo a Dio, come prescritto dalla Legge ebraica. Maria e Giuseppe si mettono in marcia, pellegrini a Gerusalemme; anche il vecchio Simeone e la profetessa Anna, pure molto anziana, giungono al tempio spinti dallo Spirito santo. “Il cantico di Simeone – afferma Papa Francesco – è il canto dell’uomo credente che, alla fine dei suoi giorni, non cessa di sperare. Simeone e Anna, nella vecchiaia, sono capaci di una nuova fecondità, e lo testimoniano cantando (…). Ciò che suscita il loro canto di lode è l’incontro con Gesù”. La presentazione di Gesù al tempio costituisce un’icona dell’incontro di Dio con il suo popolo; Cristo, “luce delle genti”, è venuto incontro agli uomini “per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo” (Eb 2,14).
Nel giorno in cui la Chiesa fa memoria della presentazione di Gesù al tempio, si celebra la Giornata della Vita consacrata. Perché San Giovanni Paolo II ha legato la festa odierna alla consacrazione di coloro che assumono i tratti tipici di Gesù: vergine, povero e obbediente? Perché da Maria e Giuseppe i consacrati apprendono l’arte di offrire tutto, persino la propria vita; da Simeone e Anna essi imparano ad attendere l’avvento del Signore, il ritorno dello Sposo, adorandolo “in spirito e verità” e servendo i fratelli “con letizia e semplicità di cuore”.
Adorare e servire: due atteggiamenti che non possono mancare in ogni battezzato, ma che devono risplendere nelle persone consacrate. La vita comune e fraterna è l’olio che alimenta la lampada dell’adorazione e del servizio. “Vivere con altri – osservava Benedetto XVI – significa accettare la necessità della propria continua conversione e soprattutto scoprire la bellezza di tale cammino, la gioia dell’umiltà, della penitenza, ma anche della conversazione, del perdono vicendevole, del mutuo sostegno”. Nessuno può assumere la forza rigenerante della vita comune senza la preghiera, senza guardare all’esperienza e all’insegnamento dei santi, senza una vita sacramentale vissuta con fedeltà. Se non si entra nel dialogo eterno che il Figlio intrattiene col Padre nello Spirito santo, nessuna autentica vita comune è possibile. Occorre stare con Gesù per poter stare con gli altri. È questo il segreto della fecondità della vita comune e fraterna!
La fraternità, vissuta in comunità con letizia e dedizione, è profezia in atto: non è un ideale da realizzare, ma un talento da far fruttificare. La storia insegna che le esperienze, pur timide ma generose, di vita comune e fraterna si sono dissolte presto se limitate a garantire una mera coincidenza di interessi egoistici o se fondate su un ideale separato dalla realtà. “Chi ama il proprio sogno di comunione, più della vita fraterna effettiva, è destinato – avverte Bonhoeffer – ad essere un elemento distruttore di ogni forma di comunione, anche se è personalmente sincero (…). Il Cristo del mio cuore – aggiunge il grande pastore luterano, pioniere del movimento ecumenico – è più debole del Cristo nella parola del fratello: il primo è incerto, il secondo è certo”. Se non si rende grazie a Dio, ogni giorno, per la fraternità in cui ci si trova a vivere – anche nel caso che si tratti di un aggregato di debolezze, di poca fede, di conflitti e di difficoltà di vario genere – si oppone resistenza allo Spirito. Il momento della delusione può diventare un appuntamento di salvezza. Una comunione di tipo puramente spirituale, che non coinvolgesse la vita quotidiana, sarebbe pericolosa e addirittura artificiosa.
Fratelli carissimi, una delle patologie più gravi che minaccia la salute del Corpo ecclesiale è l’incapacità di “perseverare nella comunione” (cf. At 2,42), creando l’illusione di essere “un solo corpo” senza avere, però, “un cuore solo e un’anima sola” (At 4,32). La perseveranza nella comunione, oltre ad aprire la strada all’evangelizzazione, è uno strumento di estrema precisione sia di discernimento vocazionale, sia di affinamento spirituale. “La chiamata del Signore – avvertiva il beato Paolo VI nel messaggio per la IV Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni – è per i forti; è per i ribelli alla mediocrità e alla viltà della vita comoda e insignificante; è per quelli che ancora conservano il senso del Vangelo e sentono il dovere di rigenerare la vita ecclesiale pagando di persona e portando la croce”. “Ribelli alla mediocrità”: questo è l’impegno che i consigli evangelici impongono.
+ Gualtiero Sigismondi