“Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno” (Fil 1,21). Questa confessione di fede, che Paolo fa ai Filippesi, ha disposto spirito, anima e corpo di San Feliciano a subire il martirio: una prova traumatica eppure trionfale, modello e prototipo della testimonianza estrema della fede. Il pensiero della morte non ha compromesso la sua fedeltà ma l’ha confermata con il sigillo di una donazione totale: quella della libertà nell’amore.
Per molti di noi, invece, la morte è una parola indicibile: è lapide in un cimitero, tomba sigillata per sempre. Si respira questo clima di paura anche nell’attuale emergenza sanitaria; si registra un senso di ansia nell’atteggiamento con cui ci proteggiamo dal Covid: esso, più che esprimere il nostro senso di responsabilità, smaschera l’ossessione che vede nell’altro solo un pericolo di contagio. Eppure la fede ci insegna che la morte è il nostro dies natalis, il giorno della nascita al cielo. Ma siamo proprio sicuri di crederci davvero? Siamo così tanto desiderosi di rimanere, il più a lungo possibile, in questa “valle di lacrime” che ci risulta molto difficile prestare orecchio alla promessa fatta dal Signore ai suoi discepoli: “Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore” (cf. Gv 14,2), cioè c’è molto spazio.
Fratelli e sorelle carissimi, la nostra devozione a San Feliciano non può restare lettera morta; è una grazia averla ricevuta, dai nostri padri, “come una fiamma si accende da un’altra fiamma”, ma è pure una grande responsabilità trasmetterla, di generazione in generazione, conservandone integro lo spirito. Le attuali restrizioni, imposte dalla crisi sanitaria che l’anno scorso, proprio in questi giorni, ha iniziato a dilagare, ci invitano a cambiare radicalmente il programma dei festeggiamenti. Questa condizione diventi occasione di profonda conversione. Ci viene in soccorso, al riguardo, quanto scrive Papa Francesco nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium: “La pastorale in chiave missionaria esige di abbandonare il comodo criterio pastorale del si è fatto sempre così. Invito tutti ad essere audaci e creativi in questo compito di ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile e i metodi evangelizzatori delle proprie comunità”.
Quella di quest’anno non può essere considerata come una variante, da tollerare, al copione tradizionale, ma come un invito, analogo a quello rivolto da Gesù ai suoi discepoli, a estrarre “cose nuove e cose antiche” (cf. Mt 13,52) dal tesoro della fede più genuina del nostro popolo. Da un tesoro sarebbe naturale estrarre, anzitutto, “cose antiche”, ma lo scriba di evangelica memoria dà la precedenza all’estrazione delle “cose nuove”. Qual è la “novità inattesa” che il tesoro di inestimabile valore della solennità di San Feliciano ci sollecita a estrarre? È a questa domanda che è necessario provare a rispondere, lasciandosi inquietare da un interrogativo di fondo: come ripensare l’evangelizzazione? Esiste, infatti, un certo analfabetismo spirituale acuito dal fatto che la nostra attività pastorale ha cercato di iniziare ai sacramenti piuttosto che di iniziare – attraverso i sacramenti – alla vita cristiana, dimenticando che la trasmissione della fede ha la sua “natività” nella Chiesa domestica, vero vivaio della pastorale “goccia a goccia”. È dovere della comunità parrocchiale aiutare la famiglia a essere scuola primaria di catechesi e aula liturgica, icona della “stanza al piano superiore” di cui parla il Libro degli Atti (cf. 1,13).
Fratelli e sorelle carissimi, sin dai primi passi del mio servizio episcopale in mezzo a voi ho ripetuto più volte che “la trasmissione della fede si risolverebbe in una rincorsa affannosa se non trovasse nella domus Ecclesiae il suo ambiente vitale”. Torno a sottolinearlo con forza ancora una volta, chiedendo a San Feliciano l’abbraccio del suo sguardo benedicente. Quell’abbraccio che gli ho chiesto di portare in “dote” anche a Orvieto-Todi. Qualche giorno prima del mio ingresso nella nuova diocesi, non sapendo ancora che Papa Francesco mi avrebbe nominato Amministratore Apostolico di Foligno, mi sono congedato da San Feliciano scendendo nella cripta della nostra Cattedrale per venerare le sue reliquie e per baciare il piede della sua statua argentea. Di quell’appuntamento, fissato “in incognito”, ricordo il profondo silenzio della mia preghiera di gratitudine e di intercessione. A San Feliciano, esultante pure lui per l’apertura del cantiere della Cattedrale, domando di aiutare la diocesi di Foligno, in questo “svincolo” della sua storia, a estrarre “pietre nuove e pietre antiche” dalla sua antichissima “cava apostolica”.