Un Natale, quest’anno, ancora in chiaro-scuro, nonostante che vetrine, strade e piazze siano illuminate e i simboli classici di questa festa siano puntualmente tornati. L’animo resta perplesso. La pandemia colpisce ancora. L’economia riparte ma frenata da timori che nessuna previsione sa dissipare. Continua il lungo periodo che ha messo uno stop all’illusione di un progresso inarrestabile, riportandoci alla verità di un’esistenza che rimane per tutti precaria, anche se, come sempre, i benestanti se la cavano meglio e il peggio tocca ai più fragili. Ma almeno ci scopriamo – chi più chi meno – tutti in qualche modo a rischio. Il covid ci insidia tutti, ricchi e poveri, nord e sud del mondo. Tutti costretti a vaccini e mascherine. Almeno in questo, tutti uguali.
Questo lungo periodo ci sta facendo scuola. Sembra allungarsi quasi a bilanciare la nostra memoria corta. Per impedirci di dimenticare.
Il Natale torna nella cornice di una mondialità ferita. Viene a ri-additarci un orizzonte ideale che il processo di secolarizzazione tende a cancellare. Tocca a noi cristiani viverlo e testimoniarlo. Sapendo che esso è innanzitutto un orizzonte di fede. È la festa di una “nascita”, che porta il segreto di una “rinascita”. È Dio che entra nella nostra storia e fa suo il vagito di ogni bimbo del mondo. Viene a dare i suoi passi sulle nostre strade. Sì, proprio le nostre: quelle delle nostre gioie e dei nostri dolori, delle nostre fatiche e dei nostri sogni. Un Dio che ben conosce il nostro peccato, ma ce ne fa prendere coscienza avvolgendoci di misericordia. Si fa vicino per dirci che non siamo soli. Non viene a sostituirci, piuttosto ad accompagnarci. Rimane la fatica del vivere quotidiano. Ma egli ci dà le indicazioni per poterla affrontare.
Nella grotta di Betlemme si raccoglie la speranza del mondo. Siamo convocati come i pastori e i magi a cercare in quel Bimbo la carezza di Dio. Essa ci spinge ad uscire dai nostri narcisismi per un abbraccio universale. Quel Bimbo parla la lingua della fraternità. E sarà possibile uscire dalla crisi in cui versiamo, se non proviamo a sentirci davvero fratelli e sorelle? Un discorso che non ha a che fare solo con la fede, ma con la cultura, l’economia, la politica. Nel dare il mio primo indirizzo pastorale alla diocesi, ho invitato a “tornare al Vangelo”, e a farlo in particolare riscoprendo la famiglia e coinvolgendo i giovani (senza dimenticare gli anziani!). Significa tessere nuove relazioni e guardare con speranza al futuro. Tra le altre cose, ho individuato un luogo-simbolo che, fin nel nome, dica tutto questo: il centro “Fratelli tutti”. Lo inaugureremo presto. Evoca il titolo dell’enciclica che papa Francesco ha firmato ad Assisi lo scorso anno. Quasi a dare al mondo, nel pieno di una pandemia che ci sta mettendo ancora alle corde, una bussola per ritrovare la strada. Per ripartire sul serio.
A tutti l’augurio di Buon Natale!