25-12-2016
Venite adoremus!
Piccoli e grandi, nessuno rinuncia ad allestire il presepe in un angolo di casa. Lo spazio, di solito, è sempre lo stesso: si creano nuovi paesaggi, si cambia il posto ai vari personaggi, ma il luogo riservato al presepe non cambia. Quest’anno, prima di accingermi a fare il presepe, mi sono chiesto: in quale lembo di terra o distesa di mare è già allestito un presepe vivente fedele all’originale di Betlemme? Nel tentativo di trovare una risposta ho avanzato alcune ipotesi e non saprei quale scegliere.
– Forse in Siria ad Aleppo, o in Iraq o Mosul, ove la “faglia” più pericolosa al mondo, quella dell’odio, ha messo in fuga intere popolazioni le quali, costrette a vagare “in un deserto senza strade”, portano il peso insostenibile dell’offesa recata alla dignità umana e alla libertà religiosa.
– Forse in una barca nel bacino del Mediterraneo diventato una fossa comune per una folla sterminata di profughi – persino donne e bambini! –, che con gli occhi stremati dalla nostalgia hanno tentato di passare all’altra riva trovando nei flutti del mare l’unico porto per il loro approdo.
– Forse nei pressi delle case distrutte dal terremoto che ha devastato il Centro Italia o nelle tende che ospitano gli sfollati, i quali mantengono il proposito di non allontanarsi dalle macerie delle loro abitazioni e di rimanere fedeli alla terra in cui sono nati, continuando a chiamarla “madre”.
Con questi pensieri nel cuore mi sono deciso ad allestire il presepe nella mia cappella, accanto al tabernacolo, sulla cui porticina è raffigurato il Redentore, nel quale trova piena luce il mistero dell’Incarnazione del Verbo, “un Bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia” (Lc 2,12), prima icona della deposizione di Gesù nel sepolcro. Collocare Maria e Giuseppe “a guardia” del tabernacolo mi è sembrata cosa buona e giusta, ma mettervi anche l’asino e il bue mi ha suscitato qualche perplessità. Per quanta simpatia questi due animali possano ispirare non convince la versione idilliaca che affida al loro fiato il compito di riscaldare Gesù Bambino: più che di un conforto si è trattato di un supplizio! Alla fine ho ritenuto opportuno di non dispensare l’asino e il bue dall’occupare il loro posto anche se, per ragioni di spazio, il giorno dell’Epifania dovranno cederlo ai Magi, “primizia dei popoli chiamati alla fede” oltre che di coloro che hanno una profonda “nostalgia di Dio”.
Quale messaggio scrivere in un cartiglio da sistemare accanto al presepe vivente del tabernacolo? La risposta a questa domanda è arrivata pronta e sicura: Venite adoremus! Sono giunto, però, alla determinazione di inserire una nota esplicativa, quella suggerita da Papa Francesco al termine della Lettera apostolica Misericordia et misera che ha chiuso il Giubileo straordinario della Misericordia: “Il Signore si è identificato con i piccoli e i poveri”. A che serve allestire il presepe fino a quando i poveri giacciono, come Lazzaro (cf. Lc 16,19-21), alla porta delle nostre case o delle nostre chiese? Essi, che nel presepe hanno diritto di cittadinanza, subiscono il trattamento riservato a Maria e Giuseppe: “Per loro non c’era posto nell’alloggio” (Lc 2,7). Immaginiamo di essere noi, al loro posto!
– Forse in Siria ad Aleppo, o in Iraq o Mosul, ove la “faglia” più pericolosa al mondo, quella dell’odio, ha messo in fuga intere popolazioni le quali, costrette a vagare “in un deserto senza strade”, portano il peso insostenibile dell’offesa recata alla dignità umana e alla libertà religiosa.
– Forse in una barca nel bacino del Mediterraneo diventato una fossa comune per una folla sterminata di profughi – persino donne e bambini! –, che con gli occhi stremati dalla nostalgia hanno tentato di passare all’altra riva trovando nei flutti del mare l’unico porto per il loro approdo.
– Forse nei pressi delle case distrutte dal terremoto che ha devastato il Centro Italia o nelle tende che ospitano gli sfollati, i quali mantengono il proposito di non allontanarsi dalle macerie delle loro abitazioni e di rimanere fedeli alla terra in cui sono nati, continuando a chiamarla “madre”.
Con questi pensieri nel cuore mi sono deciso ad allestire il presepe nella mia cappella, accanto al tabernacolo, sulla cui porticina è raffigurato il Redentore, nel quale trova piena luce il mistero dell’Incarnazione del Verbo, “un Bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia” (Lc 2,12), prima icona della deposizione di Gesù nel sepolcro. Collocare Maria e Giuseppe “a guardia” del tabernacolo mi è sembrata cosa buona e giusta, ma mettervi anche l’asino e il bue mi ha suscitato qualche perplessità. Per quanta simpatia questi due animali possano ispirare non convince la versione idilliaca che affida al loro fiato il compito di riscaldare Gesù Bambino: più che di un conforto si è trattato di un supplizio! Alla fine ho ritenuto opportuno di non dispensare l’asino e il bue dall’occupare il loro posto anche se, per ragioni di spazio, il giorno dell’Epifania dovranno cederlo ai Magi, “primizia dei popoli chiamati alla fede” oltre che di coloro che hanno una profonda “nostalgia di Dio”.
Quale messaggio scrivere in un cartiglio da sistemare accanto al presepe vivente del tabernacolo? La risposta a questa domanda è arrivata pronta e sicura: Venite adoremus! Sono giunto, però, alla determinazione di inserire una nota esplicativa, quella suggerita da Papa Francesco al termine della Lettera apostolica Misericordia et misera che ha chiuso il Giubileo straordinario della Misericordia: “Il Signore si è identificato con i piccoli e i poveri”. A che serve allestire il presepe fino a quando i poveri giacciono, come Lazzaro (cf. Lc 16,19-21), alla porta delle nostre case o delle nostre chiese? Essi, che nel presepe hanno diritto di cittadinanza, subiscono il trattamento riservato a Maria e Giuseppe: “Per loro non c’era posto nell’alloggio” (Lc 2,7). Immaginiamo di essere noi, al loro posto!
+ Gualtiero Sigismondi