Fratelli carissimi, la Passio sancti Feliciani disegna la biografia del nostro Patrono piuttosto che gli Atti del suo martirio. La parola dell’apostolo Pietro, che abbiamo ascoltato, si rivolge a quanti, come san Feliciano, hanno sofferto a causa del Vangelo: “Nella misura in cui partecipate alle sofferenze di Cristo, rallegratevi” (1Pt 4,13). La ragione di questo invito alla gioia è duplice: la sopportazione delle sofferenze, patite per il nome di Cristo, assicura la partecipazione alla sua gloria e permette allo Spirito di Dio di trovare riposo nel cuore dei suoi fedeli.
Che lo Spirito santo riposi nei nostri cuori ho potuto sperimentarlo, con meraviglia nuova, durante la Visita pastorale, conclusa con la processione appena terminata. Cammin facendo, oltre a riconoscere i “semi del Verbo” sparsi ovunque – al quadrivio della nostra città, ai crocicchi delle strade e all’interno di tante abitazioni –, mi sono reso conto che, come discepoli del Signore, il problema non è essere poco numerosi – i giovani sono l’indice più alto di questo processo –, quanto piuttosto diventare insignificanti. C’è bisogno, dunque, di una Chiesa che non abbia come obiettivo pastorale quello tattico del mantenimento, ma quello strategico della formazione delle coscienze. C’è bisogno di una Chiesa che faccia squadra: è la condizione per camminare insieme. C’è bisogno di riconoscere che “il problema non è la riforma delle istituzioni, le chiese vuote e la crisi delle vocazioni: il problema è la fede”. A questa diagnosi, compiuta da Benedetto XVI, Papa Francesco risponde con la terapia indicata nella Evangelii gaudium, in cui invita ad essere audaci e creativi nel “ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile e i metodi dell’evangelizzazione”. Non si tratta di preparare piani pastorali elaborati, ma di riproporre la missione come esperienza nativa e costitutiva della Chiesa, riconsegnando alle comunità cristiane gli Atti degli Apostoli. (…)
La Chiesa da sempre ha considerato il dies natalis dei santi quello della loro “nascita” al Cielo e ha venerato i martiri prima ancora della Vergine Maria! Nel piano salvifico di Dio non è rimasta sterile la testimonianza di tanti martiri che, come san Feliciano, hanno versato il loro sangue, vivendo la fede eroicamente, cioè incondizionatamente e appassionatamente. Il martire contraddice la logica del mondo, perché risponde al timore della morte che odia la vita con un amore alla vita che non teme di morire per essa. Quanto questo sia vero Paolo ce lo ricorda con una domanda che suona come un’esclamazione: “Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?” (Rm 8,35). (…)
Fratelli carissimi, il Vangelo di Cana (cf. Gv 2,1-11) coglie Gesù nelle trame festose di un pranzo nuziale. Nel mistero del “segno” delle nozze di Cana, Gesù si manifesta come lo Sposo del popolo di Dio e ci svela l’intimità della relazione che ci unisce a Lui.
La festa della Santa Famiglia di Nazaret moltiplica la gioia grande di questo giorno, fatto dal Signore, in cui fr. Daniele Giombini, fr. Peter Hrdy e fr. Sosthene Ayena ricevono l’Ordine del presbiterato davanti a questo altare, eretto sulla tomba di San Francesco. (…)
Nel Mistero dell’Incarnazione – così prega la liturgia nella Solennità dell’Annunciazione del Signore – la Chiesa rivive nella fede il mistero in cui riconosce le proprie origini”. L’Incarnazione è la via di accesso all’intimità di Dio. “Senza Gesù Cristo – osservava Blaise Pascal –, non sappiamo né chi sia Dio né chi siamo noi”.
Nella Solennità di Gesù Cristo Re dell’Universo la Liturgia pone dinanzi ai nostri occhi l’icona della Croce (cf. Lc 23,35-43): “albero fecondo e glorioso, bilancia del grande riscatto, talamo, trono e altare”. La Croce è il talamo delle nozze pasquali dell’Agnello, è il trono dal quale Cristo regna glorioso, attraendo tutti a sé.
Nella solennità di Tutti i Santi lo sguardo della Chiesa pellegrina sulla terra si spinge verso l’orizzonte del Cielo. I santi non sono una “esigua casta di eletti”, ma una “moltitudine immensa” (cf. Ap 7,9), un’assemblea numerosa, gloriosa e festosa. Come quella dell’Acr!
Fratelli carissimi, il Signore, che “dispone i tempi del nascere e del morire”, oggi ci ha radunato attorno a questo altare, di fronte al quale è deposta a terra la bara che custodisce le spoglie mortali di Graziella. Con la nostra preghiera di suffragio la affidiamo a Dio, che l’ha chiamata a Sé nella memoria di S. Teresa di Gesù, la grande mistica di Avila la quale, nelle sue Opere, scrive che “chi ha come amico Cristo Gesù e segue un capitano così magnanimo come Lui, può certo sopportare ogni cosa; Gesù infatti aiuta e dà forza, non viene mai meno ed ama sinceramente”.
“Non potete servire Dio e la ricchezza” (Lc 16,13). Si conclude con questa inappellabile sentenza una delle parabole evangeliche più paradossali, quella in cui un uomo ricco, dopo aver licenziato un suo amministratore disonesto, non rinuncia a lodarlo “perché aveva agito con scaltrezza”, facendosi degli amici “con la ricchezza disonesta”. L’astuzia dell’amministratore sta nel fatto che sana con il bene il male compiuto. Egli, però, appaltando alla carità quello che spetta alla giustizia, dimentica che con un atto di generosità si può espiare un’ingiustizia ma non si può sostituire la giustizia. L’esercizio della carità è intarsiato nella pratica della giustizia, come testimonia Zaccheo, il quale, dopo la sua conversione, pieno di gioia assicura al Signore: “Io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto” (cf. Lc 19,8). Anche la diversità della quota – la “metà dei beni” come misura alta della carità e “quattro volte tanto” come unità di misura della giustizia – lascia intendere che il “manto” della carità non può coprire l’ingiustizia. […]
“Nobilissima Regina del mondo”: così la liturgia, nell’odierna memoria, invoca Maria, la “Donna vestita di sole”, nobile per grazia, seduta al banchetto del Regno alla destra del Figlio suo. La metafora del banchetto, evocata dal brano di Vangelo appena proclamato (cf. Mt 22,1-14), è usata spesso nella Sacra Scrittura per indicare la gioia nella comunione e nell’abbondanza dei doni del Signore (cf. Is 25,6-12). “Il Regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio” (Mt 22,2): così inizia la parabola che Gesù propone ai capi dei sacerdoti e ai farisei, identificandoli con coloro che declinano l’invito del re a partecipare al banchetto di nozze di suo figlio: hanno altro da fare, altri interessi. Il re non si perde d’animo, manda i suoi servi ai crocicchi delle strade e fa chiamare chiunque. I servi radunano tutti, “cattivi e buoni”, e la sala si riempie: a ciascuno di loro è data la possibilità di prendere parte alla festa, a condizione di indossare l’abito nuziale. Entrando nella sala, il re scorge che uno ne è privo e, per questa ragione, viene gettato fuori, senza pietà.