“Nobilissima Regina del mondo”: così la liturgia, nell’odierna memoria, invoca Maria, la “Donna vestita di sole”, nobile per grazia, seduta al banchetto del Regno alla destra del Figlio suo. La metafora del banchetto, evocata dal brano di Vangelo appena proclamato (cf. Mt 22,1-14), è usata spesso nella Sacra Scrittura per indicare la gioia nella comunione e nell’abbondanza dei doni del Signore (cf. Is 25,6-12). “Il Regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio” (Mt 22,2): così inizia la parabola che Gesù propone ai capi dei sacerdoti e ai farisei, identificandoli con coloro che declinano l’invito del re a partecipare al banchetto di nozze di suo figlio: hanno altro da fare, altri interessi. Il re non si perde d’animo, manda i suoi servi ai crocicchi delle strade e fa chiamare chiunque. I servi radunano tutti, “cattivi e buoni”, e la sala si riempie: a ciascuno di loro è data la possibilità di prendere parte alla festa, a condizione di indossare l’abito nuziale. Entrando nella sala, il re scorge che uno ne è privo e, per questa ragione, viene gettato fuori, senza pietà.
“Mille anni ai tuoi occhi, Signore, sono come il giorno che è passato, come un turno di veglia nella notte” (Sal 90,4). Queste parole del Salmista, se riferite a mons. Giovanni Benedetti, potrebbero essere così parafrasate: “Cento anni ai tuoi occhi, sono come il giorno che è passato”. Fratelli carissimi, il libro del Qoèlet ci ha ricordato che “tutto è vanità” (1,2). “È vanità e un grande male” non saper contare i nostri giorni (cf. Sal 90,12). “È vanità e un grande male” trascorrere la vita senza “cercare le cose di lassù”. San Paolo ci ha ricordato che occorre “rivolgere il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra” (cf. Col 3,1-2). Non basta pensare alle cose di lassù per acquistare un cuore saggio, ma occorre anzitutto cercarle. Chi pensa alle cose di lassù non necessariamente le cerca: sono il peso degli anni e dei malanni che lo costringono a pensare alle cose di lassù senza cercarle. (…)
“La Pentecoste è per la Chiesa ciò che per Cristo fu l’unzione dello Spirito ricevuta al Giordano”. Il bozzetto della Chiesa, realizzato a Pentecoste, trova il suo compimento nell’opera d’arte della nuova Gerusalemme. Lo Spirito santo è l’Artista della “bottega” della Chiesa, che ha come artigiano la libertà dei figli di Dio e come modello la Vergine Maria. Era giusto che la Madre di Gesù, che aveva accolto lo Spirito santo nella casa di Nazaret, si trovasse nella stanza al piano superiore con i discepoli, in attesa della Pentecoste.
“Nemmeno le tenebre per te sono tenebre, e la notte è luminosa come il giorno; per te le tenebre sono come luce” (Sal 139,12). Queste parole del Salmista suggeriscono alla Chiesa cosa dire in questo giorno fatto dal Signore.
Prima di inaugurare il Triduo pasquale, varcando la soglia del Cenacolo, la liturgia ci invita a entrare nella sinagoga di Nazaret, che ha visto Gesù crescere “in sapienza, età e grazia” (cf. Lc 2,52). Circondato da conoscenti e vicini, Egli si alza a leggere il passo del rotolo di Isaia 61,1-2 e lo commenta, indicando nella sua persona la realizzazione della profezia: “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato” (Lc 4,21).
Quaranta giorni dopo Natale celebriamo il Signore che, entrando nel tempio, va incontro al suo popolo. Questa festività, che nell’Oriente cristiano è detta Ipapánte, apre il cammino verso la Pasqua.
La Chiesa ha sempre considerato il dies natalis dei santi quello della loro nascita al cielo. Nel piano salvifico di Dio il sacrificio di Feliciano non è rimasto senza frutto: la nostra Diocesi è infatti fiorita dalla semenza del suo sangue.
Parafrasando un pensiero di Tertulliano è possibile dire: “È semenza il sangue di Feliciano”. Continui ad esserlo per la nostra diocesi di cui è fondatore e per la nostra città della quale è difensore!
Un ingente debito di gratitudine, contratto il 14 gennaio 1703, rende ragione dell’annuale “plebiscito d’amore” alla Madonna del Pianto. Questa venerata immagine, da oltre tre secoli, custodisce “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce” del popolo folignate.
“Non finiremo mai di guardare il quadro universale della storia (…) alla luce apparsa a Betlemme. Come quando in una notte buia s’accende un lume le cose d’intorno e gli spazi prendono forma e misura, così all’apparire di Cristo, ogni cosa acquista un senso, un valore.